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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: JOHN C. HARTIGAN - LO SPERONE INSANGUINATO
Genere: Drammatico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: -ranco- galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 02/04/2009 04:23:00

Qualcuno di voi la ricorderà in versione più soft, dato che mi sono ispirata ad un fatto realmente accadutomi e che poi vi ho raccontato sul forum.
 
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CAPITOLO UNICO
- Capitolo 1° -

Mi ricorderò sempre quella mattina. Eravamo ai primi di ottobre.
Pioveva ininterrottamente da due settimane e le strade del paesino erano quasi tutte impraticabili. Le anziane contadine che di solito si apprestavano a curare gli orti circostanti alle case anche in pieno inverno non avevano messo il naso fuori dalla porta, e ciò mi fece capire quanto questa pioggia stesse rovinando i raccolti alle povere vecchiette.
Appena arrivati lì, in quel piccolo buco abbarbicato tra le montagne, la padrona della casa affittata dalla mia famiglia ci disse che erano ben quattro anni di fila che non pioveva.
Mai una goccia d'acqua in quattro anni.
Pensai ci volesse impressionare, facendoci credere che lì splendeva sempre un sole da occhiali scuri, ma poi scoprii dai vicini che era la pura verità. Mi spiegarono che per irrigare i campi erano soliti usare l'acqua del Grande Fiume a valle, quello che divideva la "nostra" montagna da quelle in cui si trovava la principale cittadina. Famoso per essere il fiume più rigoglioso e pieno per chilometri, ora era in secca e viaggiavano tutti a mega-boiler ricaricabili, proprio come quelli del gas.
Il terreno, divenuto ormai argilloso, si era abituato ad essere lavorato sotto il sole a picco e a ricevere un'irrigazione goccia a goccia controllata. Dunque, una pioggia battente non era di certo un toccasana per un campo idrorepellente.
Io avevo saltato la scuola per tutta l'ultima settimana e ciò mi rendeva molto felice. In città avevano dato l'allarme frane e la corriera che prendevo per andare a scuola si rifiutava di raggiungere i paesini sperduti come il mio. E comunque, anche se avesse voluto passare, la strada asfaltata terminava poco oltre il ponte del Grande Fiume e il pesante mezzo non riusciva a districarsi tra i prepotenti torrenti formatisi sulla sterrata.
Fortunatamente, casa mia era in cima ad un cucuzzolo -mia madre ed io ci divertivamo a cantare le prime strofe del ritornello della famosa canzone- che dava su uno strapiombo, così noi eravamo l'unica famiglia a non avere il pian terreno allagato.
Affacciandomi alla finestra di camera mia potevo osservare il giardinetto sottostante, adiacente alla piccola scuderia aperta in muratura dei nostri adorati cavalli.
La pioggia dava fastidio anche a loro, eppure notai un muso che spuntava dalla porta del quarto box: era quello del nuovo arrivato.
La cosa mi incuriosì. Notando anche che la pioggia era diminuita, mi infilai gli stivali, il cappello e una felpa e decisi di scendere a salutare le "belve".
Una volta raggiunto il cortiletto, controllai ogni box.
Se vuoi fare una cosa la devi fare bene, dico sempre.
Presi una grande manciata di fieno e schioccai un bacio. Dall'ombra del fondo del box spuntò un tenero musino affusolato. Dakota, quindicenne sauro con stella bianca in fronte. Un amore di castrone. Alto circa un metro e sessantacinque al garrese, dolce e ubbidiente era domato all'americana. Una volta comprato vidi però che rispondeva molto bene anche all'inglese, così lo montavo principalmente in quel modo.
Ai cavalli da passeggiata non importa molto se li monti con una o con un'altra sella. L'importante è che non siano smazzettati, altrimenti è difficile fargli cambiare stile.
