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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Persone famose e TV
Dalla Serie: Tokio Hotel
Titolo Fanfic: MY BELOVED DEER
Genere: Romantico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, AU, Shounen Ai
Autore: nephilim galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 31/12/2008 20:40:04

- La storia che quest’anno voglio raccontarvi, è la storia del vischio. -
 
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MY BELOVED DEER
- Capitolo 1° -

Disclaimer: ...ew ._. Anche in questa fic - e nonostante sia Capodanno e a Capodanno dovremmo essere tutti più buoni come a Natale u.ù - non possiedo un ciufolo tranne quello che ho scritto con le mie manine. E se questa non è sfiga...


My Beloved Deer





Simone aspettò che tutti i bimbi fossero seduti prima di aprire il libro.
Guardò quella piccola massa di testoline più o meno bionde e sorrise, individuando quella che per lei era la più carina di tutte.
Bill ricambiò prontamente il sorriso della mamma, incrociando le gambe sul tappeto e aspettando buono buono l’inizio della storia.
Ogni anno, sotto Natale, una famiglia del vicinato si prendeva l’impegno di organizzare una festicciola per intrattenere tutti i bambini del quartiere. Era un modo per consolidare i rapporti, ma anche un espediente per concedere agli adulti una serata libera, utile per finire le spese natalizie o anche solo per rilassarsi.
Quell’anno Simone si era offerta volontaria per l’organizzazione della festa, dopotutto Loitsche non poteva essere definita propriamente una grande città - nemmeno una città, in effetti -, i ‘quartieri’ erano piccoli, le famiglie che vi abitavano si potevano contare sulle dita delle mani, e i bambini si conoscevano tutti.
Simone stessa conosceva la maggior parte di quei bimbi come fossero stati figli suoi, dato che spesso, nel tempo libero, si offriva per fare da baby-sitter.
Dopotutto sapeva che al suo piccolo Bill faceva piacere avere un po’ di compagnia, oltre a quella del gatto.
Il piccolo sedeva vicino ad un bambino biondo, ed erano così appiccicati che era difficile dire dove finiva uno e iniziava l’altro. Simone sapeva che probabilmente quel bimbo era l’unico motivo per cui Bill era così felice quella sera.
Il piccolo si chiamava Tom Trümper, ed era il figlio di Gordon, un musicista un po’ strampalato, loro vicino di casa.
I due bambini erano amici praticamente da sempre, ed erano a dir poco inseparabili. Capitava spesso che se Bill si ammalava o saltava la scuola per qualche motivo, nel primo pomeriggio Simone si trovasse Gordon davanti alla porta con Tom nascosto dietro le sue gambe, perché erano venuti a trovare Bill. O meglio, Tom aveva rotto le scatole a Gordon finchè non l’aveva accompagnato a casa di Bill, perché era preoccupato. E poi finiva che il bambino si stabiliva in camera di Bill tutto il pomeriggio, ignorando sia il padre che Simone, i quali si preoccupavano che prendesse qualche microbo, e che Bill stesso costringesse Simone a farlo rimanere anche a cena, perché ovviamente non ne avevano mai abbastanza. Accadeva lo stesso quando si ammalava Tom, era sempre stato così. Simone pensava che i due bambini ormai si considerassero come fratelli o qualcosa del genere, e anche lei doveva ammettere che se Gordon non fosse stato felicemente sposato, forse un pensierino ce l’avrebbe pure fatto.
- Allora bambini.. siete pronti per la storia? -
Un coro di ‘sìììì’ si levò deciso e allegro dal gruppetto.
- Raccontaci quella del folletto di Babbo Natale, zia Simone! - esclamò un bimbo all’improvviso.
- No, raccontaci quella della renna! - ribattè una bambina.
- Calmi - rise invece Simone. - Quest’anno vi porto una storia nuova, contenti? -
Un altro coro di ‘sììì’ echeggiò nella stanza.
- La storia che quest’anno voglio raccontarvi, è la storia del vischio. Sapete tutti cos’è il vischio, vero? -
- E’ quella pianta dove si baciano sempre mia sorella e il suo ragazzo - ridacchiò furbetta una bambina.
- Anche - sorrise Simone. - Questa storia è ambientata in un Paese molto freddo chiamato Scandinavia.. -
- I miei cugini sono scandinaviosi! - interruppe subito un bimbetto particolarmente arzillo.
- Si dice scandinavi, scemo -
- Scemo è chi lo dice! -
- Bambini! - li interruppe la donna. - Su non litighiamo, manca così poco a Natale.. Babbo Natale premia solo i bambini buoni, ricordate! - e, sorridendo, proseguì. - Iniziamo con la nostra storia… C’era una volta… -



