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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Slam Dunk
Titolo Fanfic: LA FINE DI TUTTO
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: springhaylee galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 23/06/2003 10:13:11 (ultimo inserimento: 01/07/03)

l` amore non chiede mai, da sempre. l` amore sopporta sempre e non si vendica mai.
 
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DAPHNE
- Capitolo 1° -

La fine di tutto


CAPITOLO I

Il tuo amore è un fiore chiuso
Che s' apre d' improvviso dentro di me
Come una grande stella. P. Neruda

Amore e morte
Questo è un archetipo ancestrale. C. Pavese

Ciò che si fa per amore si fa sempre
Al di là del bene e del male. F. W. Nietzsche




Daphne.


DRIIIIIIIIIIN DRIIIIIIIIIIIIIIN

Al suono insistente della sveglia Kenji Fujima si rizzò a sedere di scatto e gettò via le coperte prima che la tentazione di risprofondare sul materasso lo cogliesse.

La fronte imperlata di sudore... si portò indietro i capelli con la mano destra mentre la sinistra cercava a tentoni l' oggetto maledetto.

Accidenti a quella dannata sveglia!! L' aveva programmata in modo che avesse uno squillo simile a quello del telefono, così da scattare subito quando era ora, ma ogni volta che sentiva quel suono infernale gli veniva da gridare "Mamma! Non lo senti il telefono?".

Mah... per tre anni si era svegliato tutte le mattine in quel modo, poi dopo quasi sei anni di pausa era tornato a quella tortura.

Riapparire per fare l' allenatore. Aveva momentaneamente abbandonato l' università per tornare nella palestra dello Shoyo, solo un altro anno, ma per cosa, poi? Solo per la stupida fissazione che si era fatto in prima liceo insieme ai suoi compagni. Hanagata, Kazushi e lui, il capitano - allenatore Kenji Fujima.

Continuare a fare l' allenatore. Proprio lui?

A quanto pare non era ancora stato sconfitto abbastanza! Stupido... il Kainan ormai è un sogno irraggiungibile. Lo Shoyo è un istituto piuttosto prestigioso, perché ti devi accanire contro un mostro sacro come il Kainan? Vuoi forse rovinargli la reputazione?

Sei già stato sconfitto ricordatelo, e non dal Kainan, ma dallo Shohoku, ancora prima di vederlo l' amato Kainan.

Maledizione... Aveva ancora sonno, forse era meglio farsi una doccia.

Saltò su e si fiondò in bagno.

Quando uscì dal box doccia si fermò davanti al lavandino e diede un' occhiata veloce al suo volto. Non era cambiato molto da quando era l' asso dello Shoyo: gli stessi capelli castani, un po' lunghi, gli stessi occhi blu. Le uniche differenze consistevano nel fatto che il sorriso sbarazzino di un tempo, che lo faceva sembrare quasi una femmina, si era fatto più duro, più "da uomo", ed il volto era incorniciato da un' ispida barba. Si vedeva chiaramente che era un uomo adulto di quasi venticinque anni e non più un ragazzino. Però, se si fosse tagliato la barba magari sarebbe sembrato più giovane...

Prese un rasoio e si mise al lavoro. Quando ebbe finito rivide il Kenji Fujima di un tempo, solo con una mascella più pronunciata, un volto quasi da macho, forte e ombroso. Ma quegli occhi blu erano rimasti dolci e vivaci come un tempo.

S' infilò un paio di jeans, una maglietta e scese in cucina portando il borsone con sé.

Sua madre, che fino un momento prima gli aveva dato le spalle, si voltò e gli sorrise
- Sembri ringiovanito di sei anni!- lui ridacchiò nervosamente e si sedette a tavola. Lui viveva da solo ormai, ma lei aveva insistito per fargli compagnia per un po' di tempo. Suo marito era morto da un po', e da quando anche l' unico figlio se n' era andato si sentiva sola. Anche se non ce n' era motivo, dato che abitavano a due case di distanza. La donna gli mise davanti una tazza di caffè, Kenji l' afferrò e iniziò a bere lentamente. Nel frattempo vide sua madre sedersi sul divano con un bicchiere di caffelatte, come faceva sempre. Teneva lo sguardo fisso avanti come se stesse guardano qualcosa e apriva la bocca solo per farvi scivolare dentro il liquido marroncino chiaro.

