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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: BLACK LILY
Genere: Comico
Rating: Per Tutte le età
Autore: icarus galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 22/12/2009 23:17:03

Uno sgangherato gruppo rock, alle prese con i suoi peggiori incubi...
 
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L'INIZIO DELL'INCUBO
- Capitolo 1° -

Buonasera a tutti ^__^
Sono passati secoli dall'ultima volta che ho postato qualcosa qui... farlo di nuovo è un po' un salto nel passato ^__^ Anche se sono stata lontana da questo sito per tantissimo, per la sfortuna del mondo non ho smesso di scrivere u_u e quindi, dopo mille titubanze, ho deciso di pubblicare una storiella nata alcuni mesi fa, quasi per gioco ^O^
Devo ringraziare due mie amiche con le quali è nata l'idea del gruppo musicale, chiamato "Black Lily", di cui andrò a raccontare... e Stephen King per aver creato il bellissimo personaggio a cui mi sono ispirata u_u (perché non farei mai patire tutte queste sofferenze proprio a quel poverino... ç_ç XD)
Quindi... auguro buona lettura a cui vuole cimentarsi in questa idea un po' assurda, sperando che possa piacervi ^__^
Un'ultima cosa... alla fine di ogni capitolo troverete un piccolo bonus con alcune informazioni su uno dei personaggi ^_^ Mi divertiva l'idea di metterlo, e così l'ho fatto XD
Grazie a tutti ^__^