I genitori cominciavano ad arrivare e già buona parte dei bambini era tornata a casa. Quelli rimasti, dopo la storia, si erano addormentati sul morbido tappeto del salotto di casa Kaulitz.
Simone stava parlando con il padre di Inga, sulla porta, e Bill e Tom ne avevano approfittato per sgattaiolare fuori dal suo sguardo vigile e andarsi a rifugiare nel loro posto segreto.
Che poi, tanto segreto non era. Si trattava in pratica di una casetta di legno posta in un varco fra il cortile di Bill e quello di Tom. L’avevano costruita insieme a Gordon.
Bill si sedette sul pavimento di legno e incrociò le piccole gambe.
- Tu che ne pensi? - domandò giocherellando con le sue dita leggermente paffute.
Tom si spolverò i jeans e si sedette, prendendo una delle loro macchinine di plastica. - Di cosa? -
- Della storia che ci ha raccontato la mia mamma. Secondo te è vero che chi si bacia sotto il vischio viene protetto da quella dea? -
Tom si portò un ditino al mento, pensandoci su seriamente. - Non lo so… Però se è vero che questa Friggi.. -
- Frigg! - lo corresse Bill, ridacchiando.
Il piccolo biondo arrossì. - ..sì, Frigg.. beh, se questa dea dell’amore esistesse davvero e la storia fosse vera… vorrei baciare tutte le persone a cui tengo sotto il vischio, così non gli accadrebbe mai nulla di male… -
Gli occhi di Bill si illuminarono, e il piccolo prese l’amichetto per mano e lo trascinò nel retro del giardino. - Vieni! -
Il retro del giardino di Bill era molto spazioso, e in un angolo cresceva un bel pioppo, le cui fronde finivano per fare ombra anche al giardino dei vicini. Non era molto alto, e i due bambini spesso si erano divertiti ad arrampicarcisi sopra per spiare il vicinato.
Bill salì su uno dei rami con fare esperto e staccò un rametto di vischio, per poi riscendere e tenderlo verso Tom.
Il bambino lo prese senza sapere con esattezza cosa avesse in mente Bill.
- …Cosa devo farci? -
Il piccolo rise. - Voglio vedere se la storia è vera, Tomi! Io… tengo tanto a te, e voglio che la dea di protegga sempre! -
Il piccolo Tom cominciò a capire. - Vuoi baciarmi sotto questo coso?! - esclamò agitando il rametto di vischio.
Bill annuì.
- Ma… ma un bacio.. i baci se li danno solo i grandi quando.. si amano… - fece una smorfia al ricordo dei suoi genitori che si sbaciucchiavano nell’ingresso. - Che schifo! -
Il visetto di Bill si scurì. - Ma non dobbiamo sbaciucchiarci come i grandi… E poi i baci se li danno anche le persone che si vogliono bene… Io ti voglio bene, Tomi… Tu mi vuoi bene? -
Tom annuì automaticamente. Non c’era bisogno di pensarci.
- E non vuoi che qualcuno mi protegga? -
Il biondino si portò una mano al petto, quasi scandalizzato. - Io ti proteggo! L’ho sempre fatto! - esclamò orgoglioso.
Bill sorrise. - Intendo dalle cose dei grandi… -
- Quali cose? -
- Sai… quelle che ci dicono sempre che capiremo quando saremo grandi… Non lo so, le cose strane… E poi magari mi servirà qualcuno che mi protegga anche quando non ci sei tu… -
- Io ci sarò sempre! - ribattè con testardaggine.
- Oh insomma, Tomi! Voglio vedere se la storia è vera, tu no? -
Anche questa volta Tom si trovò ad annuire automaticamente.
- Bene! Allora tieni su quel rametto, ci vorrà un attimo… -
Il piccolo obbedì e alzò il braccio più che potè, facendo pendere il vischio sopra le loro testoline.
Bill si umettò le labbra fissando ora il vischio ora Tom, poi poggiò le mani sulle spalle dell’amichetto e si sporse verso di lui. Chiusero gli occhi quasi in contemporanea e fecero scontrare malamente le loro labbra in un bacio che era sbagliato in mille modi e per loro altrettanto bello.
Bill si staccò quasi subito, arrossendo, e con un grande sorriso ad illuminargli il visetto vispo.
- Ora sono sicuro che non ci accadrà mai nulla di brutto! - esclamò battendo le mani felice, mentre Tom arrossiva a sua volta e si toccava le labbra improvvisamente bollenti.
In quel momento sentirono la voce di Simone chiamarli dalla porta. Bill prese nuovamente Tom per mano e iniziò a correre nella neve, convinto che da quel momento nessuno avrebbe più potuto fare del male a lui o a Tomi.




Sei mesi dopo, la famiglia Trümper si trasferì.
Bill le provò tutte. Era arrivato a proporre di far dormire Tom nel suo letto, ripiegando sul divano, pur di non farlo andar via. Inutile dire che non ci fu modo di farli rimanere a Loitsche.
La madre di Tom era stata spostata di sede e doveva andare a lavorare a Stuttgart, e ovviamente non se la sentiva di separarsi dalla famiglia.
Bill non aveva mai visto Tom piangere a quel modo. Il giorno della partenza aveva urlato, strepitato e spaccato i timpani a tutti. Era uno dei ricordi più brutti che Bill aveva.