Distolse l' attenzione e si abbandonò sulla sedia portandosi con una mano la tazza alle labbra mentre con l' altra si portava indietro i capelli dagli occhi. Finì il caffè e fece per rialzarsi quando sua madre lo bloccò per un braccio
- Lo sai che qualcuno è venuto a stare qui vicino, nella casa che era in vendita?-
Kenji lasciò andare il borsone e sospirò - Davvero?- chiese cercando di assecondare l' innata capacità di sua madre di non farsi mai gli affari suoi
- Si- replicò la signora tutta eccitata - Si tratta di una ragazza! È arrivata giusto ieri sera! È una straniera, ma non so ancora come si chiama o che ci faccia qui!- continuò alla velocità della luce come se avesse paura che il ragazzo scappasse via prima di sapere tutto. Kenji sorrise: almeno sua madre e sua nonna avrebbero avuto qualcosa sui cui spettegolare, dopo che i Koyshikawa se n' erano andati due mesi prima.
- Ah... mi fa molto piacere, io adesso devo andare però!-

Riprese il borsone e uscì di casa. Camminò lentamente lungo il vialetto tenendo una mano in tasca e l' altra sulla spalla reggendo il borsone, sembrava davvero di essere tornati indietro nel tempo... Infondo aveva un po' di nostalgia.

Pochi metri davanti a lui qualcuno stava frugando dentro il bagagliaio di una Multipla. Allora era vero quello che diceva sua madre, avevano un nuovo vicino. La misteriosa figura riemerse dallo scompartimento trascinando con sé una valigia dalle dimensioni di un armadio; la trainò fino alle scale di casa sua e ve la spinse dentro. Ken ridacchiò sotto i baffi. Poverina! Era così buffa con quell' ammasso d' oro in testa e il fiatone a causa di quello sforzo, per lei, immane.

Riprese a camminare e la vide ritornare verso la macchina con lo scopo di frugare di nuovo nel portabagagli; stava per passarle accanto quando la ragazza avvertì dei passi e si girò immediatamente verso di lui, fissandolo leggermente spaventata. Quello che aveva davanti era sicuramente l' uomo più bello che avesse mai visto in vita sua: alto forse 1, 80, fisico possente e scolpito. Il volto era messo in ombra dai capelli un po' lunghi, ma attraverso quelle ciocche castane brillavano due occhi blu acceso. La mascella era pronunciata e coperta dai resti di una barba corta e spinosa, un muscolo guizzava veloce e scattante. A vederlo così sarebbe sembrato un macho qualunque, ma quegli occhi da peluche non lasciavano spazio a dubbi in merito. Quell' uomo era dolce, tanto dolce, lei certe cose le capiva subito.

Kenji si fermò subito, colpito da quello sguardo oltremare. Si vedeva chiaramente che era straniera... non aveva mai visto lì, in Giappone, degli occhi talmente grandi, con quella forma strana e soprattutto quel colore.
- Buongiorno - la salutò ancora un po' stupito
- Oh... buongiorno...- rispose lei sciogliendo subito la sua espressione di spavento e sorridendo apertamente. Lui ricambiò il sorriso e le porse la mano - Sono Kenji Fujima... abito proprio qui accanto- Lei la strinse energicamente
- Allora siamo vicini! Io mi chiamo Daphne, Daphne De Angeli -

