L'INIZIO
- Capitolo 1° -
La foresta era quieta e silente, solo una leggera brezza smuoveva la foschia che serpeggiava come un pigro, enorme, serpente tra gli alberi secolari che costellavano le colline. Fermò i suoi passi annusando l'odore dell'erba umida e della resina fresca, lasciandosi pungere dal freddo di quella serata d'inizio primavera, quando ancora l'aria e la terra odorano d'inverno, quando ancora non è la rugiada a coprire i trifogli e gli steli d'erba, ma la brina, se non addirittura il ghiaccio. I suoi occhi vagarono sul tetto di rami sopra di se, spogli e scheletrici. A valle gli alberi iniziavano già a gemmare, ma non qui, troppo freddo ancora, tanto che il suo fiato si condensava rapidamente, andandosi ad unire al resto della foschia, smossa repentinamente da una folata di vento più forte delle altre. Sospirò, chiudendosi nel giaccone scuro, e riprese a camminare verso la cima, non seguendo nessun sentiero se non il naturale pendio del colle, evitando radici sporgenti e buche coperte dal sottobosco, inerpicandosi a passo svelto.
Dopo un paio d'ore, quando ormai tutt'attorno l'oscurità aveva inghiottito ogni cosa, raggiunse una casa di legno, col tetto fatto di lastroni bianchi di pietra locale, talle tonalità rosate che nella notte erano l'unica cosa distinguibile dell'edificio. Dalle finestre non fuoriusciva luce, ne' dal camino fumo, ma sapeva benissimo che la casa non era vuota e bussò dei colpi secchi alla porta mentre si puliva le scarpe, prima di entrare.
- <<Sei quasi in anticipo, Carlo... hai novità?>>
La voce, bassa e calda, proveniva dal lato opposto della stanza in cui era entrato. Non vedeva il suo interlocutore, ma sentiva l'odore della pipa e la debole luce del fornelletto quando questi aspirava, illuminava vagamente i contorni d'un volto barbuto.
- <<Si, li ho trovati. O almeno, ho trovato uno di loro.>> Disse, chiudendo la porta dietro di se e allungando una mano per prendere lo schienale di una sedia che sapeva essere lì, andandosi a sedere. <<Credo siano almeno una mezza dozzina, non ho potuto controllare meglio, mi avrebbero notato; ma quello che ho seguito è andato fino al centro della città, in una casa che credo utilizzino come copertura diurna.>>
L'altra persona tacque, fumando lentamente, assorta nei suoi pensieri. Carlo allungò le mani sul tavolo di legno davanti a se, carezzandone le venature antiche, rese lisce ed irregolari da un susseguirsi di mani e tempo che rendeva tutta la superficie simile ad una pianura ricca di avvallamenti e cunette.
<<Chiama tutti per domani.>> Le parole erano dette con calma, ma con la tonalità e la sicurezza d'un ordine repentino, tanto da far alzare subito in piedi Carlo. <<Raduna gli anziani e i novellini, solito posto, solita ora, ma che ci siano tutti. Dobbiamo saperne di più e non puoi fare tutto quanto tu da solo...>> tacque una manciata di secondi, pensieroso. <<...il capo lo chiamo io... e anche l'orso, è meglio.>>
Carlo annuì semplicemente, aprendo la porta e uscendo di fretta dalla casa mentre un raggio di luna illuminava debolmente l'edificio filtrando attraverso la foschia ed entrando con la sua tenue luce a rischiarare l'ingresso ed il volto dalla barba scura striata d'argento del fumatore di pipa, lasciando intravedere, oltre i due occhi del colore della terra, un cranio completamente rasato su cui spiccava per la sua assenza, l'orecchio sinistro. La porta si richiuse, lentemente, mentre una lenta nenia in una lingua antica ed aspra s'iniziava a sentire provenire dalla casa.
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