~*~

Sette anni dopo

~*~




- Andi, per favore… - sbuffò aggiustandosi la tracolla dello zaino.
- Dico davvero! Quella ti fa il filo da almeno un mese! Si vede da un miglio! - esclamò eccitato il ragazzo biondo al suo fianco.
- Anche se fosse non mi interessa, ok? -
- Ma è carina! Andiamo, hai quindici anni! Sarebbe ora di dare il tuo primo bacio, non pensi? - gli diede una gomitata scherzosa nel fianco.
- Andreas! - Bill arrossì fino alla punta delle orecchie. - Potresti anche evitarlo di farlo sapere a tutto il quartiere! E poi secondo me… -
- …ognuno ha i suoi tempi… - concluse il biondo per lui. - Lo ripeti sempre, ma diventerai vecchio senza aver baciato nessuno, secondo me! -
- Guarda che per tua informazione, il mio primo bacio l’ho già dato! - sbottò stizzito, mentre imboccavano il viale che li avrebbe condotti a casa di Bill.
Andreas strabuzzò gli occhi. - Davvero? E a chi? La conosco? -
Bill sorrise. Era incredibile quanto fosse curioso e pettegolo Andi certe volte.
- No… - sospirò, e per un attimo si perse nei ricordi. Chissà dov’era Tom in quel momento. Chissà com’era diventato… Lui cominciava ad avere ricordi sempre più sfocati, e aveva paura di dimenticare del tutto il viso di quel bambino, prima o poi. - No, non lo conosci Andi.. -
- Lo? - ripetè Andreas, perplesso.
- …Io sono arrivato. - tagliò corto Bill, imboccando il vialetto di casa sua. - Ci vediamo domani a scuola… -
- Io di domenica non ci vado a scuola - rise Andreas. - E comunque sono iniziate le vacanze di Natale, scemo! -
- …Ah, giusto - sbattè le palpebre, confuso. - Allora ti chiamo e ci mettiamo d’accordo per le vacanze, ciao Andi! - e senza aspettare la risposta percorse velocemente tutto il vialetto, fermandosi di fronte alla porta.
La cassetta delle lettere non sembrava vuota.
Aggrottò le sopracciglia. “ Eppure mamma ritira la posta appena torna dalla spesa… ”
Tirò fuori le chiavi e la aprì. Infilò una mano all’interno e cercò finchè non sentì di aver stretto qualcosa. Non sembrava una lettera, però.
“ Ma che… ”
Era un rametto di vischio. Ma era un vischio particolare. Invece delle solite palline rosse che avevano tutti i rametti di vischio che potevi trovare nei negozi, questo aveva due palline rosse e una bianca.
Bill rimase ad osservarlo quasi in trance per diversi secondi o minuti, senza sapere cosa pensare.
Chi l’aveva messo nella cassetta? E perché?



Non fu un episodio isolato. Da quel momento, ogni anno, sotto il periodo di Natale, Bill trovò nella cassetta della posta un rametto di vischio del tutto identico al primo. Ma non riusciva a capire chi glielo mandava, e soprattutto per quale motivo lo faceva.
Simone le prime volte ipotizzava fosse una qualche ragazza che facesse il filo a Bill, ma il moro ribatteva che era strano lasciasse regalini solo a Natale. E rametti di vischio poi!
Per Bill, il vischio aveva sempre significato qualcos’altro. E più gli anni passavano più il dubbio si insinuava in lui. Ma non osava sperare nel suo ritorno.


~*~

Quattro anni dopo

~*~




Gli piaceva fin troppo passeggiare per il centro di Magdeburg sotto Natale. Era tutto così luminoso e allegro, lo faceva sentire bene. Gli piaceva anche fermarsi sotto l’albero che ogni anno veniva allestito nella piazza principale, e guardare le decorazioni. Certo, non poteva paragonarlo di sicuro all’enorme albero di Natale che veniva addobbato nelle grandi città come Hamburg o Berlino, ma non gli importava più di tanto.
Aveva appena finito di comprare i regali e ora poteva dedicarsi al suo passatempo preferito: girovagare e godersi l’atmosfera natalizia.
I negozi sembravano completamente diversi sotto Natale. Non che Bill sapesse come fossero i negozi di Magdeburg normalmente. Però sapeva per certo che valeva la pena farsi quei dieci minuti in automobile, almeno per uscire da Loitsche ogni tanto.
Si fermò a guardare qualche vetrina addobbata, e i suoi occhi si fecero grandi e luminosi come quelli di un bambino.
Per strada si vedevano tante mamme con i loro piccoli, famiglie intere o fidanzati che si tenevano teneramente per mano. Questi ultimi, in realtà, erano uno dei motivi per cui Bill preferiva passare ore e ore davanti alle vetrine, piuttosto che passeggiare senza sosta. Non sopportava la vista delle coppiette felici, perché lui non era parte di una di quelle. Sì, si sentiva molto patetico a volte, a detestare la felicità degli altri solo perché lui, a diciannove anni, ancora non si era trovato qualcuno. Andreas lo rimproverava sempre per questo.
Non che non fosse mai stato con nessuno, chiaro. Aveva avuto diverse ragazze e, a dir la verità, anche un ragazzo. Aveva fatto le sue esperienze, come si suol dire.
Sospirò. Non era questo che gli mancava. Ci stava pensando da un po’ di tempo. Non voleva semplicemente mettersi con qualcuno, voleva trovare quella persona speciale che sarebbe stata per lui e solo per lui. Era stufo delle storielle liceali, si sentiva pronto per qualcosa di serio. Si sentiva stupido a fare questi pensieri a soli diciannove anni, ma non poteva negare il suo stato d’animo.
Il problema era: avrebbe mai trovato la persona giusta?
Avrebbe voluto tornare a quando era bambino, quando tutto sembrava semplice, quando era facile prendere decisioni perché le cose sembravano tutte belle.
Quando c’era una sola persona davvero speciale per lui.
Quando se gli avessero chiesto qual era la Persona giusta per lui - quella con la ‘p’ maiuscola - non avrebbe esitato a rispondere.
Sospirò, facendo scivolare le dita lungo una vetrina illuminata. Era buio da un po’, forse era ora di tornare a casa.
Mentre tornava verso la macchina ne approfittò per dare un’altra occhiata veloce alle vetrine. Il bello era che erano tutte diverse: alcune illuminate, altre decorate con stelle e festoni, altre ancora colorate apposta per le feste. Altri negozi si erano organizzati diversamente: Bill non ne era certo, dato che aveva gli occhi un po’ lucidi e appannati dal freddo, ma gli era sembrato di vedere addirittura un uomo renna che vendeva torte!
Alzò lo sguardo verso il cielo e rise, notando che stava cominciando a nevicare.