Lo accarezzai dolcemente, dandogli un pò del fieno che tenevo in mano. Cercò di fare il furbo e si allungò per averne ancora, ma allontanai prontamente la mano e alzai il dito indice. Lui mi guardò in cagnesco e lentamente tornò nell'ombra. Passai al secondo box. Schioccai un altro bacio, svogliatamente però, perchè tanto sapevo che l'animale non si sarebbe avvicinato. Questo era lo stallone di mio padre e non dava molta confidenza agli altri membri della famiglia. Celtic Cosmo, detto anche Nevada... un bestione alto circa un metro settantacinque al garrese, tutto muscoli e ancora in fase di crescita, dato che aveva cinque anni e i cavalli crescono fino ai sei. Baio scuro con sfumature color ciliegia, feci fatica a distinguerlo nel buio, così agitai la sua parte di fieno verso la sua ipotetica posizione e indietreggiai un poco quando sentii i suoi labbroni allungarsi e brancare il prelibato filamento giallastro. Mi complimentai con lui e gli feci notare com'era facile comprarlo con il cibo. Lui sbuffò leggermente, come se avesse capito.
Al suono dei miei passi, il terzo cavallo, uno stalloncino nero di un anno e mezzo, Darko, si scaraventò contro la porta del box, spingendola ripetutamente con il suo massiccio collo.
Nascosi il fieno dietro la schiena, gli diedi dell'irrecuperabile e lo avvertii che se avesse tirato giù la porta lo avrei messo nel paddock senza tettoia.
Non cambiò un granché, così lo accontentai e gli offrii quello che voleva.
Finito il piccolo spuntino, non contento, cercò di mordermi. Sapeva che gli avrei tirato un leggero schiaffo ed era pronto ad evitarlo, ma feci una finta e invece di darglielo con la mano destra gli arrivò con la sinistra. Lo presi in pieno e giurerei che avesse lo sguardo sorpreso.
Passai oltre, cercando di evitare qualche altro spiacevole tentativo di assaggio da parte dell'animale. Finalmente raggiunsi l'obbiettivo della mia visita. Il nuovo arrivato mi guardava dritto negli occhi e non pareva interessato al fieno che avevo per lui. Aprii la porta del box e mi infilai dentro. Gli girai intorno.. Cavolo era bellissimo. Un castrone di quattro anni, baio splendente, alto un metro e sessantasette centimetri al garrese.
Una festa per gli occhi. Gli passai delicata una mano sul fianco, arrivando fino alla coscia. Lui intanto mi seguiva con lo sguardo.
All'improvviso batté uno zoccolo a terra per un paio di volte, alzando il truciolo bianco come se fosse un pugno di coriandoli. Col muso mi indicò il cielo fuori dalla scuderia: aveva smesso di piovere. Intuendo, sorrisi.
Gli infilai la capezza e, corda alla mano, lo legai, pronta per sellarlo e andarmi a fare un giro dopo quattordici giorni di inattività.
Avvertita mia madre della mia quasi immediata partenza, lei mi avvertì a sua volta che mio padre era bloccato con la macchina al di là del ponte e che si sarebbe fermato in città per la notte, dato che il Grande Fiume si era ingrossato oltre ogni aspettativa.
Mi disse che il comune, all'insaputa dei paesani dell'intera zona, aveva isolato la montagna sbarrando a chiunque il passaggio del ponte, ma che ben presto alcuni elicotteri della guardia forestale sarebbero venuti a darci una mano. Io le chiesi in tono sarcastico se ci credeva davvero.
Tornai dal cavallo, un pò nervosa. Gli diedi una spazzolata veloce, gli controllai gli zoccoli e lo sellai. Prima di montare strinsi di nuovo il sottopancia -non avevo intenzione di scivolare di lato con tutta la sella alla prima curva- e.. non sono certa di come la cosa sia andata, ma mi rimase in mano la cinghia di cuoio, indispensabile come la cintura di sicurezza in una macchina. Imprecai. Il nervoso stava salendo sempre di più. Non è raro che una sella nuova si rompi dopo le prime volte che la usi, ma in quel punto...
Tutto sembrava un pò strano e inquietante ma, testarda, sostituii la cinghia. Volevo andare in passeggiata. E nulla mi avrebbe fatto cambiare idea.
