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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Persone famose e TV
Dalla Serie: Tokio Hotel
Titolo Fanfic: ONORE CONTRO SENTIMENTO
Genere: Sentimentale, Romantico, Drammatico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: impervious galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 05/01/2009 17:02:33

Bill Kaulitz, affascinante marinaio del settecento. Sarah Lorin, leggiadra nobildonna. Due destini per un unico finale.
 
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ONORE CONTRO SENTIMENTO
- Capitolo 1° -

Onore contro Sentimento


Il sole illuminava a sprazzi il pavimento della camera. I raggi filtravano purpurei dalle finestre, facendo risplendere gli antichi mobili in legno di mogano e le finiture in ottone del bellissimo specchio che troneggiava sul boudoir. Giocavano scherzosi creando dei riflessi di luce ove si rifletteva l’enorme lampadario in vetro di murano che pendeva dal soffitto.
Sarah Lorin giaceva immobile sulle candide lenzuola del letto a baldacchino situato in mezzo alla stanza, fissando il soffitto con sguardo vacuo, vuoto. Uno sguardo colmo di dolore.
Qualche piccola lacrima solitaria si affacciò e offuscò per un attimo i suoi occhi scuri. Lei sospirò lievemente e si tirò a sedere, accarezzandosi amorevolmente il ventre che lanciava qualche fitta di dolore. Il corsetto e le voluminose gonne che indossava, come richiesto a una fanciulla del suo rango, erano un continuo tormento per lei e il bambino che portava in grembo: respirava a fatica, la pancia e il busto intrappolati in quelle vesti raffinate erano continua causa di sofferenza. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sul suo respiro e non sull’immagine che le si era appena formata nella sua mente. Eccolo. Era di nuovo lì, con lei. Sorridente come un bambino, maledettamente bello come un angelo, dolcemente innamorato. Eccolo.
Contro la sua volontà, Sarah ripercorse ogni istante dei momenti passati insieme a lui. Ricordava con vivida memoria il giorno in cui si erano incontrati, il primo giorno passato insieme.
Era scappata di casa. Sfuggita alla sorveglianza della sua istitutrice, si era rifugiata nelle scuderie, aveva sellato con l’abilità di uno stalliere il suo cavallo preferito, un purosangue nero come la notte senza luna, e si era diretta al galoppo verso il bosco che circondava la sua villa.
Aveva galoppato a lungo nella foresta, sfiancando il cavallo: la massa di capelli scuri ondeggiava al dolce suono del vento, la pelle dorata del viso si era arrossata e gli occhi brillavano di felicità. Quella piccola cavalcata quotidiana era il suo ossigeno, il suo modo per poter continuare a vivere. Solo così poteva assaporare appieno il sapore della libertà, poteva percepire realmente le sue fragranze e i suoi aromi dolci. Aveva uno spirito irrequieto, selvaggio, non tollerava la rigida etichetta che, come nobile settecentesca, era costretta a seguire. Non poteva manifestare la sua vera natura nella villa, sotto lo sguardo rigido e severo del conte Lorin, suo padre: si aggirava come uno spettro invisibile agli occhi degli altri negli enormi saloni, piccola e insignificante come un insetto, imprigionata in una gabbia dorata soffocante.
Al sopraggiungere di quei pensieri che farneticavano nella sua mente, Sarah che strinse più forte le redini del cavallo, fin quasi a farsi sanguinare i palmi. Lo spronò maggiormente, incitandolo con il suono della voce che si perdeva man mano nel fischio del vento, le vesti danzavano gioiose al suo richiamo.
