da una serie originale:
"LO SPECCHIO DI RITH"
una fanfiction di:

Generi:
Azione - Avventura - Fantasy
Rating:
Per Tutte le età

Anteprima:

Conclusa: No

Fanfiction pubblicata il 25/01/2009 23:31:37
 
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 SHEA IL VAGABONDO


La notte avvolgeva la pianura nella sua oscura bruma: non una stella, non un incerto raggio di luna gettava la sua liquida luce a rischiarare la cima di un albero, la tremolante acqua di un laghetto, le distese d’erba spazzate dal vento. Una coltre di dense nubi ricopriva il cielo come una cappa, un mantello di lana grigio scuro sorretto da invisibili pali, e sotto di essa tutto sembrava immobile, addormentato in un sonno senza sogni.

Ma in quell’immobilità, in quel torpore che avvolgeva il creato, qualcosa si muoveva, e piuttosto velocemente, anche: nient’altro che un puntino, appena più chiaro della notte che lo avvolgeva, lanciato lungo un sentiero invisibile a causa dell’oscurità.

Shea il Vagabondo.





L’uomo si chinò sul dorso del cavallo, accarezzando il muscoloso collo imperlato di sudore: era ormai qualche ora che procedevano a quella velocità, e l’animale, per quanto dotato di grande resistenza, incominciava a mostrare i segni della fatica. Nonostante ciò, il ritmo della sua andatura non accennava a diminuire, e i suoi movimenti mantenevano quell’eleganza e quella scioltezza che lo rendevano uno dei più begli esemplari della sua razza.

“Così, bella… così…vedrai, quando arriveremo avrai la biada più gustosa che puoi immaginare, e attenzioni di ogni tipo. E devo dire che te le sei meritate tutte, amica mia…”

La cavalla scrollò il capo con energia, sbuffando dalle narici dilatate aria che si andava subito condensando in nuvole di fumo bianco, e aumentò l’andatura: l’uomo avvertì i muscoli dei fianchi guizzare, fluidi, accompagnando il movimento delle zampe. Il rumore degli zoccoli sulla terra battuta era appena percepibile, tanto rapido e leggero era il suo incedere: ombre di alberi e rocce scivolavano alle loro spalle senza che si riuscisse neanche a distinguerle del tutto.

Suer Soffio di Vento stava veramente dando del suo meglio.

Shea le diede un’ultima pacca sul collo e si rimise in posizione eretta: il vento lo travolse, sbattendogli i lunghi capelli in viso come fruste e gonfiando il suo logoro mantello. Rabbrividendo, l’uomo di affrettò a riavvolgersi attorno quello che era poco più di un grosso telo stracciato, tenendolo fermo con una mano: l’aria era fredda e si intrufolava tra le membra come un serpentello di ghiaccio. Tuttavia il vento glielo strappò di nuovo, e Shea fu costretto ad aderire nuovamente alla cavalla, in modo che l’aria che essa fendeva di richiudesse dietro di lei senza neanche sfiorarlo: e confortato dal calore che l’animale emanava, cullato da quell’andatura fluida e cadenzata, il Vagabondo cadde in un indefinito torpore.



Quando si riebbe, il cielo era prossimo all’alba: già all’orizzonte incominciava a diffondersi una lieve luminescenza, un alone a metà tra l’oro e il rosa pallido, sul quale spiccavano, di una tonalità sul blu - violetto, stralci di nuvole, le ultime sfilacciate propaggini della coltre di nubi che nella notte aveva ricoperto il cielo e ne occupava ancora una buona parte.

Sotto queste prime luci, Shea incominciò a identificare il paesaggio che lo circondava, riconoscendo alcuni elementi che lo aiutarono a capire a che punto del suo cammino si trovava. Alla sua destra si stendeva un fitto bosco di querce, con le chiome verde scuro che si confondevano in un intrico di rami, e l’oscurità della notte che sembrava attardarsi tra i tronchi: la foresta ricopriva l’intero fianco di una collina, in cima alla quale, a mo’ di cappello, sorgeva un paese di modeste dimensioni.

Il sentiero che stava percorrendo costeggiava per un po’ i limiti di quel bosco, per poi prenderne decisamente le distanze dirigendosi progressivamente verso sinistra, arrivando a sfiorare la parete rocciosa che su quel lato da terra si innalzava per decine di metri: quando su di esso scorse una protuberanza, una sorta di terrazza naturale, tirò un sospiro di sollievo. Era più vicino di quanto si aspettasse.

“Devi esserti data parecchio da fare, eh, amica mia?” mormorò, dando una pacca affettuosa alla cavalla “Coraggio, siamo quasi arrivati… ancora un ultimo sforzo”.

Suer sbuffò come in un sospiro rassegnato, e continuò la sua corsa; Shea intanto aprì la sacca che portava a tracolla, estrasse da un involto della carne essiccata e ne mangiò un pezzo, poi bevve due sorsi abbondanti da una borraccia in cuoio che portava al collo. Soddisfatto da quella rustica colazione, l’uomo prese a guardarsi intorno, e il suo umore migliorava mano a mano che ritrovava le tracce per la sua destinazione. Dopo la protuberanza venne il sasso dalle fattezze di un’aquila, poi quell’enorme quercia rattrappita su se stessa in cima a una rupe: di segno in segno, era ormai mattino inoltrato quando scorse la meta del suo viaggio.

La Città Fiorita con le sue alte torri verdastre non distava che poche miglia.



 
 
 
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