I. L’inizio dell’incubo

Era una bella giornata di sole, di quelle in cui ci si alza alla mattina e si pensa “di certo oggi non può accadere nulla di brutto, assassini e malviventi se ne staranno a casa a dormire, e il valore dello yen rispetto al dollaro salirà sempre di più”.
Era una bella giornata di sole, di quelle in cui i bambini passano tutto il giorno a giocare nel parco sino a quando non tornano a casa stanchi ma felici.
Era una bella giornata di sole, di quelle in cui…
Stonk!
Ahia!
«Oh mamma Joshua è caduto dalla sedia!» esclamò Keith spaventato guardando il corpo del loro cantante a terra, apparentemente privo di sensi.
«Sì, e mi è caduto addosso…» disse Søren, per nulla entusiasta né tantomeno preoccupato di come potesse stare il loro compagno, mentre cercava di togliersi da sotto il suo dolce peso.
Era una bella giornata di sole, di quelle in cui un gruppo rock è rinchiuso in una piccola stanzetta a discutere sul prossimo singolo da incidere. Il loro manager era stato chiaro: non potevano continuare a girarci intorno per giorni e giorni, quel pomeriggio avrebbero dovuto prendere le ultime e definitive decisioni. Quale variante del testo accettare? Meglio usare quello o quell’altro accordo in quel pezzo? Chi vinceva questa volta la sfida chitarra vs basso?
E quindi erano lì, tutti e cinque, a fare i bambini diligenti che si impegnano nel compito dato loro dalla maestra. Per la verità, non erano poi così votati al lavoro… prima che accadesse il “piccolo” incidente, la situazione era questa:
Joshua, il cantante, capelli biondi dai riflessi ramati e un sorriso perenne sul viso, si stava dondolando avanti e indietro sulla propria sedia mentre giocava a tenere in equilibrio una matita sulla lingua;
Søren, il chitarrista, alto e probabilmente creato nella stoffa scozzese, dai capelli rossi e occhi di ghiaccio, era seduto svogliatamente su una poltroncina e con una gamba contribuiva al dondolio della sedia di Joshua;
Keith, il batterista, capelli castani su un faccino da vero cucciolotto, stava mangiando delle dolci ciambelline al miele indossando delle orecchiette da Winnie the Pooh;
Raven, il bassista, fratello maggiore di Keith, ragazzo dallo sguardo dolcissimo e sempre comprensivo, stava contemplando lo spettacolo soleggiato che la piccola finestra della stanza offriva. Era completamente estraneo a ciò che gli stava accadendo intorno, i suoi pensieri lo avevano letteralmente divorato;
Seth, il tastierista, capelli neri e un fare sempre accattivante, stava litigando davanti al suo specchio personale con un ciuffo ribelle: cercava di capire se sarebbe stato più affascinante mettendolo sulla destra o sulla sinistra.
Nessuno stava parlando della canzone, né di cosa dovessero fare, né di nulla che riguardasse il gruppo. Imputando che fosse la bella giornata che non potevano godersi a renderli così indolenti… sarebbero andati avanti così sino a sera, senza concludere nulla, se la sedia di Joshua non si fosse finalmente ribellata al padrone facendolo cadere senza troppi complimenti.
«Oh cielo, e se è morto?!» esclamò ancora Keith, preoccupatissimo, facendo cadere sulle due figure a terra il suo pacchettino di cerali. Søren lo guardò storto (per la domanda, non per le ciambelline che si affrettò a divorare con fare circospetto) e mise un cucchiaio, preso da chissà dove, sotto il naso del cantante. «Vedi, si appanna, sta respirando. Anzi – fece una piccola pausa di silenzio, tendendo le orecchie come i cani – non senti che sta russando? Dorme beato», concluse, lanciando in aria un altro cereale e facendoselo cadere in bocca con abilità.
Intanto un’ombra scura si era avvicinata all’allegro quadretto, e aveva sottratto il cucchiaio al chitarrista.
«Ecco, forse così riuscirò a decidermi», si disse Seth tra sé, ammirando la propria figura riflessa al contrario nella posata. «È sempre meglio sfruttare ogni angolazione possibile, quando si devono dare giudizi su un bel viso», mormorò ancora, allontanandosi dalla scena del delitto. Keith e Søren lo seguirono con lo sguardo, prima che il batterista si spostasse di nuovo per tornare nel suo mondo di miele e orsetti.
«Ehi, datemi una mano con questo qui!» piagnucolò Søren, indicando il cantante felicemente addormentato su di lui. Sembrò per alcuni attimi che la sua richiesta sarebbe stata simpaticamente ignorata ma ad un tratto apparve Raven al suo fianco, scortato dalla solita pioggerella di petali di ciliegio che apparivano misteriosamente dal nulla ed accompagnavano ogni sua entrata in scena. Con un abile e fluido gesto della gamba (un calcetto, agli occhi di gente senza classe) spostò Joshua di lato, senza svegliarlo; poi sorrise dolcemente al chitarrista, e tornò sulla sua sedia accanto alla finestra. Lanciò un’occhiata affettuosa ai suoi compagni – occhiata che era da leggersi come “do not disturb please” – e tornò a farsi divorare dai suoi pensieri. Alcuni spettatori avrebbero detto che si trattasse di noia. Altri di sonno. In generale, però, si preferiva pensare che in quei momenti meditasse sul senso profondo della vita.
Nel frattempo, mentre l’aura di tranquillità di Raven permeava il cuore di Søren, i rimanenti componenti del gruppo avevano ingaggiato una lotta senza quartiere: Keith voleva il cucchiaio per mangiare i cereali, Seth voleva tenerselo perché non aveva ancora ottenuto la rivelazione sul suo ciuffo.
«Ma hai il tuo set di 30 specchi di mille misure diverse, a cosa ti serve un cucchiaio?!»
«Nessuno di quei 30 specchi è a forma di cucchiaio.»
«E cosa ti cambia? Hai quello a forma di paperella!»
«Ma non è a forma di cucchiaio, ti ho detto.»
«£$\$/$/£%**è*£%$”$!»
*ronf ronf*
«…»
«Basta, ho voglia di yogurt!» Søren era sbottato così, senza preavviso, come spesso faceva. Si pensava che il suo cervello non funzionasse a ragionamenti, ma solo ad istinti.
Il chitarrista si guardò intorno, e con rapidità prese la sua decisione: «Tu, vieni con me!» disse, prendendo Seth per la collottola e trascinandolo verso la porta.
«Aspetta...!» protestò il tastierista, «il mio ciuffo ha ancora bisogno di essere domato!»
Søren lo guardò, intensamente, poi gli scompigliò i capelli.
Il viso di Seth si tramutò in una maschera di orrore.
«Yogurt!» esclamò al settimo cielo il rosso, mentre prendeva il cucchiaio dalle mani ormai inermi del moro e lo lanciava a Keith. «Andiamo!!!!» fece poi, uscendo dallo studio con l’accondiscendente amico in stato di paralisi totale.