In poco tempo lo splendido stallone dovette rallentare, sfinito. Agognando un po’ d’acqua, Sarah lo condusse a un piccolo fiumiciattolo nelle vicinanze. Smontò dalla sella con l’agilità di un’amazzone e lasciò che il cavallo si abbeverasse, mentre lei passava il braccio sulla fronte madida di sudore dopo aver tolto le scarpette e immerso i piedi nell’acqua gelida del torrente. La calura e l’afa del primo pomeriggio rendevano insopportabile qualunque luogo ove non ci fosse stata ombra o un refolo di aria fresca proveniente da oriente. Non appena il cavallo si fu ristorato, Sarah montò nuovamente in groppa e, con un leggero colpo di talloni nei fianchi, gli ordinò di avanzare verso la costiera al passo. Si muovevano tranquillamente tra gli alberi, le cui alte e maestose fronde verdi offrivano riparo ai due avventurieri, mentre un piccolo scoiattolo dalla lunga e folta coda li seguiva con lo sguardo vigile e attento dalla cavità di un tronco. Solo allora Sarah avvertì un leggero scalpiccio dietro di sé. Si voltò: in lontananza, un uomo a cavallo la stava raggiungendo lanciato al piccolo galoppo, indubbiamente diretto verso di lei. Era avvolto in un mantello nero e il volto oscurato e celato dal cappuccio rendeva la sua figura alquanto minacciosa; quando la distanza tra loro si affievolì notevolmente, Sarah notò che dal manto leggermente aperto s’intravedeva una pistola, illuminata per un attimo dalla luce del sole. La ragazza, sapendo che il bosco era uno dei rifugi prediletti dei banditi, non ebbe esitazioni: un colpo secco di frustino fece scalpitare lo stallone che si lanciò nuovamente al galoppo. Nonostante cavalcasse con fervore, l’uomo guadagnava terreno di minuto in minuto e la distanza tra loro era ormai alquanto minima. Sarah spronò ulteriormente il cavallo e lo lanciò nella boscaglia più fitta, ove l’inseguimento sarebbe stato più difficile. Nella foga della corsa, lo stallone incappò in un’enorme radice che sbucava da sottoterra. Sarah perse l’equilibrio scivolando rapidamente giù dalla sella: cadde con tutto il peso del corpo sul polso che scricchiolò sonoramente e la ragazza rotolò per qualche metro, impolverandosi tutte le vesti, prima di fermare la sua corsa accanto a un albero. Il misterioso cavaliere la raggiunse in poco tempo e fece arrestare il cavallo accanto a lei. La ragazza cercò di fuggire, ma era ancora intontita per la caduta e le gambe non riuscivano a reggerla in piedi; spaurita, si guardò intorno, alla ricerca di un aiuto qualsiasi, ma il bosco era deserto.
“Milady, non abbiate paura. Non ho alcuna intenzione di farVi del male”.
L’uomo smontò dal cavallo e con un ampio movimento della mano fece ricadere indietro il cappuccio, rivelando il suo volto. Sarah rimase senza fiato. Era bellissimo. Il viso, un ovale perfettamente disegnato, i cui lineamenti si racchiudevano in una sola nota dolcemente armoniosa, scendevano delicatamente senza sbalzi improvvisi. Le sopracciglia folte delineavano lo sguardo acuto e intelligente, con qualche traccia di malizia, che richiamava le tonalità del castano intenso con diverse sfumature color miele. Il naso, assolutamente perfetto, piccolo e con la punta all’insù, non era molto distanziato dalle labbra rosse e carnose, messe in risalto da un neo sotto l’angolo della bocca. Era una bellezza delicata, quasi femminile, ma la sicurezza dei suoi movimenti, la determinazione che appariva nei gesti che compiva lasciavano trasparire tutta la sua forza e la sua mascolinità.
Si avvicinò a Sarah e, come prova delle sua parole, le mostrò una collana: istintivamente la ragazza si portò la mano al collo, constatando in quel momento che poteva avvertire soltanto la sua pelle vellutata.
“State bene?”.
La ragazza annuì con un breve cenno del capo.
“Vi ho vista allontanarVi dal fiume e subito dopo ho trovato lì questo gioiello. Credo che appartenga a Voi, volevo soltanto restituirvelo. Per quale motivo siete fuggita? Mi avevate forse scambiato per un furfante?”.