- Bill, domani viene la zia a pranzo, dobbiamo farle un regalo - esordì Simone, posando la pila di panni puliti sul tavolo della sala.
Il moro sistemò un mini Babbo Natale sull’albero e si girò, scioccato. - Ma mamma! E’ la vigilia! Dove vuoi che trovi un negozio aperto per comprare il regalo alla zia? E poi non è lei che dovrebbe fare un regalo a suo nipote? -
Simone ripiegò una maglietta e fissò il suo ‘bambino’ con il mezzo sorrisetto di chi ne sa più degli altri.
- Tesoro, non ricordi com’è la zia? Lo sai che si offende se non le facciamo un regalo. La vediamo solo a Natale dopotutto! Puoi andare a Magdeburg, di certo troverai un negozio aperto. -
“ Certo, tanto sono io che devo uscire di casa con questo freddo… ” pensò sconsolato, confortandosi però al pensiero delle decorazioni natalizie.



Un’ora dopo, si trovava di nuovo in giro per le strade di Magdeburg. Simone aveva ragione, alcuni negozi erano ancora aperti.
Riuscì a trovare un regalo abbastanza costoso per la zia, cosicchè potesse rimanere soddisfatta di quanto suo nipote le voleva bene.
Visto che era lì, gli sarebbe piaciuto dare un’altra occhiata alle vetrine, ma era solo primo pomeriggio e faceva già discretamente freddo, quindi optò per un immediato ritorno a casa. E poi doveva ancora finire l’albero di Natale.
Stava camminando velocemente fra le vie del centro quando notò l’uomo renna che aveva visto la volta precedente. Il negozio era ancora aperto, sembrava una pasticceria.
Pensò che era buffo, e stava per passare avanti quando vide che si portava le mani al capo per togliersi il grande testone del costume.
E.. beh, non era proprio un vecchio come si aspettava.
Avrebbe potuto benissimo avere la sua età, era solo un po’ più alto; aveva lunghi capelli biondo scuro raccolti in tanti dreadlock e un piercing al labbro inferiore. Nell’insieme era proprio un bel ragazzo.
E poi aveva qualcosa di estremamente familiare, anche se Bill non avrebbe saputo dire cosa.
- Cavolo… - lo sentì borbottare a denti stretti. Fissava insistentemente il tavolo davanti a lui, dove di tutte le torte che dovevano esserci state, ne era rimasta solo una. Si mordeva il labbro nervosamente, e sembrava preoccupato.
Bill si era avvicinato ancora prima di potersene rendere conto.
- Merda, se non vendo anche questa quello non mi pagherà mai… Maledetto part-time… - sibilò portandosi una mano alla fronte.
Il moro non dovette pensarci su molto. Un’ora dopo, però, ci avrebbe ragionato su parecchio.
- Ehi, è in vendita quella? - esordì allegro, indicando la torta solitaria.
Il ragazzo alzò lo sguardo e notò per la prima volta di essere osservato. Alla vista di Bill sembrò assumere per un attimo un’espressione totalmente sorpresa, ma poi sorrise cordialmente.
- Sì, è l’ultima. Se le interessa, sarebbero cinque euro e sessanta. -
Bill guardò la torta. - Solo? Sembra molto appetitosa, la prendo - ridacchiò, mettendo mano al portafoglio.
Il rasta si aprì in un bellissimo sorriso, e Bill pensò che avrebbe comprato altre dieci di quelle torte solo per vederlo sorridere così, per lui.
Scosse la testa, dandosi dello stupido, e notò che il ragazzo gliela stava accuratamente incartando.
- Ecco a lei - disse porgendogliela, sempre con un dolce sorriso ad increspargli le labbra. Bill non potè fare a meno di ricambiare.
- Beh… grazie… - rispose in un soffio, lasciando i soldi sul tavolo. - E Buon Natale… -
- Buon Natale anche a lei… oh, aspetti! - si chinò dietro al tavolo, e i suoi movimenti erano resi goffi dall’enorme costume che indossava.
A Bill veniva da ridere.
- Tenga.. e ancora Buon Natale -
Gli aveva dato qualcosa. Bill aprì il palmo della mano e vide un piccolo rametto di vischio.
- Grazie - sorrise nascondendo la perplessitudine, salutò, e riprese a camminare.