Finalmente, stanca e molto irritata, mi infilai gli speroni a sfera e montai in groppa. Passai davanti a casa e sentii mia madre che mi raccomandava di stare attenta. La cosa strana era che lo faceva sempre e solo quando montavo quel cavallo. Non che non fosse una madre iperprotettiva.. sia chiaro..
Mi ricordo la prima volta che lo vide. Disse che era molto bello, in forma, ma che non le piaceva come la guardava. E questo me lo ripeteva ogni volta che tornava dalla scuderia. Penso che mia madre avesse paura di quel cavallo.
Proseguimmo sulla sterrata fino a lasciarci alle spalle il gruppo di case che costituiva il paesino, e scelsi una stradina secondaria che portava nei boschi circostanti.
Si vedeva dalle striature nel terreno fangoso che non era usata da un pò e che comunque la percorrevano solo trattori. Finalmente la strada migliorò e tornò ad essere più solida. Facemmo un pò di trotto e galoppammo per un paio di volte.
Stavamo passeggiando tranquillamente, quando notai che ormai eravamo fuori da più di un ora, dunque era ora di tornare a casa. Feci per invertire la direzione, ma il cavallo non rispose ai miei comandi. Continuò imperterrito a camminare per il bosco.
Cercai in tutti i modi di farlo fermare, tirai le redini come una pazza infoiata, avanzai ancora di più nella sella indietreggiando con la schiena... ma nulla. Niente di tutto ciò gli fece cambiare idea, anzi pareva molto irritato e un secondo dopo stavamo galoppando a tutta velocità verso un sentiero in discesa.
Allora non potevo immaginare cosa sarebbe successo di li a poco.
Il baio prese lo stretto sentiero e io feci appello a tutta la mia forza per non lasciarmi cadere in avanti. Andavamo davvero veloci, tanto che non riuscivo a distinguere un albero dall'altro. In quel momento rimpiansi di non aver indossato il cap.
Dopo molto tempo la discesa finalmente terminò. Il cavallo frenò bruscamente e io ebbi solo il tempo di rendermi conto del lento diradare del bosco. In lontananza si sentì un forte tuono e l'animale nitrì con tutto il fiato che aveva in corpo.
Ebbi l'impressione che gli stesse rispondendo.
In una frazione di secondo riprese a galoppare, più forte di prima, e mi dovetti aggrappare alla criniera. Attraversammo dei campi, non riuscivo a dargli una posizione, eppure conoscevo bene tutta la zona attorno al paese. All'improvviso un altro tuono scosse l'aria e ricominciò a piovere. Nuvoloni neri oscurarono il cielo azzurro pallido e un'idea assurda mi balenò in testa: che l'animale avesse fiutato l'arrivo del temporale e mi stesse riportando a casa? Ma allora perchè non aveva semplicemente fatto dietro front? Ritornai alla realtà quando sentii il rumore dei ferri del cavallo sulla strada. Mi ci volle un pò per elaborare la cosa, ma poi capii: eravamo su un'asfaltata. Su quell'asfaltata. La strada di casa. Eravamo tra il bivio che portava ai paesini della montagna e il ponte. A destra il primo a sinistra il secondo. Cercai di stortargli la testa verso il bivio del mio paese, verso la salvezza.. ma contro ogni previsione, ogni istinto di sopravvivenza, lui galoppò veloce e sicuro in direzione del ponte.
All'improvviso l'idea che mi volesse riportare a casa svanì dalla mia mente, lasciandomi l'amaro in bocca.
Il rumore del Grande Fiume in piena si sentiva sempre più, finchè non divenne assordante... finchè non lo vidi. Era spaventoso: l'acqua grigia si scaraventava contro i piloni del ponte con una forza tale da produrre piccole onde anomale che saltavano letteralmente da un argine di cemento e legno all'altro.
Mancavano pochi metri alla sbarra di metallo che ne bloccava l'accesso.
Tirai ancora una volta le redini in un disperato tentativo di fermarlo e gridai il suo nome a pieni polmoni.