Lo stato confusionario di Seth durò ben poco: appena usciti dall’edificio un gruppo di ragazzine morì letteralmente alla sua splendida vista, come accadeva sempre, e questo servì a rincuorare l’affascinante ragazzo.
«Søren mi spiegheresti perché… te ne stai andando in giro con la tua chitarra?!» domandò al compagno, che camminava allegramente con un sorriso stupido sul viso e la chitarra a tracolla.
«Semplicissimo!» (Seth pensò che non c’era niente di semplice, nella sua mente malata) «faceva troppo caldo per mettersi il cappotto… e non avevo nient’altro di scozzese! Non potevo permettermi di uscire senza qualcosa di scozzese! Così ho portato Kitty-pooh», spiegò, facendo le fusa alla sua chitarra.
Seth osservò lo strumento, dipinto di quello scozzese che tanto amava il suo padrone, e decise che era meglio non fargli altre domande.
In fretta arrivarono ad una yogurteria mai provata prima, che si fecero indicare da un gruppo di fans che acconsentirono gentilmente ad accompagnarli – se nel termine “gentilmente” si includono i tentati rapimenti di chitarra, tastierista e chitarrista da parte delle ragazzine assatanate –. Entrarono, non appena si furono liberati dal gruppetto con un’abile mossa alla Lady Oscar: gettarono un capello di Seth al vento, lasciando che la brezza lo conducesse lontano, ad attirare le fans come avrebbe fatto il miele con le api. O con Keith e Søren, la sostanza era la stessa.
Il piccolo negozietto era deserto, e lo scampanellio prodotto dall’apertura della porta risuonò sinistro nella sua eco spettrale. I due giovani si guardarono intorno, chiedendosi se il proprietario (o la proprietaria) fosse uscito per alcuni minuti dimenticandosi di affiggere alla vetrata il cartello “torno subito”. Trovarono poi fonte di distrazione nel bancone davanti a loro, che mostrava in una gustosa parata tutto ciò che potevano mettere sul loro yogurt per renderlo “unico e indimenticabile”, pensarono entrambi. Se fossero venuti a conoscenza di quella loro istantanea comunione di idee, avrebbero capito che c’era qualcosa che non andava. Non solo lo scampanellio era presagio di avvenimenti funesti.
Non dovettero attendere molto, per scoprire che il proprietario era nel retrobottega. Si fece avanti, salutando i due clienti, sfoggiando un sorriso cordiale. Era un ometto come tanti, con due occhi un naso e una bocca, senza alcun segno distintivo sul viso o nell’intera figura.
Che cosa, allora, aveva provocato un brivido improvviso lungo la schiena di entrambi?
«Oh, scusate, mi rendo conto di essere un pochino esagerato per questo periodo», disse l’uomo dietro il bancone, prendendo poi un telecomando che puntò contro un apparecchio attaccato al muro. Premette un pulsante, che spense l’aria condizionata. «Bene, in che cosa posso servirvi?»