- Hai trovato qualcosa per la zia, tesoro? - gli chiese Simone, non appena vide Bill ricomparire sulla porta di casa.
Il moro annuì e si diresse in cucina, dove posò la torta sul tavolo.
- E questa cos’è? -
- Una torta, ma’ - spiegò brevemente mentre si toglieva il giubotto.
- E perché l’hai comprata? - domandò sempre più perplessa Simone.
- Lunga storia… - borbottò prima di prendere a salire le scale. Si sentiva improvvisamente stanco.
Una volta in camera, gettò il giubotto sul letto e poco dopo fece lo stesso, affondando il viso nel cuscino.
Non passò molto tempo però, che sentì qualcosa pizzicargli la caviglia da sopra i jeans. Si rimise seduto e vide il rametto di vischio che era scivolato fuori dalla tasca del cappotto. Lo prese in mano e si mise ad osservarlo senza un motivo particolare.
Era diverso dal vischio che vedeva di solito: aveva due palline rosse e una bianca centrale, come se qualcuno l’avesse dipinta apposta per distinguere quel rametto di vischio da tutti gli altri. Strano.
- Mi pare di averlo già visto… -
Pensieroso, si guardò intorno e lo sguardo gli cadde sulla scrivania. Fra le montagne di fogli, foglietti, post-it, libri e quaderni, riconobbe un rametto di vischio. Era quello che aveva trovato come ogni anno nella cassetta della posta.
Ed era identico a quello che aveva in mano.
“ … ”
Senza nemmeno aver ricollegato i fatti, saltò in piedi, si rinfilò il cappotto e corse di sotto.
- Bill, tesoro, dove stai andando? Dovresti finire l’albero! -
Bill non sembrò nemmeno sentirla, mentre si fiondava fuori di casa e saltava in macchina in tutta fretta.
- Ti prego, ti prego, ti prego… fa’ che non ha chiuso, ti prego! - sibilò a denti stretti, torturando il volante mentre si lanciava sulla strada a centocinquanta chilometri all’ora.




Dopo aver parcheggiato, si mise a correre per le strade semideserte di Magdeburg. Era probabilmente l’unico a correre come un pazzo per la città invece di festeggiare la sera della vigilia al calduccio, in casa propria. Ma si era aggrappato alla speranza, e si stava lasciando trascinare.
Se quel ragazzo, quel ragazzo che, pensandoci, sapeva benissimo a chi assomigliava, era lo stesso che per tutti quegli anni gli aveva lasciato un rametto di vischio nella cassetta della posta, forse per fargli ricordare ciò che aveva lasciato sopito nella sua mente per troppo tempo, allora era stato fin troppo cieco.
Ripensò a come l’aveva guardato quando l’aveva visto. Era sorpreso, quasi come se fosse stato colto in flagrante, e ora Bill poteva immaginare benissimo il motivo.
O forse era solo altre speranze.
Era molto piccolo quando Tom se n’era andato, ma si era subito detto di non fantasticare troppo su un suo possibile ritorno. Proprio perché non sembrava affatto possibile.
Non si erano tenuti in contatto. E come avrebbero potuto? Nonostante Simone fosse amica della famiglia Trümper, non era così interessata a mantenere vivi i rapporti, e Bill era troppo piccolo. Ben presto, il ricordo di Tom era finito in un angolo della sua mente.
Ma c’era.
- Tom… - mormorò sommessamente, l’aria gelida che gli riempiva i polmoni e gli bruciava in gola, mentre correva. Erano anni che non pronunciava quel nome.
Non si raccapezzava, non ritrovava il posto. Eppure era sicuro fosse in quella via!
Rallentò, e si mise a camminare, per fare più attenzione ai negozi.
Si fermò nel bel mezzo della strada, ansimando pesantemente.
Ecco perché non aveva riconosciuto il negozio. Il tavolo che era esposto fuori era stato rientrato, e il ragazzo non c’era più.
Era chiuso.
- …Merda! - imprecò battendo un piede a terra. Gli veniva da piangere dalla frustrazione. Era sicuro che non appena il negozio avesse riaperto non avrebbe più trovato il rasta: da quel che aveva capito, il suo lavoro era finito lì.
Fece dietro-front e tornò sui suoi passi, decidendo subito che quello sarebbe stato il Natale più brutto della sua vita.
Non aveva fatto neanche un passo, che sentì un rumore sordo, come quello di una serranda che si abbassava bruscamente.
Si voltò di scatto e vide un signore basso e tarchiato chiudere la pasticceria. Probabilmente era il proprietario.
Bill rimase un momento indeciso. Cosa doveva fare? Correre lì e chiedergli chi fosse il ragazzo-renna? O rimanere con il dubbio minimo fino all’anno seguente?
L’uomo si soffiò sulle mani per riscaldarle, borbottò qualcosa, e si avviò per la sua strada, incassando la testa fra le spalle, per proteggersi dal freddo.
Ancora una volta, Bill agì prima di pensare.
Attraversò la strada e gli si parò davanti.
- Scu-scusi! -
L’uomo lo guardò con diffidenza. - Cosa vuole? -
Bill riprese un attimo fiato, il bruciore alla gola era aumentato.
- Il- Il ragazzo… il ragazzo che lavorava per lei… quello col costume da renna… -
- Tom? -
Il cuore di Bill perse un battito. Allora… Allora era davvero… !
Scosse il capo e cercò di non andare fuori di testa, impresa che sembrava alquanto ardua.
- S-sì… - deglutì. - Tom… sa dove abita? -
- Non so se posso dirglielo, lei chi è? - domandò sospettoso l’uomo.
- Un vecchio amico… La prego, è importante! -
Forse fu la sua faccia da bravo ragazzo o il fatto che aveva praticamente le lacrime agli occhi, ma alla fine l’uomo si convinse.
- Ok… Abita in Gutenbergstraβe… al numero 6 mi pare… il cognome è… -
- …Trümper... - mormorò Bill più a se stesso che al negoziante, prima di correre via.