Lui ripeté mentalmente il suo nome per un po'... Daphne... lo aveva già sentito, gli pareva che fosse un nome mitologico, ma non ne era sicuro. Doveva essere legato ad una divinità dell' antica Grecia, e a dire la verità lei gli dava proprio l' idea di un essere fuori dal comune, forse perché era straniera.
- Dimmi, gli amici ti chiamano Kenji o Ken?-
- Eh??- lui all' inizio rimase stupito da questa domanda, poi però non riuscì a rimanere serio e rise. Aveva parlato con un' ingenuità sconcertante. Ma non lo sapeva che in Giappone non ci si prendeva mai troppa confidenza con il prossimo? - Ma veramente... raramente ci chiamiamo per nome...-
Daphne si batté una mano in fronte e arrossì leggermente - Ah è vero! Qui in Giappone avete l' abitudine di chiamarvi per cognome! Ad ogni modo, io non lo sopporto, quindi ti prego di chiamarmi per nome!-
Ken annuì sorridendo dolcemente e si spostò la frangia dagli occhi dovendo ammettere di essere ancora un po' stupito.
- D' accordo...- lei, che da quando era arrivata si era sentita spaesate e sola, ora si sentiva decisamente molto più a suo agio.
- Grazie...ah, ti dispiace se non ti chiamo per cognome?-
- Certo che no!- rispose Ken senza pensarci troppo. Non era abituato a prendersi tanta confidenza con le donne, perfino con le compagne di classe non aveva mai avuto rapporti troppo stretti, le donne non gli interessavano come interessavano ai suoi amici. Non gli andavano le storielline senza significato, quindi non si lasciava mai avvicinare dalle sue ammiratrici e non cercava mai scuse per avvicinarne una; però Daphne aveva un sorriso dolce e benevolo come quello delle Madonne che sua nonna amava tanto disseminare in casa sua per convincere gli altri e se stessa di essere credente. Non gli sembrava affatto una ragazza superficiale come le altre, non vestiva in modo appariscente e da come arrossiva e dall' ingenuità delle sue parole si capiva che era umile. Molto umile... forse un po' insicura. Ora che lui le aveva accordato il permesso di chiamarlo come voleva, teneva lo sguardo basso e sorrideva contenta.

- Senti... da dove vieni?- le chiese incuriosito dalle fattezze della sua figura
- Dall' Italia!- rispose lei sicura - Sono nata e cresciuta là! Mi sono trasferita qui per lavoro, sono arrivata solo ieri sera, ho ancora i nervi a fior di pelle!- Lui non aveva mai dato pesò alle cose materiali, e non gli interessava nemmeno sapere di essere considerato "bellissimo", ma doveva ammettere che la voce di Daphne era davvero incantevole. Intensa e carica di passione e poi... dolce, molto dolce, ma a tratti incredibilmente energica e viva. Rispecchiava benissimo la personalità vivace e piena di vita che gli aveva appena mostrato, ma era palese che nelle sue profondità si nascondeva una sensibilità decisamente troppo elevata e l' insicurezza probabilmente derivante da qualche oscuro evento del passato. Sembrava che accarezzasse ogni parola... e poi quelle labbra così protese parevano baciare l' aria.
- Capisco... però parli molto bene la nostra lingua!-
- L' ho studiata all' università! E comunque ho sempre avuto una passione quasi ossessiva per i manga e tutto ciò che riguarda il Giappone!-

Che simpatica... doveva ammettere che era veramente dolce! Gli piaceva quella sua schiettezza, la sua freschezza e soprattutto la sua semplicità. Si vedeva che era semplice, con poche complicazioni e assolutamente naturale. Si, gli piaceva così fuori dagli schemi di tipica ragazza sempre alla moda e col cellulare sottomano. Era piuttosto imbarazzata a parlare con un uomo come lui, probabilmente non aveva molta esperienza in questo campo. Un altro punto a suo favore. Le donne che di solito ci provavano con lui erano proprio "mangiatrici di uomini", cambiavano i ragazzi come si cambiano le camicie, e davano peso solo all' apparenza.

