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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Naruto
Titolo Fanfic: SANBANME SANNIN NO DESHI
Genere: Avventura, Autobiografico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Autore: vikip galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 02/09/2009 19:59:21 (ultimo inserimento: 03/01/10)

il titolo è in giapponese,ma nn sn sicura della grammatica...ki è + informato mi dica se ho sbagliato..(traduzione alla fine del 1° capitolo ^_^)
 
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PRIMA DI KONOHA
- Capitolo 1° -

Eccomi con una nuova ff!!!!! Dopo tanto tempo torno a scrivere su manga.it con una piccola storia introspettiva del mio personaggio preferito... ditemi che ne pensate!!!!


Vidi la luce in un piccolo villaggio ai confini nord di Konoha, tra le montagne, spesso conteso fra la Foglia e le altre potenze confinanti.
Si trattava di un pugno di casupole in mezzo a frutteti e vigneti, con una locanda e tante botteghe carine. O meglio, mi piacevano perché i proprietari, quando mamma mi portava con sé a fare spese, mi regalavano sempre qualche dolcetto, dicendo che ero un bimbo veramente bellissimo. Io sorridevo e uscivo masticando soddisfatto.
La sera papà mi guardava sospirando e metteva le mani sui fianchi, dicendo che la gente mi viziava troppo. Era un bell'uomo, il mio papà. Lo dicevano tutti, alla mamma. E io guardavo in su, chiedendomi come facevano a saperlo, visto che era sempre nei frutteti a lavorare. Io lo vedevo solo di sera, quando rientrava per cena. Era sempre uguale: lui entrava in casa, per prima cosa dava un bacio a mamma, poi veniva da me che giocavo, mi scompigliava i capelli, poi andava in bagno a lavarsi. Mangiava, rideva con me e mamma, poi io e lui l'aiutavamo a lavare i piatti, poi lui si sedeva e mi prendeva sulle ginocchia, e si faceva raccontare della giornata. Io gli dicevo delle persone che venivano alla locanda della mamma, del gatto della vicina che mi aveva rubato la merenda, del mal di pancia che mi era venuto a forza di mangiare caramelle. Lui rideva, commentava, e alla fine mi si alzava e diceva che era ora di fare la nanna. Io però dicevo che non dormivo se prima non mi raccontava lui qualcosa.
La storia era sempre la stessa. Era la mia preferita. "C'era una volta un ninja..."
...un ninja giovane, forte e bello, un ninja buono, che combatteva contro i ninja cattivi. Combatteva perché voleva proteggere le sua terra, o almeno così credeva. Diceva di voler essere il ninja migliore, per poter diventare un giorno il capo del suo villaggio. Ma un caldo vento estivo portò alle sue orecchie la dolce melodia di un canto. Uscì dalla sua casetta e vide una fanciulla bella come una principessa che danzava nella piazza del villaggio. Si innamorarono subito, volevano sposarsi, ma lei doveva andarsene con la sua compagnia e lui doveva fare la guerra. Furono mesi orribili, ma una volta terminata la guerra il ninja smise di essere ninja e se ne andò alla ricerca della sua principessa. Ma scoprì che la compagnia era stata attaccata dai briganti e lei era fuggita. Sopravviveva truffando la gente, in una continua recita, perché prima era stata un'esperta attrice, quando era ancora la bella girovaga. Lui la cercò tanto per tanti giorni, la trovò e si sposarono. Per vivere in pace andarono in un bel paesino in montagna, dove aprirono un locanda e vissero felici e contenti come un re e una regina insieme al loro piccolo principino...
"...che ora fa la nanna". Mi scompigliava i capelli, mi diceva "buona notte ometto", (io mi gonfiavo di orgoglio, perché per lui io non ero più un bambino, ero grande) e andava via. Poi entrava la mamma, mi faceva lavare i denti (cosa che mi ero "casualmente" dimenticato di fare), mi faceva le coccole, mi mi dava un bacio e andava a dormire con papà. Io però non dormivo. Mi alzavo e andavo ad ascoltare quello che mamma e papà si dicevano. Non mi scoprivano mai.
