NIENTE - Capitolo 1° -
Ecco a voi il capitolo unico di questo brevissimo racconto!!!^^ spero vi possa soddisfare e che non vi metta di cattivo umore...come già premesso ero molto depressa perchè stavo passando un bruttissimo periodo..che altro??? BUONA LETTURA^^
capitolo unico - Niente
Esco dalla casa dei miei nonni dove ho letto qualche capitolo del libro che ho appena iniziato. Saluto. A un certo punto una strana sensazione entra dentro di me. Rifletto. Senza accorgermi sono arrivata alla macchina. Salgo. Sul sedile posteriore. Mio padre avvia la macchina, davanti con lui c’è un suo amico che io chiamo zio. Zio. Strana parola. Usata per i casi di parentela, eppure io la uso anche per quell’amico di mio padre. Andiamo da mia zia per portare delle uova che la nonna ci ha consegnato. Saliamo. Entriamo e mia cugina mi abbraccia, le voglio molto bene. Parliamo e ridiamo ai discorsi incomprensibili di mia cugina che ancora non sa parlare. Arriva il momento di andare, di tornare a casa. Accompagniamo lo zio e poi andiamo. A un certo punto mio padre vuole fare una deviazione. Siamo andati a Clarina. All’inizio non capivo il perché di quel cambio di programma. Poi, arrivati lì, lo scopro. Voleva informarsi su un centro benessere per la sauna. Io allora, un po’ infastidita e stanca, risalgo velocemente in macchina quasi illudendomi che quei secondi in più facessero un’enorme differenza. Durante il tragitto io inizio a riflettere, ma a riflettere su cosa? Ho pensato. A riflettere su niente o almeno su niente di preciso. Niente. Parola che dice tutto. Parola che fa riflettere ancora di più. Niente. Una risposta a una domanda posta al momento sbagliato. Niente. Risposta breve per non approfondire, per non pensare eppure con questa parola semplice e insignificante pensi e rifletti. Eccomi. Sono arrivata a casa. Nella stessa casa che non più di tre ore fa ho lasciato con tanta fretta per il ritardo. Entro. Vado in camera mia e continuo il libro che ho interrotto a malincuore a casa dei nonni perché dovevo andare. Metto un cd per leggere meglio. Mi distraggo. Sogno ad occhi aperti. Sognare. Bel verbo. Ma a cosa serve sognare? Serve a illudersi, serve a inventarsi una realtà diversa, una realtà migliore dicono molti. Sognare. Verbo che tutti conoscono ma che in realtà non ha un significato. Mi rimetto a leggere. No, non ci riesco. Allora accendo il computer e gioco. No, non ci riesco. Non riesco a fare niente se non pensare. Pensare. Perché? Non ho mai avuto il bisogno di pensare eppure adesso non riesco a fare altro. Penso. Ma a cosa penso? Penso ai film che hanno fatto e che faranno alla televisione. Tempo sprecato dopo qualche minuto non so più a cosa pensare. Sogno. Sogno che i personaggi dei cartoni e le storie dei film siano accadute veramente. Tempo sprecato. Non sono accadute realmente e mai accadranno. Tempo. Il tempo è limitato, è sprecato, è buttato. Tempo. Parola che significa due cose diverse, una concreta e l’altra astratta. Tempo. Tempo meteorologico. Arriva la sera. Esco. Vado in giro con gli amici. Loro scherzano, ridono e io? Io penso, sogno, rifletto. A un certo punto la domanda che non volevo pormi, la domanda che evitavo: chi sono? Che ci faccio su questo mondo che piano piano sta appassendo? Non trovo una risposta. Una voce. Mi stanno chiamando. Mi sveglio tutto d’un colpo. Sono i miei amici. Sono preoccupati dal mio silenzio, dalla mia espressione. Io li tranquillizzo dicendo: “Non ho niente”. Ecco è tornata. Quella parola. Niente. Torno a casa. È tardi. Mi infilo il pigiama e dormo. No, non ci riesco. Non riesco a dormire. Perché? Il silenzio. Piano piano diventa sempre più buio e poi tutto d’un tratto suona la sveglia. Sono le sette e cinque. Devo alzarmi. Devo andare a scuola. Arrivo in ritardo come sempre. Lì vicino a me c’è la mia compagna di banco e migliore amica. Ha un aria triste come sempre. Durante la ricreazione gli racconto tutto. Ride. Poi torna seria. Il suo sguardo è triste come se avesse sofferto tanto. Troppo. Suona la campanella. È finita la scuola. Torno a casa e mi sento vuota. Mi torna in mente quello sguardo triste e ormai senza speranza. Penso. Ormai è diventata un’abitudine pensare. Squilla il telefono. “Pronto?” “Ciao!!! Come stai?” “Scusi ma chi parla” “ Ma come non mi riconosci??” tutto d’un tratto la riconosco, è lei. Proprio lei. “Ciao Sara! Come stai?” “Bene! E tu?” “Bene grazie! Scusa ho la pentola sul fuoco devo andare.” “Ok! Ci sentiamo!” Una bugia. Una bugia per poter tornare a pensare. Guardo fuori dalla finestra. Vedo un merlo. Spensierato. Ho capito chi sono. Non sono niente. Niente. Parola perseguitrice. Parola maledetta che fa capire tutto e niente.
Finito!! come vi è sembrato??? mi raccomando commentate e fatemi sapere!! CIAo!^^ |
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se mi commenti le mie storie mi fa veramente piacere^^
naturalmente io commenterò le tue^^
a prestoooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
e ancora bravissimaaaaaaaaaaaaaaaa
anche a me capita di non poter fare nulla se non pensare o sognare.
Preferisco pensare,però.
Sognare,come hai detto tu,significa illudersi.
Io odio le illusioni perchè,in quanto cose fittizzie,ti lasciano sempre l'amaro in bocca.
Scusa lo sfogo.
Ancora complimenti.
Ah,grazie per il mess che mi hai lasciato al fermo posta;mi ha tirato su il morale.
anche io penso spesso e mi capita di trovarmi in "trance" quindi ti capisco...bravissima!
kiss kiss
ps: grazie x aver commentato la mia ff si twilight