Lei era carina. Una figura particolare e interessante. Non molto alta, gli arrivava più o meno al petto, fisico snello, forse esile se non fosse stato per le curve piuttosto insolenti dei fianchi e del sedere che si staccava in maniera oltremodo sfrontata dalla schiena. Le cosce erano rotonde e robuste, ma si andavano assottigliando verso le ginocchia delicate, il ventre poco pronunciato e le forme del seno dolci. La pelle era candida come il marmo con delle sfumature di porcellana. Quando si erano presentati ed avevano accostato le loro mani, quello piccola di lei in quella grande dalla grana dura di lui, aveva sentito quanto quella membrana sottile fosse morbida, tiepida e liscia; sarebbe bastato un minimo gesto brusco per segnarla. Le spalle erano spioventi e leggermente irrobustite da qualche sport, ma delicate e molto, la pelle lasciata scoperta dalla canotta era arrossata dal sole; dalla loro curva morbida si risaliva verso il collo lungo, da cigno, inverosimilmente candido e sensibile. Poi il viso, un viso dolce e tenero, da bambina. Perfettamente ovale, dalle gote appena sporgenti, un po' pallido forse ma la presenza di quegli incredibili occhi gli dava una luce indescrivibile. Splendidi occhi... un colore eccezionale e labile, ma sempre bellissimo. Kenji pensò seriamente che quelli fossero gli occhi più belli che avesse mai visto in vita sua. Grandi, da gatta, sfrangiati da ciglia lunghissime e nere, il loro movimento ricordava lo sbattere delle ali di una farfalla. Gli iridi erano limpidi e dentro di essi i colori del mare e del cielo che si rispecchia sopra di esso si mescolavano talvolta con spruzzi a forma di fiamma, a volte si amalgamavano dando vita ad una combinazione indefinibile, oppure il verde prevaleva sull' azzurro o viceversa. Dipendeva tutto dalla luce. Quei piccoli quadri erano contornati da dei tratti verde scuro che s' andava assottigliando ogni tanto e all' ombra prendeva le sfumature del blu malinconico delle acque gelide dell' Antartico. Portava i capelli raccolti dietro al capo in un chignon piuttosto scomposto, dal quale sfuggivano alcune ribelli ciocche perfettamente lisce e dorate.

Oro...

Un colore caldo che rifletteva la luce del sole come uno specchio. I colori radiosi dei suoi occhi e dei suoi capelli gli facevano venire in mente una spiaggia tropicale, con le palme, la sabbia bollente ed un mare limpido. A rendere il tutto ancora più naturale erano le sopracciglia nere e scomposte che con la loro arcata ampia, sormontavano magnificamente quegli occhi color dei lapislazzuli. Un rosa nel deserto.

Diede una rapida occhiata all' orologio... caspita, era tardi! aveva giusto dieci minuti per essere i palestra!
- Scusami, ma devo scappare! Sono in ritardo pazzesco!-
- Ahhhh...- lei alzò le mani come in segno di resa e rise leggermente scansandosi per lasciarlo scappare, Ken le passò accanto correndo e le gridò - Ci vediamo! Ciao!-
- Ciao!- rispose lei osservandolo mentre correva via tutto trafelato, poi improvvisamente notò una cosa. La sua giacca... la giacca di quel ragazzo era verde, aveva un numero 4 sulla spalla. Shoyo. Lo Shoyo. C' era da aspettarselo vista la sua altezza.