Di tutte le persone del villaggio, a parte mamma e papà, il mio preferito era il vecchio dottore. Non rideva mai, era sempre scorbutico e serio, ma di tutti è quello che mi ricordo di più. Per il villaggio si diceva che era un ninja dottore che alla fine della guerra era venuto a vivere qui in pace. Ricordo che le poche volte che lo vedeva, il mio papà lo chiamava "maestro". Io non mi stupivo: quando non curava, il dottore faceva il maestro dei bimbi grandi del villaggio. Diceva: "La curiosità è la base di tutto. Se uno non è curioso si tiene ciò che la vita gli mostra, e ciò che la vita gli dà, e vive una vita arida." (E io mi chiedevo: davvero? Davvero la vita può essere arida come la terra d'inverno?) "Ma se uno non si accontenta, se uno cerca per curiosità, chissà che non arrivi a trovare qualcosa che renda la vita più bella di prima. Quando io curo un bambino con la febbre, mi limito a fargli andare giù la temperatura, forse? No, io cerco il perché della febbre, in modo da dargli una medicina che lo tenga in saluto molto più tempo." Io ascoltavo di nascosto, dietro un cespuglio o un muretto, perché lui faceva il maestro nei prati. "Attenti, ragazzi" diceva ancora "la curiosità porta a risultati spesso sorprendenti. Se siete curiosi, se cercate di superare sempre i limiti che inaridiscono la vostra vita" (che cosa voleva dire? Boh) "sarete sempre più pronti alle sorprese. E sarete sempre più preparati a ciò che inaspettatamente la vita vi serba dietro l'angolo." Io non aveva mai sentito la parola "serba", ma più o meno avevo capito che dovevo essere curioso sempre e che dovevo fare attenzione quando giravo l'angolo. Così passavo i pomeriggi a esplorare ogni tronco, tana o anfratto, a guardare sotto ogni pietra, tra le radici di ogni pianta. Ogni muretto, ogni fiore, era per me una scoperta. E ogni volta che giravo un angolo prima sbirciavo, per essere sicuro di non andare a sbattere contro qualcuno. Come successe una volta che mi dimenticai di guardare. Caddi per terra, e mi feci male, ma mi trattenni perché, quando guardai in su, vidi che era il dottore.
"Ma tu guarda" aveva detto lui "non ti avevo sentito arrivare" mi tirò su di peso e io pensai che era forte come il mio papà. Poi però pensai che dovevo essere curioso, come aveva detto lui, soprattutto davanti a lui. La sua bottega non l'avevo mai vista.
"Scusa, maestro..." chiesi "...posso vedere le tue medicine?"
Lui mi guardò dall'alto, stupito, poi disse che solo se non toccavo niente. Io dissi di sì.
Mi portò nel suo negozio e mi fece vedere i suoi attrezzi. Di tutti mi ricordo quello per sentire il cuore e il cartello con i simbolini neri appeso alla parete. Quello, mi disse, serviva a vedere se i bimbi ci vedono bene. In genere si fa con le lettere dell'alfabeto, ma quello aveva dei disegnini e ci era affezionato perché era un regalo. Me lo fece provare. C'erano un sole e un fiore grandi, poi sotto una stella, un cuore, un simbolo dei villaggi ninja come quelli dei libri illustrati (una foglia) e un fulmine. Per le prime righe andai bene, poi cominciai ad avere qualche difficoltà. Il dottore mi fermò e mi diede uno strano pezzo di vetro. Mi disse di provare a guardare attraverso quello. Ci riuscii. Lui lo riprese e mi disse che ero miope, cioè non ci vedevo bene. Si sedette e aprì il cassetto della scrivania.
"Questi" mi disse "sono appartenuti a una persona a me cara. Te li affido perché so che non me li romperai."
Erano occhiali. Grandi e tondi, ma così mi sarebbero rimasti per tutta la vita. Me lo disse lui. Li inforcai contento, e guardai il dottore. Rimasi a bocca aperta. Non l'avevo mai visto così bene. Aveva i capelli bianchi e la faccia tutta rugosa, ma i suoi occhi erano azzurrissimi, vivaci, acuti, ancora giovani.
Tornai a casa correndo. Mi sembrava di volare, non ero mai stato così veloce. Quella sera accompagnai mamma e papà dal dottore, per ringraziarlo. Da allora andai spessissimo da lui. Mi diceva quello che faceva, lo guardavo mentre curava le persone e mi spiegava tutto. Io non capivo niente, ma non importava, era tutto bellissimo.
Quando compii cinque anni, lui mi disse che mi insegnava a leggere e a scrivere. E a contare. E diceva che ero bravissimo. In qualche mese ero capace di scrivere le lettere, dire l'alfabeto e leggere i libri illustrati da solo. Ma il gioco che preferivo era contare. Sapevo già fare il più e il meno.
Un giorno lo guardai e gli chiesi: -Maestro, di chi erano gli occhiali?-
Lui rispose: -Di mio figlio.-
-E ora dov'è?-
-è in cielo.-
-Perché?-
Lui guardò fuori dalla finestra la pioggia che cadeva: -Un ninja cattivo l'ha ucciso.-
-Oh.- riflettei un attimo: -e dov'è ora il ninja cattivo?-
-In cielo anche lui.-
-Perché?-
-Perché l'ho ucciso io.-
Io non risposi. Mi vergognai di averglielo chiesto. Continuai a contare, poi tirai di nuovo su la testa e chiesi: -Perché?-
Lui mi fissò un attimo, poi rispose: -Per vendetta.-
-Oh.- dissi.