Il palazzo non era niente di che, ma Bill non ci fece nemmeno caso. Il portone era socchiuso, e lui sgattaiolò all’interno, cominciando a salire le scale. Era tardi, e chissà Simone cosa avrebbe pensato, ma al momento per il moro non c’era altro che Tom.
Tom.
Il bambino con cui aveva giocato fin da quando aveva memoria. Il bambino con cui aveva condiviso tutto quando era piccolo, e che gli era stato letteralmente strappato via senza che lui avesse possibilità di fare niente.
Il bambino, ormai uomo, che aveva sempre considerato come un fratello. O forse qualcosa di più.
Quando erano piccoli, Bill non poteva capire cosa provava per l’amichetto biondo, ma crescendo e sentendo che l’ombra di Tom non era mai sparita dal suo cuore, si era reso conto che forse ciò che provava per lui andava oltre l’amicizia. Eppure a pensarci era così buffo, non si vedevano da anni.
Ma i sentimenti hanno davvero bisogno di tante spiegazioni?
Bill si disse che no, non poteva controllare il suo cuore, mentre premeva il pulsantino bianco situato vicino alla targhetta che recitava ‘Trümper’.
Si portò una mano alla gola. Sentiva benissimo le pulsazioni del suo cuore impazzito, e non si sarebbe stupito se avesse scoperto che si era fatto un viaggetto per andare a trovare le corde vocali.
Poi la porta si aprì.
- … -
Doveva ammettere che anche senza il costume da renna, del corpo di Tom si poteva vedere ben poco, dato i metri di stoffa che lo ricoprivano.
- …Bill? - la sua voce tradiva tutta l’emozione, non stava nemmeno cercando di trattenersi.
- Tom…? - uscì dall’ombra del pianerottolo per farsi illuminare dalla luce dell’appartamento. - A-allora sei davvero tu? Sei tornato? -
Il rasta rimase con la bocca leggermente dischiusa dalla sorpresa, e si limitò ad annuire.
- Ma come… chi ti ha detto che…? -
- …Sei uno stupido! - strillò cominciando a prenderlo a pugni sul petto, perché - con suo disappunto - Tom era discretamente più alto di lui. - Da quanto sei tornato?! Perché non me l’hai detto?! Stupido Tomi, stupido!! -
Tom gli bloccò i polsi con facilità e sorrise come se Bill non fosse stato a picchiarlo fino a un secondo prima. - Da quanto tempo non sentivo quello stupido nomignolo… -
- …Sì, è stupido, proprio come te! Cosa hai fatto tutto questo tempo? Hai continuato a mandarmi vischio per sette anni e non ti sei mai fatto vedere?! Cosa credevi di fare?! -
Tom lo attirò dentro casa e chiuse la porta. - Meglio non rendere partecipe tutto il vicinato… -
Quando si girò trovò Bill a fissarlo con le labbra arricciate e gli occhi lucidi. Dio, sembrava ancora quel bambino di undici anni prima.
Sospirò. - Non mi sono fatto vivo perché… io sono solo un ricordo. Un bel ricordo. Pensavo tu ti fossi rifatto una vita senza di me, com’è ovvio. Che diritto avevo di rifarmi vivo? Per cosa poi? -
- Per stare con me, Tom! Per me! Quand’eri piccolo mi ripetevi ogni cinque secondi che ci saresti stato sempre, è così che mantieni la promessa? -
Tom non seppe come ribattere. C’erano troppe cose da dire, e non era sicuro che Bill sarebbe riuscito a leggerle nel suo sguardo. Perché era questo che stava facendo, gli aveva puntato gli occhi addosso e non voleva distoglierli. Era passato troppo tempo dall’ultima volta che aveva potuto osservare Bill in tutta tranquillità.
Per Tom era andata diversamente. Non aveva voluto lasciar perdere tutto così e aveva cominciato a scrivere lettere a Bill il giorno dopo essersi trasferito. Ne scriveva una al giorno e ogni giorno aspettava una risposta che non arrivava mai.
Dopo qualche anno, distrutto anche dal divorzio dei genitori, si era arreso all’evidenza che Bill l’aveva cancellato dalla sua vita. Proprio quando cercava di farsene una ragione si era letteralmente scontrato con una pila di scartoffie sulla scrivania di sua madre, da cui erano uscite tutte le sue lettere, affidate a lei e mai inviate. Dalla discussione che ne seguì, Tom si sentì dire che sarebbe stato inutile inviare quelle lettere, che rimanere attaccato ad un amico d’infanzia poteva essere controproducente dato che ora doveva ambientarsi nella nuova città. Per tutta risposta, Tom aveva preso il primo treno ed era andato ad abitare col padre, a Magdeburg. Ed era stato allora che aveva iniziato a mettere il vischio nella cassetta di Bill. Aveva deciso di non rientrare nella sua vita, di fare da spettatore e segnalare in modo silenzioso la sua presenza, con quei piccoli doni.
- Ti rivoglio nella mia vita, Tom. - mormorò in un soffio Bill, passandosi un dito sulla guancia per sistemare il trucco.
Il rasta mosse un passo in avanti e lo fece affondare fra le pieghe della sua enorme maglietta. Bill gli cinse le spalle lentamente, ricordando con tenerezza quant’era facile cingerle quando erano piccoli. Niente in Tom, com’era giusto che fosse, ricordava il bambino che era stato.
Il moro premette il viso contro il suo collo e ne inalò la colonia dolciastra. Tom era un uomo ormai, e nonostante tutti i cambiamenti che si era perso, Bill sentiva che dentro era rimasto lo stesso bambino che aveva illuminato la sua infanzia.
Rimase stretto a lui, sperando che il suo profumo lo avvolgesse abbastanza da lasciare una traccia anche quando si fosse separato da lui. Prospettiva che in quel momento non riusciva nemmeno ad immaginare.