Cinque minuti dopo, i due musicisti erano seduti sulla panchina di un parchetto a gustare il loro yogurt. Sembravano entrambi aver dimenticato subitamente la strana sensazione che la visione di quell’uomo aveva provocato in loro; nemmeno l’aver trovato un pon pon arancione nei loro yogurt era bastato a cancellare nei due la felicità per il buonissimo cibo cremoso che stavano mangiando.
Søren, tutto contento, guardava le lucenti volute che il miele compiva abbracciandosi alla crema bianca prima di infilarsi in bocca il cucchiaino. E lo faceva ad ogni boccone.
Seth, dal canto suo, mostrava molta più attenzione alla figura riflessa nel suo specchietto a forma di paperella, che di tanto in tanto mangiava distrattamente il suo yogurt. La trovava dannatamente sexy, in ogni minimo movimento della labbra e del viso. Avrebbe voluto baciare quel ragazzo, così bello ed attraente, lì al suo fianco, contornato da una paperella.
Søren si voltò a guardarlo, distraendosi dal suo miele, e rimase sorpreso da ciò che vide: il tastierista aveva occhi pieni di amore, davanti ai quali qualunque cuore avrebbe palpitato… le sue labbra si stavano avvicinando, schiudendosi…
«Seth, stai di nuovo per baciare la tua immagine riflessa nello specchio? È già la quinta volta, questa settimana. Ed è solo lunedì», disse, prima di tornare con una scrollata di spalle al suo yogurt.
Il moro si riscosse da quel rapimento estatico, e tornò in sé. Mandò un’occhiata carica di fascino alla sua immagine riflessa nello specchietto, e ricominciò a mangiare con più attenzione.
Era una bella giornata di sole, di quelle in cui è piacevole mangiarsi uno yogurt su una panchina all’ombra, di quelle in cui un chitarrista inizia a sentire le voci dentro di sé.
Søreeeeen, Søreeeeen…
diceva una voce, proveniente da un albero poco lontano.
«Voglio vedere il miele che brilla al sole!!!», disse il rosso, alzandosi dalla panchina per spostarsi in un angolo illuminato dalla luce.
Søreeeeen, Søreeeeen…
disse ancora la voce, calma e sinistra.
«Brillaaaaaaaaa!!!», esclamò il giovane tutto felice, mentre Seth si girava dalla parte opposta facendo finta di non conoscerlo. Meglio parlare con il bel ragazzo dello specchietto.
E che diavolo Søren, vuoi ascoltarmi oppure no?!
Questa volta il chitarrista guardò nel punto da cui proveniva la voce, spaventato. Aveva il cucchiaino in bocca, immobile, e se fosse rimasto per troppo lì probabilmente gli si sarebbe cementato ai denti a causa del miele.
Søren, vieni qui…
Søren sbatté gli occhietti, non capendo.
Dietro l’albero.
Søren continuò a non capire.
Questo
e una mano comparsa dal nulla, fluttuante nell’aria, gli indicò l’albero in questione, poco lontano.
«Ho capito!» esultò il rosso, la paura scomparsa dal suo cuore. Il suo cervello non aveva compreso tutto, a dir la verità, ma si era accontentato di aver capito qual era l’albero verso il quale gli era stato chiesto di andare. «Torno tra un attimo, ti affido Kitty-pooh», disse tutto sorridente a Seth, il quale senza nemmeno guardarlo gli fece cenno con una mano per dirgli che poteva andare. Al suo fianco, sulla panchina, era accomodata la chitarra elettrica dal motivo scozzese.
Søren camminò, spensierato, fino al tronco: non sapeva che i suoi piedi lo stavano conducendo ad una drammatica svolta della sua vita. Arrivò a destinazione… e lo vide. Dietro l’albero c’era un clown, di quelli che si vedono nei circhi o davanti ai McDonald’s, con un gruppo di palloncini tenuto in una mano e tre pon pon arancioni in fila sul suo vestito giallo sgargiante.
«Ciao Søren», fece lui, con voce affabile.
«Ahhh, un clown, ho paura dei clown!!!!»
«Lo vuoi un palloncino? Volano!»
«Ahhh, un palloncino, ho paura dei palloncini!!!!»
Il clown lo guardò, alzando gli occhi al cielo.
«Ahhh!!!!» fece ancora il chitarrista, muovendo un passo per scappare via.
«Aspetta, non puoi andartene così, non ti ho ancora fatto avere la tua visione!», esclamò il clown, evidentemente contrariato, sbuffando. Søren, che era sempre stato un bravo bambino, si fermò tornando a prestare attenzione al suo interlocutore.
Ed in quel momento vide una cosa terribile… terribile e spaventosa, come il loro manager quando si alzava con la luna storta, o quelle rare occasioni in cui Raven perdeva le staffe. Vide qualcosa a cui nessuno avrebbe mai voluto credere, qualcosa che nessuno avrebbe mai voluto osservare con i propri occhi. Il clown aveva aperto la bocca, ridendo maligno, e al posto dei denti gli scintillava al sole una minacciosa fila di lamette della Gillette. Rideva, e sangue sgorgava dalle sue gengive, che andava a colorare il contorno della sua bocca per formare quel sorriso alieno che animava la bocca di ogni clown.
Søren era sbiancato, immobile.
Il sangue gli faceva impressione. Quasi più del fatto che avesse delle lamette infilate nelle gengive.
Ma il peggio doveva ancora venire… con voce che sembrò innaturale, proveniente da un mondo che nessuno avrebbe mai voluto visitare, il clown iniziò una brutale litania… presa pari pari dalla pubblicità.
«Gillette, il meglio di un uomo~», canticchiò.
E fu in quel momento che i nervi di Søren cedettero.
«E va bene, va bene!» gridò, piangendo, serrando gli occhi per non vedere più quell’orribile spettacolo, premendosi le mani sulle orecchie per non dover più sentire quella voce tagliente come le lamette che facevano sfoggio di loro stesse nella sua bocca. «Non ho mai usato quelle lamette e mai le userò, ok? Perché non mi sono mai fatto la barba e mai me la farò, perché non mi cresce e non so perché!!! Ma sono un uomo, un uomo, lo assicurooooooooo!!!!», gridò al cielo, in un misto di lacrime e dolore. Poi corse via, continuando a piangere le parole “sono un uomo, sono un uomo!!”, sfrecciando davanti a Seth ed uscendo dal parco. Dopo pochi istanti, era già svanito alla sua vista.
«A volte Søren è un pochino strano», disse il tastierista alla figura nello specchietto, la quale gli rispose con un cenno sorridente del capo. Ah, adorava intendersi così bene con quel ragazzo.
Era una bella giornata di sole, di quelle in cui uno yogurt al miele giace riverso nell’erba accanto ad un albero… ricoperto di inquietanti pon pon arancioni.
Gillette, il meglio di un uomo~

Fine Capitolo I.



Bonus #1: Søren

Data di Nascita: 16/09/1985
Paese di Nascita: Danimarca
Altezza: 1.81 cm
Peso: 69 kg
Colore degli Occhi: Azzurro ghiaccio
Colore dei Capelli: Rosso
Segni Particolari: Un tatuaggio raffigurante una piuma sulla scapola sinistra
Curiosità: Il suo colore naturale di capelli è il biondo
Ama: Lo scozzese in tutte le sue forme, il miele, le cose pucciose
Odia: I clown, i palloncini, i rettili
Colore preferito: Azzurro
Animale preferito: Volpe
Hobbies: Suonare, scrivere, guardare cinicamente le persone e dare giudizi (ma non lo fa spesso, è troppo pigro)
Il suo motto: Muori oggi, ma vivi di giorno (frase che ha senso solo per lui)
 
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