Lui mi scrutò: -Tu sai cos'è la vendetta?-
Aprii la bocca con fare da sapientone, ma poi dovetti dire: -No, non lo so. Cos'è?-
-La vendetta...- disse lui -è quando tu vuoi giustizia, ma nessuno vuole o può dartela, e tu te la prendi da solo.-
-Nei libri illustrati i cattivi dicono sempre che vogliono "mi vendicherò"...-
-Ecco, è quello. Vendicarsi vuole dire fregarsene della polizia e dei militari e andare a fare giustizia da solo.-
-Ma la vendetta non è una cosa bella! La fanno i cattivi dei miei libri...!-
-La vendetta la posso fare anche i buoni. La vendetta è bella, se porta giustizia.-
-Ah.- e ripresi a contare.
Quella sera raccontai questa cosa che mi aveva detto il maestro alla mamma e al papà. Lo mi guardarono. Sembravano tristi.
-Uccidere non è una bella cosa.- disse il papà.
-Ma se i ninja cattivi vi uccidono, io posso fare la vendetta?- li spiazzai, con questa domanda. L'idea mi era venuta quando avevo collegato che il figlio era la persona cara del maestro. Ero giunto alla conclusione che i buoni fanno la vendetta per le persone care. Le mie persone care erano mamma e papà. Ma non ero ancora sicuro che la vendetta era una bella cosa, così avevo chiesto direttamente a loro.
La mamma guardò il papà, poi disse: -Noi vogliamo solo due cose da te: che tu ci renda fieri di te e che tu non smetta mai di curare i malati.-
-Ma io non sono un dottore!-
-Però aiuti i maestro. Così per lui è più facile curare i malati. è come se li curassi tu assieme a lui.- Io ero tutto contento.
Quando andai ad ascoltarli di nascosto, quella sera, li sentii che dicevano: -Dobbiamo chiedere al tuo maestro di non affrontare più quel genere di discorsi con nostro figlio.-
-Però mi ha fatto riflettere, quello che ha detto. Tu vorresti essere vendicata, se ti uccidessero?-
Una pausa, poi: -Ora che sono qui, al sicuro, con te a fianco e il bambino che dorme sereno nell'altra stanza, non me ne frega niente. Ma se ripenso ai briganti quando ci hanno assalito... quando mi sono sentita davvero vicina alla morte... sì. Ma non voglio neanche pensare alla morte di uno di noi tre. è tutto perfetto, ora.-
-Già.- un'altra pausa, un po' più lunga, poi: -Il mio maestro lo vuole come discepolo.-
-Davvero?-
-Sì. Sente di non avere più molto tempo.-
-Ma il bambino ha cinque anni!-
-...e una gran testa, a sentire il maestro. Nel giro di tre anni dovrebbe riuscire a curare i problemi più semplici. Sempre con la supervisione del maestro, ovviamente. Ma diventerebbe un bell'aiuto.-
-Non so. Il nostro bambino un medico... è strano.-
-Riflettici. Sarebbe un bene per tutti, anche per il resto del villaggio.-
Mamma sospirò: -E sia.-
E così fu per qualche mese. Fu l'ultimo periodo felice della mia vita, in cui imparai ad aiutare la gente rendendo fieri di me i miei genitori. Poi scoppiò l'inferno. Durò una notte. Ma nel mio cuore dura tutt'ora.
Il mio villaggio era piccolo ma ricco, scoprii anni più tardi, poiché si trovava in una valle in mezzo a due passi di montagna che formavano una via comoda per gli scambi commerciali. Il paese che la inglobava nel suo territorio guadagnava una buona superiorità economica sui Paesi confinanti. Fu tutta questa bramosia a portare a...
Ricordo che la mamma mi aveva appena fatto sedere per il pranzo, dicendomi di fare in fretta o avrei fatto tardi dal maestro. Papà entrò trafelato, con la spalla rossa e tutto sporco di terra.