- Sei uscito con novanta? Ma sei un secchione! -
- E’ che mamma da piccolo mi diceva ‘studia Bill, se studi potrai fare ciò che vuoi da grande’, e io come un fesso credevo davvero che studiando sarei diventato un cantante famoso, così alla fine ho preso l’abitudine e mi sono ritrovato a studiare quasi con piacere. - ridacchiò. - E poi… pensavo anche che… - rimase con la pallina a mezz’aria per qualche secondo, poi scosse la testa e la appese ad un ramo. - No, niente… -
- Dai, dimmi… - lo incitò Tom, guardandolo di sottecchi mentre sistema un piccolo Babbo Natale con una chitarra in braccio proprio vicino alla renna col naso rosso. Si riduceva sempre all’ultimo a fare l’albero, e Bill aveva deciso di aiutarlo. Poco importava che a casa ci fosse ancora il suo albero ad aspettare di essere completato. Sperò che Simone non si arrabbiasse troppo.
- Ma niente, una cosa stupida… da bambini proprio… -
- Un motivo in più per raccontarmela - argomentò il rasta inarcando un sopracciglio, divertito.
- Beh, pensavo che se fossi stato buono… Babbo Natale… - e qui arrossì. - Ti avrebbe tipo… riportato a Loitsche… e quindi facevo sempre il bravo, soprattutto a scuola… - sospirò, facendo sì che i rami dell’abete coprissero il suo volto rosso. - Dio, che patetico… -
- Tu? Io ogni anno nella letterina scrivevo puntualmente ‘caro Babbo Natale, fammi rivedere Bill almeno una volta e non farò più dannare le mie maestre’ - rise.
- Eri proprio una peste, eh? -
- Già -
Risero e poi smisero di parlare. Non ne sentivano davvero il bisogno.
Era buffo perché ci si aspetta che dopo undici anni le cose da dire siano anche troppe, ma in quel momento nessuno dei due sentiva davvero l’impellenza di dire qualcosa per forza, di riempire la stanza di chiacchiericci. Rimanevano lì, l’uno accanto all’altro, a decorare un banale albero di Natale come se fosse stata la cosa più importante, ognuno attento ai minimi movimenti dell’altro. Era uno sfiorarsi, un sorridersi e un chiedersi in continuazione cosa passasse per la testa all’altro, in quel momento, immaginare la risposta e ridacchiarci su senza alcun motivo. Poteva sembrare stupido visto da un occhio esterno, ma se c’era una cosa che Bill e Tom avevano imparato dopo essere stati tanto tempo separati, era l’importanza di ogni singolo gesto. Ogni gesto è una cosa unica, che non si ripeterà mai più e che se anche accadesse, non sarebbe più come la volta precedente.
Bill aveva sofferto per la paura di dimenticare tutto ciò che ricordava di Tom, ed ora voleva imprimersi nella mente ogni minima cosa, dal modo esperto in cui muoveva le dita mentre legava un fiocco rosso vicino alla punta dell’albero al modo in cui si mordicchiava il labbro quando era concentrato in qualcosa.
Tom era sempre rimasto all’immagine di Bill bambino e ora, trovandosi davanti il Bill adulto, stentava a credere che era la stessa persona con cui giocava a nascondino sotto casa. Ma poi gli bastava osservare uno dei suoi piccoli sorrisi quando finalmente riusciva a mettere una decorazione esattamente dove voleva o il modo in cui arricciava le labbra quand’era in disappunto, per riconoscere in lui il piccolo Bill che aveva sempre protetto fin da quando aveva memoria.
- Tom... - esordì Bill dopo un po’. L’albero era praticamente finito. - Noi… ora cosa siamo? -
Il rasta fu colto alla sprovvista, e lì per lì rimase zitto. Osservò l’albero ora completato e vi si sedette sotto, incrociando le gambe. Bill lo imitò subito dopo.
- Tu… cosa vorresti che fossimo? -
Bill storse il naso. Odiava quando gli si rispondeva ad una domanda con un’altra domanda.
- Non lo so… Quando eravamo piccoli eravamo così ingenui che era facile capire cosa volevamo, ma ora… sono confuso, credo. -
- Io non ti vedo più come amico… Non solo,voglio dire. Credo di averci pensato anche troppo in tutti questi anni. -
- Già -
Tom cominciò a giocherellare con le sue dita e Bill si guardò intorno. Non sarebbero arrivati da nessuna parte così, ma nessuno dei due sembrava avere intenzione di spezzare il silenzio imbarazzante che si era creato.