La ragazza cercò di replicare, ma dalle sue labbra non uscì altro che un piccolo soffio d’aria. Era rimasta senza fiato, ammaliata dalla bellezza del ragazzo, che non poteva avere più di vent’anni, e incapace di articolare un suono. Si guardarono a lungo negli occhi, prima che lei arrossisse e chinasse il capo vergognosa.
Lo stallone aveva proseguito nella sua corsa ed era scomparso da tempo alla vista. Il ragazzo sollevò delicatamente Sarah e la pose in groppa al suo cavallo: nel farlo, urtò la sua mano e la ragazza gemette sommessamente per il dolore.
“Vi fa male?”.
Lei annuì nuovamente. Lui si offrì di riportarla a casa e lei, pur essendo a conoscenza di una scorciatoia, gli indicò il percorso più lungo: non voleva separarsi troppo presto da quel meraviglioso cavaliere, sentiva il bisogno di stargli vicino il più possibile, l’impulso di rimanergli accanto. Egli montò in groppa dietro di lei e spronò il cavallo. Per tutto il tragitto Sarah non riuscì a staccare gli occhi dalla sua splendida figura: i folti capelli neri, scompigliati, ricadevano scomposti sulle spalle e il mantello logoro. Chiaramente non era un uomo né nobile né ricco. Accortosi del suo sguardo, chinò il capo e sorrise alla ragazza. Ed ecco che quel bellissimo volto, così serio e composto, si trasformò immediatamente in un viso dolcissimo, quasi infantile. Lei ne rimase abbagliata e non riuscì a evitare di sorridere a sua volta.
“Signor….”.
“William Kaulen” sorrise questi.
“William” ripeté lei sottovoce. Era un nome troppo austero per un volto così ridente. “Non mi piace. Posso chiamarvi Bill?”.
Lui rimase sorpreso, ma acconsentì con un cenno del capo, stupito dalla sua audacia.
“Non so come ringraziarvi. Mi avete restituito la collana e ora mi fungete anche da scorta personale. Vi sono debitrice”.
“Dovere, milady”.
Il cavallo aveva un’andatura instabile, faticando a portare due persone. Per evitare il rischio di vederla ruzzolare a terra nuovamente, Bill strinse Sarah a sé, ostacolato dalle redini; lei appoggiò la testa sul suo petto e percepì il gradevole aroma dei capelli, un profumo delicato che ricordava la salsedine, ma al contempo deciso. Giunti nei pressi della villa Sarah venne affidata ai servitori, solo dopo aver chiesto a Bill d’incontrarsi il giorno seguente nella piccola caletta ai pressi della scogliera con il pretesto di volerlo ringraziare a dovere.

La mattina dopo Bill giunse per primo in quel luogo, un piccolo banco di sabbia candida e fine nei pressi del mare. Il sole tramontava, andando a immergersi nelle azzurre e limpide acque dell’oceano; i riflessi luminosi dei raggi coloravano il mare, creando bagliori dorati e rossastri su quello specchio incantato
Scrutò l’orizzonte malinconico, perso nei suoi pensieri. Quanto gli mancava la vita di mare. Sentire il fragore delle onde che s’increspavano dolcemente contro la chiglia della nave, le urla dei marinai al lavoro, il gracidare dei gabbiani nei pressi del porto poco prima di sciogliere gli ormeggi e salpare. Quella vita, la sua vita, era un’avventura continua, un’emozione unica che gli permetteva di sentirsi se stesso. Di sentirsi Bill. Libero. Felice.
Dei passi leggeri e vellutati lo risvegliarono dalle sue riflessioni. Si voltò lentamente e la vide. Una figura che si avvicinava man mano avvolta da un pregiato mantello porpora in seta, raffinato ed elegante, che le conferiva una certo sapore di sensualità. Sarah gli si accostò e sorrise, sollevando con aria di trionfo il cestino che aveva in mano. Egli rimase freddo e indifferente. La salutò con educazione e le domandò se il polso era rotto.