Hartigan.

Vidi le sue orecchie girarsi verso di me e percepii una leggera diminuzione nel suo galoppo.
Provai a ripeterne il nome, ma la mia voce fu sovrastata da un tuono.
Il cavallo nitrì e, come prima, accelerò di nuovo.
Con uno scatto saltò la sbarra di ferro. Nell'atterrare persi le staffe e la presa sulle redini. La pioggia battente mi impediva di vedere bene ma mi parve ovvio che all'animale non dava alcun fastidio.
Raggiungemmo la metà esatta del ponte, e lì, dove le acque gelide del Grande Fiume davano dimostrazione della loro incalcolabile e brutale potenza, si girò di scatto verso uno degli argini.

E mi disarcionò.

L'ultima cosa che ricordo fu l'incrocio dei nostri sguardi.

Nei suoi occhi, però, non c'era terrore, non c'era follia.

So che non potrò mai convincervi del fatto che Hartigan mi abbia volutamente gettata nel fiume, facendomi affogare, e che sia rimasto lì a godersi la scena.
Ma io c'ero.. e ne sono certa.

Nei suoi occhi non c'era terrore, non c'era follia.
C'era semplicemente.. il nulla.


***


Spero vi piaccia.. Volevo articolarla in più capitoli ma la cosa cominciava a tirarsi per le lunghe così l'ho ridotta ad una one shot. Come ho già detto è ispirata ad un fatto realmente successo, meno che per il finale, ovvio. Il cavallo mi ha disarcionata e calpestata e posso assicurarvi che non è stato piacevole.. T-T però mi sono divertita a scrivere questo racconto! XD
Il cavallo si chiamava Jhon C. Hartigan in memoria del mitico poliziotto di Sin City... *.* Anche se qui l'animale ha più del Kelpie che del semplice purosangue..
Commentate anche per mandarmi a quel paese, fortunatamente sono una tipa che non bada a certi commenti, quindi sfogatevi pure!
Della serie me le vado a cercare... =_='
Un Bacio, Ranco.
 
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VOTO: (3 voti, 5 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 5 commenti
-ranco- 06/04/09 03:03
Sì che l'ho letta la tua mongolina! Ti ho anche lasciato un commendo in fondo pagina lungo tre kilometri!
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letta - Voto: 05/04/09 12:06
Mi ricorda qualcosa....comunque bella...Tu hai letto la mia...quella del vampiro, l\'ho finita. Si chiama La leggenda se non ti ricordi
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ayanuccia 03/04/09 22:17
Ehi,l'ho letta cm mi avevi proposto! è davvero bella!!
La storia l'ho trovata molto interessante, ma anche il tuo modo di scrivere nn è niente male!!
fammi sapere se scriverai altre ff di questo genere! le leggerò sicuramente! ^^
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niglia89 - Voto: 02/04/09 13:19
mi è piaciuta davvero questa ff! complimenti! anch'io amo gli animali!
vai così! e continua!
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kagomina - Voto: 02/04/09 10:07
Mio dio!!!!! Fa quasi paura questa storia!!!!
Povera!!!!!!! Mi dispiace tanto! Anch'io ho un cavallo nel mio paesino, la prima volta che lo aveva visto correvo verso di lui per volerlo accarezzare, poi mi fermo di otto e il cavallo stava quasi per darmi una testata! Sono amante degli animali, di tutti però alcuni mi fanno venire davvero il latte alle ginocchia!!!!!!
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