Andò in casa. Era stanca di scaricare bagagli. Chiuse distrattamente la porta alle sue spalle e sprofondò nel divano. Ma stavolta non arrivò sua madre ad insultarla come al solito. No... nessuno più le avrebbe augurato di morire, non avrebbe più avuto nessuno da detestare. Sua madre... la donna che l' aveva messa al mondo e che odiava.
Sua madre Antonella... era una donna distrutta da una malattia cronica e dall' invidia che provava nei confronti di sua figlia Daphne, che era ancora così giovane, così sana e sempre così allegra. Aveva quattordici anni quando, l' ultimo giorno di scuola, andò sotto un camion; perse molto sangue e dovettero farle urgentemente una trasfusione. Allora, non si effettuavano controlli scrupolosi e l' epatite C non era conosciuta, quindi nessuno sapeva spiegarsi da cosa dipendessero i frequenti dolori al fegato che la colpivano. Solo qualche anno dopo capirono, ma non c' era già più modo di curarla. Dovette imparare a convivere col dolore e con la consapevolezza di non poter tornare come prima. Ma allora era ancora forte, e poteva ancora innamorarsi, infatti così fece. Lui, il padre di Daphne, era un bell' uomo, desideroso di avventure e quindi non si fece troppi problemi a portarsi a letto Antonella, che non era particolarmente bella ma che ci stava. Lei s' innamorò subito e rimase incinta, lui non era innamorato, ma l' educazione rigida che aveva ricevuto non gli permetteva di lasciarla così, con un figlio da crescere, allora la sposò. Nacque Daphne e subito Antonella si sentì inferiore a lei, che era bella, che aveva tutte le attenzioni del suo uomo, ma infondo era pur sempre sua madre e non poteva fare a meno di volerle bene. Però, man mano che la ragazza cresceva, si sentiva sempre più gelosa di quella vitalità e allora cominciò a darle addosso in tutto, a rivolgerle gli insulti più terribili per ogni minima cosa, persino per ciò che non combinava. Daphne all' inizio cercò di capire in che modo assecondarla, ma preso iniziò a provare un odio profondo per quella donna che in teoria avrebbe dovuto essere sua madre. "In teoria" perché non è tipico di una madre dire "puttana" "spero che morirai presto" alla propria figlia. Odiava Antonella e provava disgusto per tutto ciò che la riguardava. Aveva i capelli biondi, gli occhi verdi e la pelle dorata, ma quelle membra che potrebbero sembrare proporzionate erano completamente e assolutamente abbruttite dall' invidia, dalla stupidità, dalla volgarità. Non spiaccicava una parola d' italiano, parlava solo dialetto e quella sua orrenda voce strozzata spingeva il destinatario ad abbandonare la conversazione che stavano intrattenendo. E comunque con lei era impossibile parlare, dato che non aveva cultura, non aveva idee personali, ed era irrimediabilmente ignorante. Daphne invece studiava, si appassionava di varie cose, leggeva moltissimo e parlava speditamente; Antonella ogni tanto la sgridava dicendole che non conosceva l' italiano eppure era lei stessa che non lo parlava. Ma la cosa che più di tutte aveva spinto Daphne ad odiare sua madre erano le mani di quest' ultima... orride e tozze. Grottesche. E si ricordava benissimo di come la picchiavano, di come si posavano sulla sua pelle delicata in quella maniera così grossolana, e ricordava soprattutto il disgusto che provava al solo vederle. Anzi, provava disgusto ogni volta che vedeva lei. Sua madre le diceva che puzzava, che era una "sporca", eppure era lei stesse che quando andava in bagno non aveva il buon gusto di chiudere la porta, era lei che quando usciva dalla doccia l' asciugamano se lo metteva intorno alle spalle invece che intorno al corpo. Daphne sapeva che sua madre le voleva bene, lei però la odiava. Nei 24 anni che aveva passato con lei aveva sofferto e basta, si era solo crogiolata nell' odio. Una volta ottenuto il diploma, era fuggita il più lontano possibile ed ora finalmente poteva dire di essere felice.

Basta... basta pensarci... Quella donna non è più affar mio. Non le dispiaceva affatto non rivedere più sua madre, non le dispiaceva affatto.

Si alzò e decise che era ora di rimettersi al lavoro. Avrebbe dovuto finire entro sera, altrimenti domani non avrebbe fatto in tempo a fare quello che doveva fare. Anche lei aveva un sogno... e in Giappone poteva realizzarlo.


Il rumore delle palle che rimbalzano sul parquet e le scarpe che stridono, le riserve che esultano dalla panchina... Dio, quanto gli era mancato tutto quello! E poi correre lungo il campo, scansare gli avversari, eludere la difesa e finalmente trovarsi faccia a faccia col canestro. E naturalmente Slam Dunk. Come poteva mancare il più nobile fra i tiri, quello che fa emozionare perfino i tifosi della squadra avversaria, quello che ti fa battere il cuore come se avessi appena fatto l' amore.