“No, vi ringrazio. È soltanto una slogatura, niente di grave. Sedetevi qui” aggiunse Sarah immediatamente, indicando il posto vicino a lei. Aveva appena steso sulla sabbia la tovaglia candida estratta dal cestino e iniziato a tirare fuori le vivande che aveva portato. Bill la ignorò e rimase in piedi. La scrutò per bene, cercando di capire le sue intenzioni. Aveva detto che voleva ringraziarlo a dovere, che significava? Di certo non avrebbe mai accettato alcun tipo di compenso in denaro. Sarebbe stato un insulto per lui.
Lei si accorse del suo sguardo che la trapassava da parte a parte e ne rimase intimidita. Che cosa le stava accadendo? Dove era l’irriverente Sarah, la fanciulla sfrontata e sicura di sé, la ragazza decisa e irremovibile? Perché non riusciva a sostenere lo sguardo di quel giovane senza sentirsi insicura e titubante, con le guance che avvampavano dolcemente?
Chinò nuovamente il capo. Titubante, mugugnò qualche ringraziamento a Bill per la galanteria del giorno prima e si presentò. Lui l’ascoltò attentamente e solo quando lei ebbe finito parlò di se stesso. Era un giovane marinaio appena sbarcato da un enorme vascello proveniente da Plymouth con destinazione le Indie occidentali. Il racconto del suo viaggio, alquanto freddo e puntiglioso, portò via la maggior parte del tempo e, prima che i due giovani se ne accorgessero, il sole era calato da tempo. Con la scusa di voler sentire la fine della sua storia, Sarah domandò a Bill di potersi incontrare anche il giorno seguente. E così fu. Anche il mattino successivo i giovani riuscirono a trovare il tempo per parlare nuovamente. Scoprirono di avere molto in comune, lo stesso amore per la libertà, lo stesso desiderio di vivere avventure emozionanti, la stessa voglia di sorridere alla vita. Rimasero piacevolmente colpiti l’uno dalla compagnia dell’altra e cercarono di prolungare il loro incontro il più possibile. Quando arrivò il momento di congedarsi, Sarah, pur temendo di apparire troppo ardita, chiese nuovamente a Bill un altro incontro. Lui non ebbe il coraggio di negaglielo.
E da quel giorno in poi, ogni mattino si davano appuntamento nella caletta e discutevano per ore di qualunque argomento, sentendo che una grande confidenza li univa pian piano ogni istante in più.
Dopo una settimana, Sarah comprese di non riuscire a non pensare al giovane Bill. Si arrabbiò con se stessa e si ripromise di rimanere indifferente innanzi al suo sguardo. Eppure, nonostante i suoi buoni propositi, quando una mattina il piatto le scivolò di mano e lui, nel tentativo di aiutarla, la sfiorò casualmente, Sarah avvertì il suo cuore battere all’impazzata, scandendo il ritmo di una nuova canzone che lei non aveva mai udito prima, suonando delle note diverse che non aveva ancora conosciuto. Una canzone, un suono. Una sola parola può riassumere quello che il cuore in tumulto della ragazza provava. Amore.
Lei stessa si sorprese di ciò che aveva capito, non credeva che l’amore, quello vero, potesse nascere così, dal nulla, all’improvviso. Ma i sentimenti che provava in quel momento erano troppo forti per non poter essere identificati. Sì, era innamorata. Era innamorata di Bill, il giovane cavaliere misterioso che incontrava ormai da giorni, senza che questi desse il minimo segno d’interessamento o curiosità nei suoi confronti.
Lui era seduto sulla sabbia intento a scrutare l’oceano. Con un gesto secco si scostò le ciocche di capelli che gli ricadevano sul volto, scoprendo il collo. Solo allora Sarah si accorse del piccolo medaglione che portava; una sottile catena da cui pendeva un ciondolo d’argento di fattura pregiata, due fili s’intrecciavano andando a formare una spirale che racchiudeva un fiore in boccio.