- Non ho mai dimenticato quel bacio - disse finalmente Tom, tutto d’un fiato.
Bill lo fissò sorpreso. - Co-cosa? Tom, era una… era un gioco… - ma non era sicuro nemmeno lui di ciò che diceva. E come poteva esserlo dopo tutte le volte che ci aveva fantasticato sopra?
- All’inizio. Ma crescendo, mi sono reso conto che non lo era affatto. Non per me. - era serio stavolta. Così serio che Bill sentì il suo cuore fare un triplo salto carpiato e finire da qualche parte nello stomaco.
- …Neanche per me -
- Bene -
Altro silenzio imbarazzante.
- Ti ha protetto, alla fine, la dea? -
Bill rise. - Diciamo che eri più bravo tu come protettore. -
- Embè, figurati! Non mi batte nessuno -
Risero.
- E a te? Ti ha protetto? -
- Diciamo che non sono il tipo che si fa proteggere -
- Oh certo, dimenticavo che ti è sempre piaciuto giocare al supereroe - lo canzonò Bill affettuosamente.
- E a te piaceva fare la parte della principessa da salvare, se non ricordo male -
- Con un principe supereroe come te, sarebbe piaciuto a chiunque essere salvato - sorrise.
Tom non lasciò ricadere il silenzio stavolta. - Pensi che la dea possa aiutarci di nuovo? -
- In che senso? -
Il rasta si limitò ad indicare il ramo dell’albero che pendeva sopra di loro. Tom ci aveva sistemato del vischio.
- …Furbo il ragazzo - si congratulò Bill, con un sorriso malizioso.
- Sono un po’ cambiato da quando eravamo piccoli -
Bill era ancora intento ad osservare il vischio, ma quando sentì la voce di Tom così vicina fu costretto ad abbassare lo sguardo, solo per trovarselo a pochi millimetri dal proprio viso.
Arrossì furiosamente.
Tom non esitò oltre: chiuse gli occhi e premette dolcemente le labbra contro quelle di Bill.
Il moro fu scosso da un brivido e non seppe mai se era il piercing freddo di Tom o Tom stesso a fargli quell’effetto. Poteva benissimo essere la combinazione delle due cose, in effetti.
Come quella volta di tanti anni prima, Bill si staccò dopo poco, e lo fissò con gli occhi lucidi e le gote arrossate.
- La dea Friggi ti ha aiutato a decidere…? - mormorò Tom sulle sue labbra, senza interrompere il contatto visivo.
Bill annuì lentamente e poggiò la testa alla sua spalla. - E’ la dea Frigg, Tomi… - rise sommessamente, cingendolo con le braccia. - Il mio stupidone… - sospirò felice. - …è rimasto uno stupidone… -
- Lo stupidone ha due orecchie per sentirti e potrebbe offendersi, sai? -
Il moro rise e gli baciò la clavicola che la maglia lasciava scoperta. - Buon Natale, Tomi… -
- Buon Natale… - rispose il rasta, baciandogli la testolina. - E io direi che ci sta anche un bel grazie per la dea Frigg -
Bill rise, e pensò che era buffo come quello che si prospettava il Natale più brutto della sua vita si fosse trasformato, grazie ad una certa renna goffa, in quello più bello.




The End





















Note finali:

Innanzitutto, buon anno a tutti! <3
Vi auguro tanta felicità e tanto fangirling <3
...e più Twincest per tutti <3


Secondo, per la serie 'sono sempre in ritardo', la shot natalizia ve la porto a Capodanno xD
E' una cosetta scritta così, per portarvi un po' di carie e niente più xD Ma spero l'apprezzerete comunque, e se trovate orrori non preoccupatevi: l'ho praticamente scritta sempre di notte O.O"


Ps: la leggenda che ho usato potete trovarla digitando 'leggenda vischio' su google xD

Ok, mi zittisco u_u
Ancora tanti auguri a tutte <3
 
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VOTO: (1 voto, 2 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 2 commenti
piano-cartesiano 19/03/09 23:09
Che bellaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!
Questa mi piace *-*
Ti và di postare la fanfic anche su questo forum??
http://nostromondoteen.forumfree.net/
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achi - Voto: 01/01/09 10:51
OH MIO DIO|!!! ma è stupenda!!!!!!! davvvero è la verità!! sei molto brava!!!!^^
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