Sorrise... perché parlava così? Lui non l' aveva mai fatto, anzi, una volta era stato con una ragazza, ma solo per una notte. Poi se n' era subito pentito. Quello era stato solo... sesso...quindi quel batticuore ancora non l' aveva provato. Se solo quella sera avesse bevuto di meno non sarebbe successo! Bah... allora aveva solo 18 anni... era ancora troppo immaturo.
Ma che cazzo stava dicendo! Non era certo quello il momento di pensarci! L' avanzata di Kazushi era davvero rovinosa, sarebbe andato a canestro se non l' avesse fermato! Scattò, gli rubò la palla veloce come un fulmine e rapidamente ci andò lui a canestro. L' altezza che aveva acquisito diventando "adulto" e soprattutto la massa muscolare che aveva messo su gli permisero di fare Slam Dunk senza troppi problemi: le matricole erano tutte spaventate e perfino quelli del terzo anno non aveva avuto il coraggio di muovere un dito.

Così non andava bene...

Non era certo che lui e Kazushi avrebbero giocato durante il campionato, se quei ragazzini si lasciavano intimidire a quel modo figuriamoci se avrebbe passato le selezioni.

C' era da lavorare. E molto. Ma non come un tempo: dov' era finito lo Shoyo fiero e tanto temuto di un tempo? Ormai Shoyo era solo un nome.

Sospiro...

Ma no! Non doveva essere così disfattista! Ci fosse stato bisogno di sudare sette camicie, lui non si sarebbe tirato indietro e nemmeno Kazushi.

Girò il capo e vide il suo amico seduto accanto a lui, il suo solito sguardo impenetrabile e all' apparenza freddo. Sorrise. Aveva sempre ammirato Kazushi, non c' erano dubbi in merito, tutti in squadra lo sapevano. Si era allenato più di chiunque altro e meritava la vittoria più di chiunque altro. Così forte e determinato.

- Kazushi...- lo chiamò con un filo di voce. Lui si riscosse dai suoi pensieri
- Si?- Ken gli si fece più vicino e gli parlò quasi in un orecchio
- Tu che sai tutto...- iniziò un po' timidamente, ma quello lo interruppe con un sorriso tremulo sulle labbra
- Io saprei tutto?-
- Ma piantala! Sei sempre stato un cervellone!-
- Capirai che roba!-
- Taci, ho bisogno delle tue perle di saggezza!!-

Kazushi annuì e si preparò ad ascoltare le domande dell' amico, che nel frattempo era arrossito leggermente. Del resto come lo spiegava un quesito del genere? Improvvisamente era diventato anche lui un secchione??

- Sbaglio o... Daphne è un nome mitologico?-
- Certo!- asserì il ragazzo sicuro - Vuoi che ti racconti il mito di Daphne?-
Kenji annuì e lui cominciò.
- Devi sapere che fra Apollo, il dio del sole, e Cupido, il dio dell' amore non correva buon sangue. Un giorno, Cupido colpì Apollo con la sua freccia dorata e lo fece innamorare perdutamente della splendida ninfa Daphne. Poi colpì lei con una freccia diversa e fece nascere in lei un odio profondo verso il dio, che tentava di avvicinarla in ogni modo e la rincorreva gridandole tutto il suo amore. Daphne, disperata e stremata da quell' inseguimento chiese a Zeus di aiutarla, lui la trasformò in un albero di ulivo. Nonostante tutto, l' amore di Apollo non diminuiva, anzi, egli fece dell' ulivo la pianta a lui sacra. -

Kenji ridacchiò vedendo l' eccitazione con cui Kazushi raccontava la storia, infatti Kazushi, oltre ad essere uno straordinario giocatore ed un uomo eccezionale, era anche un inguaribile romantico!

- Ah... ho capito perfettamente - gli intimò cercando di recuperare il controllo e di nascondere il rossore che l' aveva colto.
- Perché me l' hai chiesto?- cercò d' informarsi Kazushi, dopotutto il suo capitano non si era mai mostrato interessato a certe cose
- Niente, solo curiosità- lo liquidò attirato dall' azione di una matricola che stava per andare a canestro - Piuttosto guarda cosa combina quello!-



Daphne ha un sogno, ma quale? Per il momento vi dico solo che il suo progetto centra col basket, non si tratta di giocare, ma comunque di qualcosa di molto ambizioso. Ma su che squadra ripiegherà? Lo Shoyo, forse? Non è detto.... Spring*Haylee



4



 
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