Era indubbiamente un gioiello femminile. Provò una fitta di gelosia, domandandosi chi fosse la donna che gli aveva regalato quel gioiello così prezioso, la fanciulla così importante da donargli un diadema di tale splendore. Evidentemente aveva già sedotto qualche nobildonna. Contro la sua volontà gli occhi le si riempirono di lacrime. Bill apparteneva già a un’altra.
Lui si accorse del suo sguardo e si voltò; Sarah cercò di nascondere alla sua vista le lacrime che le offuscavano lo sguardo, ma non fu abbastanza rapida a ricacciarle indietro. Tentò di sorridere debolmente.
“Che succede?” domandò Bill preoccupato.
“Niente. Mi bruciano gli occhi”.
Notò che la ragazza fissava il ciondolo che portava al collo. Sorrise e se lo sfilò delicatamente, dandoglielo in mano perché potesse osservarlo meglio.
“È bellissimo, non trovi? Questo è il dono più prezioso che mi si potesse mai fare. Mi è stato dato poco prima che partissi e venissi qui.”.
Lei non replicò. Non riusciva a parlare. Lacrime amare cominciarono a rigarle nuovamente il viso. Scoppiò in singhiozzi senza riuscire a trattenersi: la gelosia non le permetteva di rimanere lucida e fredda. Bill rimase sorpreso da quell’improvviso cedimento, non capiva cosa addolorasse Sarah. La sua freddezza, la sua indifferenza si tramutarono in dolce tenerezza, commosso e addolorato dalle lacrime della ragazza. Lentamente, con dolcezza, sollevò il viso della ragazza e le scostò i capelli dalla fronte. Poi, spinto da chi sa quale impulso, avvicinò il suo volto a quello di lei e sfiorò delicatamente due labbra morbide e sensuali che risposero a quel bacio inaspettato con passione, con desiderio, con amore. Un bacio dolce, intenso. Un sapore delicato, ingenuo, puro come l’aria del mare e la freschezza della bianca spuma che s’infrange sulla battigia.
Solo quando si separarono Sarah riuscì a ragionare.
“Smettila” sussurrò “Non usarmi come passatempo. Riprenditi questa maledetta collana e torna dalla tua donna”.
Lui comprese tutto. Sorrise e appoggiò delicatamente la fronte su quella di Sarah, che non ebbe la forza di respingerlo.
“Non hai capito nulla. Questo gioiello me l’ha donato mia madre. Appartiene alla mia famiglia da generazioni. Ma cosa diamine mi hai fatto, dolce Sarah? Perché da quando ti ho conosciuta non riesco a far altro che pensare a te?”.
Lui l’abbracciò con forza, con intensità. Si baciarono nuovamente, con maggiore foga di prima, consumando quell’amore appena sbocciato, delicato come un fiore, dolce come le fragranze vellutate dell’ambrosia. Un amore colmo di passione ardente come le fiamme scintillanti di un incendio, lo stesso incendio che divampava nel petto dei due giovani amanti, bruciando il loro cuore. Si abbandonarono l’uno all’altra, guidati dall’istinto e da quel grande amore.

I mesi passarono e i sentimenti di Sarah e Bill divenivano ogni giorno più forti. La caletta rimase sempre il loro rifugio, unico luogo ove i due amanti potevano incontrarsi al riparo da occhi indiscreti, senza che nessuno li vedesse. Il loro amore doveva essere mantenuto segreto, perché la famiglia Lorin non avrebbe mai accettato quell’unione, a causa della povertà di Bill.