La mamma si alzò e corse a sorreggerlo: -Cosa c'è? Cosa ti fatto al braccio?-
-Sono caduto. Siamo corsi al villaggio dai frutteti appena le sentinelle hanno dato l'allarme.- aveva il fiatone
-Cosa? Ci stanno attaccando? Ma... ma... nessuna richiesta... nessuna trattativa...-
-Non hai capito.- papà prese un respiro profondo e si terse la fronte: -Ci stanno attaccando due Paesi rivali. Questo sarà il loro campo di battaglia.-
-Ma così all'improvviso...-
-Sì, così all'improvviso!- l'interruppe papà. La prese per le spalle, costringendola a guardarlo in faccia: -Ascoltami. Dobbiamo lasciare il villaggio. Prendi il bambino. Accodati agli altri e raggiungete la cima della montagna. Loro passano per i colli, non andranno fin lassù.-
-E tu?-
-Io guiderò l'evaquazione con il maestro e il capovillaggio. Stanno già radunando tutti in piazza muoviti.-
Raggiungemmo la piazza senza neanche chiudere la porta dietro di noi. Il papà ci raggiunse subito dopo e si mise in piedi, dritto come un soldatino, dietro il maestro. Erano vestiti uguali, con abiti che davano loro un'aria cattiva. A me ricordarono subito i ninja dei miei libri illustrati. Partimmo subito, il capovillaggio aveva detto poche cose, ma con un tono che mi spaventò. Da allora i ricordi si fanno confusi. è tutto un confondersi di corpi in marcia e animali. Ricordo i pianti e gli strilli. Ricordo l'esplosione che ci fece separare dagli altri. Ricordo la mamma che mi trascinava nel bosco, mi caricava sulle spalle e arrancava su per la montagna, tagliando per il pendio, ignorando il sentiero. Ricordo l'odore di fumo e di carne arrostita. Ricordo il volto di mia madre, sporco, rigato dalle lacrime, gli occhi sbarrati alla ricerca di una via di fuga. Ricordo il ninja che comparve alle nostre spalle. Le parole che disse, il coltello che volava... Quando ci fermammo a riprendere fiato il ninja non ci inseguiva più. Ma la mamma perdeva sangue dalla bocca. Mi prese per mano e ricominciò a camminare. Ma barcollava e inciampava. Cadde. Io la chiamai. La chiamai tante volte. Lei mi accarezzò. Tremava. Mi disse solo: -Ka... bu... to...- poi fece uno strano sospiro e rimase immobile. Ripresi a chiamarla. Mamma. Mamma. Mamma... Mamma! Mamma mamma mamma!
Lo vidi allora. Il coltello del ninja.Il manico usciva dalla sua schiena.
Io urlai. Urlai alle stelle, senza stupirmi che la luna fosse già tramontata. Arrivò papà. Ripresi a chiamare la mamma, cercando di fargli capire che lei era strana, che non rispondeva più. Dormiva, forse? Ma non era il momento! La chiamai, sperando che papà mi aiutasse a svegliarla. Ma lui non lo fece. Mi prese in braccio. Io non capii: perché non mi aiutava? Non dovevamo forse andare tutti in salvo in cima alla montagna? Perché non si sbrigava? Cercai di dirglielo, di farglielo capire continuando a chiamarla, sempre più forte. Mi protendevo verso di lei, volevo svegliarla. La volevo, volevo la mia mamma! Allora papà aprì la bocca. Voleva dirmi qualcosa. Ma il manico del coltello ninja comparve anche nella sua testa. Prima che cadesse a terra altre braccia mi presero. Era un altro ninja. Mi disse qualcosa. Qualcosa tipo: "Tranquillo, quel ninja cattivo non ti farà più niente. mi dispiace per la tua mamma."
Io urlai ancora, in lacrime. Volevo spiegargli che lui non era un ninja cattivo, che era il mio papà. Ma temo... che non comprese molto da quel mio folle pianto.
L'uomo alzò la testa e disse: -Oh no!- e mi portò via. L'ultima cosa che vidi fu il fuoco divorare l'intera valle, compresi la mia mamma e il mio papà.
Passammo il colle che il cielo stava diventando grigio . Il silenzio ci circondava. Avevo smesso di piangere, finalmente, ma l'unico motivo tecnico era che non avevo più lacrime. Ma la tristezza non era passata, e continuavo a rivedere quelle scene, e a rimuginarci sopra. Riflettevo sull'unica cosa a cui mi portò quella notte. Era una discorso fatto mesi prima dal io maestro.
La mia mamma e il mio papà erano morti. Ormai ero grande, l'avevo capito. Ma, grande o piccolo che fossi, me li avevano portati via. Non era giusto. E io volevo giustizia. E la parola giustizia era collegata a doppio filo con un'altra parola, nella mia mente di bambino. Un'unica, altra, parola.
"... vendetta."
 
Continua nel capitolo:


 
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VOTO: (1 voto, 2 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 2 commenti
yameta62 - Voto: 03/09/09 11:16
Interessante, continua al più presto.
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vikip 02/09/09 20:03
ho dimenticato il commento finale!!!! Il titolo significa: "Il seguace del terzo ninja supremo." Direi che più chiaro di così...
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