1° - PROLOGO
- Capitolo 1° -
"E adesso?"
Il bambino era sconvolto, mentre vedeva davanti a sé il padre adottivo. Gli occhi rossi, i capelli arruffati, le mani convulsamente strette a pugno. Ubriaco fradicio. Nella stessa condizione in cui lo vedeva tutte le sere da quando era stato affidato a quella famiglia.
Sapeva quello che sarebbe successo di lì a poco, aveva avuto molti mesi per abituarcisi e diventare quasi insofferente verso quell'uomo grande e grosso che in realtà avrebbe potuto essere smontato con quattro parole messe in croce, quattro parole che il piccolo Aaron Hotchner non avrebbe mai pronunciato.
Per paura.
Si sentiva un codardo, conoscendo ogni punto debole di quell'uomo ma non volendo dire nulla, preferendo tacere e sopportare.
Con la coda dell'occhio vide una donna accanto allo stipite della porta, le braccia incrociate e una mano a coprire le labbra, il viso apparentemente inespressivo.
Il viso poteva anche apparire inespressivo, forse, ma gli occhi parlavano per lui. Esprimevano tutto il suo rimorso, i sensi di colpa, il dispiacere per quel ragazzino di tredici anni che rimaneva immobile sotto i pugni del proprio finto padre, che non provava nemmeno a scappare, facendo quello che poteva per limitare i segni.
Lo sguardo di Aaron scivolò lentamente sullo specchio. Guardò il suo riflesso: a lui sembrava normale; a un'altra persona sarebbe sembrato di vedere un adulto intrappolato in un corpo da bambino. Fissò i suoi stessi occhi: due lame di ghiaccio. Non erano gli occhi del bambino che avrebbe dovuto essere. Erano occhi che cercavano vendetta; erano occhi che mai avrebbero perdonato l'uomo davanti a loro.
L'agente Speciale del BAU Aaron Hotchner si svegliò di soprassalto, quando qualcuno bussò alla porta del suo ufficio. Alzò la testa. Si era addormentato seduto alla scrivania, accompagnato tra le braccia di Morfeo dai suoi stessi pensieri.
Ancora un po' stordito dal sonno si voltò verso la donna sulla porta.
<<JJ>> la chiamò mettendo da parte, o almeno provando a mettere da parte i ricordi passati nella sua mente mentre dormiva. <<C'è qualcosa che non va?>>
<<No, è tutto a posto>> gli rispose lei con il suo solito sorriso cordiale. <<Ci chiedevamo se ti andasse di unirti a noi, andiamo a bere qualcosa giù al bar>>
Non gli servì pensare, prima di abbassare lo sguardo sui fascicoli che aveva davanti a sé, sulla scrivania, e rispondere: <<No, grazie, andate voi. Ho ancora delle carte da controllare prima di domani>>
Lei annuì. Esitò, poi gli chiese: <<Stai bene, Hotch?>>
Lui rialzò gli occhi. <<Sì. Tutto bene>> Abbozzò un sorriso. <<Ci vediamo domattina, JJ>>
<<Buonanotte>> Tranquillizzata, gli sorrise e uscì.
Quando fu di nuovo solo, Hotch si passò una mano sul volto stanco. Guardò l'orologio: non erano nemmeno le undici. Come aveva fatto ad addormentarsi?
Soffocando uno sbadiglio, prese una penna e il primo fascicolo a portata di mano, e cominciò a leggerlo, mentre nel frattempo stilava il rapporto dell'ultimo caso.
Perdendo completamente la cognizione del tempo, ridusse drasticamente la pila di fogli sul bordo della scrivania.
Quando finì, l'orologio segnava le tre del mattino.
Hotch si appoggiò per un istante allo schienale della sedia, poi si alzò e si andò a sedere sul divanetto in pelle, nella parte opposta dell'ufficio rispetto alla scrivania. Si tolse la giacca, la posò sullo schienale e allentò il nodo della cravatta che gli chiudeva il collo.
Si abbandonò sul divano e chiuse gli occhi.
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