Una volta, Sarah si guardò intorno, cercandolo. Aspettò per molto tempo, fino a quando non le fu chiaro che quel giorno Bill non sarebbe venuto. Corrugò la fronte, leggermente sorpresa: non capiva il motivo di quella lontananza improvvisa. Senza avere una meta precisa, s’incamminò verso il paese lì vicino, pur non sapendo in quale locanda risiedesse il giovane. Camminava per le strade sassose con risolutezza, scrutandosi intorno, nella speranza di scorgere la sua figura da lontano. Percorse un buon tratto di strada prima di giungere in un piccolo spiazzo rigoglioso d’erba verde. Si fermò a osservare la scena che si stava svolgendo su quel palcoscenico, agghiacciata, impaurita. Bill era in piedi, innanzi a un altro uomo, distanti appena venti passi l’uno dall’altro. Entrambi si erano tolti i mantelli e indossavano semplicemente la camicia, nonostante la temperatura fosse alquanto bassa, con il braccio proteso in avanti, impugnante una pistola appena caricata. Altri due uomini osservavano imperscrutabili il duello quando uno dei padrini diede improvvisamente il segnale di sparare. I proiettili schizzarono velocissimi dalla canna delle pistole fumanti, rimbombando sonoramente. L’avversario di Bill cadde all’indietro, sostenendo con la mano destra la spalla gravemente ferita. Bill rimase in piedi qualche istante prima di accasciarsi, con estrema lentezza, al suolo.
Sarah gridò. Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. Gridò di disperazione, rabbia, incredulità. Corse a perdifiato verso il corpo di Bill: le lacrime colavano dagli occhi arrossati e rotolavano lungo le guance. Si accasciò accanto a lui, sostenendo amorevolmente la sua testa fra le braccia, constatando in quel momento che sul tessuto candido, bianco come la spuma del mare, era sbocciata un’enorme chiazza vermiglia all’altezza del torace. Bill, a fatica, aprì gli occhi. Sorrise debolmente e di sorpresa nel vedere Sarah accanto a sé e provò ad accarezzarle il viso con mano tremante. Lesse negli occhi di lei tutta la disperazione, l’amarezza, il dolore che le inondavano il cuore.
“Perché?” sussurrò lei fra le lacrime “Cosa è accaduto?”.
“Non potevo tirarmi indietro” rispose con un sospiro Bill “Ne andava del mio onore. E non avrei mai potuto rinunciare al nostro amore”.
Sarah non capì. Si voltò verso l’avversario di Bill e rimase senza fiato. Non capiva come non avesse potuto riconoscerlo prima. L’uomo la guardò duramente, chiaramente disgustato dalla vista della sorella che teneva quel ragazzo tra le sue braccia senza la minima traccia di ritegno. Sdegnato, nonostante il dolore che la ferita alla spalla gli causava, sputò ai piedi della giovane coppia.
Quella piccola sgualdrinella aveva disonorato il buon nome della famiglia, concedendosi al primo venuto, senza preoccuparsi delle conseguenze che avrebbe causato se la voce di quella relazione fosse giunta all’alta società. Era stato suo dovere di fratello e futuro conte Lorin eliminare Bill, sfidandolo a duello, per porre fine a quell’avventura. Pur avendo temuto inizialmente che il ragazzino non accettasse, era riuscito infine a sistemare quella sporca faccenda; la sorella avrebbe espiato in seguito, alla presenza del padre, le sue colpe.
Sarah, con gli occhi pieni di pianto, fissò per qualche istante il fratello maggiore che tanto aveva amato, a cui era stata tanto affezionata e che ora aveva appena distrutto la sua vita. Accarezzò con infinita dolcezza il volto di Bill e provò a sussurrargli parole di conforto all’orecchio.
“S-Sarah….”.
La sua voce diveniva sempre più fioca. In un ultimo, disperato tentativo, Bill cercò nuovamente di parlare, ma gli mancarono le forze. Cercò di trasmetterle semplicemente con il suo sguardo tutto l’amore e la passione che provava per lei, comunicandole il suo addio con l’intensità, la luce, la forza dei suoi occhi. Sarah, disperata, chinò il capo verso di lui, posando delicatamente le labbra sulle sue. Provò a dargli la forza, l’energia per sopravvivere, far in modo che lui potesse attingere dalle sue labbra calore e vitalità. Ma con quell’ultimo bacio, Bill spirò fra le braccia della donna che aveva amato immensamente.




 
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VOTO: (1 voto, 1 commento)
 
COMMENTI:
Trovato 1 commento
fefe93 - Voto: 10/01/09 23:20
oddio me sta piangendo :'''(è prp bll anke se triste zizi
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