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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: Harry Potter
Titolo Fanfic: ANIME NEL VENTO
Genere: Romantico, Drammatico, Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Avviso: Spoiler
Autore: erikuccia galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 27/12/2008 20:47:46

L'unica cosa che Severus Piton voleva era un'anima che potesse danzare con lui nel vento ...
 
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IL BRUCO E LA FARFALLA
- Capitolo 1° -

Come al solito, qui ci vuole una premessa.
Questa nuova fiction, nelle intenzioni, vorrebbe essere la storia di Severus e di Lily, delle loro vite e dei momenti passati insieme. Vorrebbe essere la raccolta di quella storia che la Rowling ci ha fatto intravedere, ma che ha concluso troppo brevemente. Partendo da quei piccoli spezzoni di vita, presentati nel capitolo "La storia del principe" nell'ultimo libro della saga di Harry Potter, mi sono permessa l'arroganza di voler scrivere di questi principe solitario e sfortunato, coraggioso e romantico, uno dei migliori personaggi della saga. In queste pagine, che spero siano molte e di qualità, troverete cose che l'autrice ci ha già detto, altre che sono state solo ipotizzate, altre che sono mie invenzioni. Spero che il risultato sia una storia che valga la pena d'esser letta, perchè sono sicura che non ci sono - e probabilmente non ci saranno mai - abbastanza parole per descrivere un personaggio come Severus Piton.
Nonostante la mia poca maestria nelle fiction tratte da Harry Potter, spero vivamente che voi, tutti voi, possiate trovare in questa qualcosa di buono.
Ora non mi resta che augurarvi buona lettura.
Erikuccia, come sempre.














ANIME NEL VENTO
















PRIMA PARTE
L'infanzia





Amico mio, accanto a te
non ho nulla di cui scusarmi,
nulla da cui difendermi,
nulla da dimostrare: trovo la pace...
Al di la' delle mie parole maldestre
tu riesci a vedere in me
semplicemente l'uomo

Antoine De Saint-Exupery













0. IL BRUCO E LA FARFALLA


Sottili raggi di sole filtrarono attraverso la persiana chiusa.
Un nuovo giorno stava sorgendo aldilà dei confini di una stanza dall'aspetto comune e palesemente trasandato; lentamente, controvoglia, Severus Piton aprì gli occhi. La luce accecante del mattino aveva ferito e distrutto il suo sonno. L'aveva riportato, quasi spingendolo con forza, nel mondo della realtà, che lui fosse pronto o meno. E quella mattina - come nella maggior parte delle mattine - il bambino non era ancora pronto per tornare in un mondo fatto di grida, di litigi, di solitudine. Un mondo dove lui era invisibile, sporco, rinnegato, abbandonato al suo destino.
Rannicchiato nel suo letto, e ancora lievemente assonnato, si mise in posizione supina. I suoi occhi neri, profondi e lontani, fissarono con indifferenza il soffitto giallo della sua camera da letto, il suo piccolo regno, il suo rifugio...il suo nascondiglio. L'unico posto in cui si sentisse al sicuro: l'unico posto in cui si sentiva protetto e compreso, anche se non c'era mai nessuno lì dentro, nessuno che potesse (o volesse) proteggerlo o comprenderlo. Tuttavia, lì, nel suo letto e regno, poteva far finta che la solitudine che lo attanagliava non esistesse e che tutto fosse stato creato per lui.
All'interno di quella stanza poteva fingere che tutto andasse bene: poteva far finta che i suoi genitori non si odiassero, poteva far finta di essere amato indiscriminatamente da loro. In un colpo di fantasia poteva diventare un principe, un uomo potente che poteva fare quello che voleva, nel momento in cui lo voleva.
Ma quella stanza, per quanto insonorizzata e lontana da tutto, non poteva fare i miracoli.
Perchè i problemi seguivano Severus: il bambino non poteva nascondersi e, non avendo ancora la forza - e il coraggio - per combatterli, non poteva fare altro che rassegnarsi alla sua situazione.
La sua vita era quella e, per il momento, non poteva fare molto.
Poteva nascondersi in camera sua e tapparsi le orecchie; poteva perdersi nei libri che aveva cominciato ad amare sin da quando aveva imparato a leggere; poteva fuggire con la mente verso un futuro che immaginava splendente e pieno di soddisfacenti vendette. O, più semplicemente, poteva vestirsi, scappare da quell'inferno che era obbligato a chiamare casa, e correre incontro all'unica cosa che rendesse la sua vita bella. L'unica cosa, al momento, per cui valeva la pena svegliarsi e affrontare quattordici ore di sofferenza e di rassegnata disperazione.
In quella calda mattina d'estate, Severus Piton convenne con sè stesso che non c'era molto altro da fare. Per tutta la notte aveva viaggiato lungo i contorni verdi di un sogno che di tanto in tanto profumava di realtà; per tutte le ore notturne aveva abbracciato quell'unica cosa in grado di renderlo felice, senza neanche troppi sforzi.
Così, una volta sveglio, non potè far altro che cercare di rincorrere quei lontani bagliori di felicità.
Scalciò via il lenzuolo che, durante la notte, gli si era attorcigliato intorno alle caviglie. Faceva troppo caldo per dormire coperti, ma, nonostante la sua grande intelligenza, Severus Piton era un bambino di nove anni ancora convinto che uno strato di cotone macchiato qua e là potesse allontanare i mostri.
Ogni volta che calava il buio, Severus si vergognava di provar tanta paura. Appena la luce scemava, lasciandolo nell'oscurità, ombre sinistre cominciavano ad apparire dal nulla e silenziosi scricchiolii facevano colare fredde gocce di sudore lungo la schiena del ragazzino. Questi, allora, si tirava il lenzuolo fin sopra il viso, lasciando liberi solo gli occhi: perchè nonostante avesse tanta paura, non poteva far a meno di continuare a guardare, di voler conoscere cosa si nascondesse oltre il velo delle cose visibili. Si nascondeva, maledicendo ogni minuto che passava immerso in quella stupida paura; Non posso aver paura. Sono un mago! E un giorno sarò uno dei più forti...
Perchè se c'era una sola cosa al mondo capace di competere con quei brillanti riflessi verdi, era l'ambizione a diventare grande, potente. L'unica cosa che lo allontanasse dal luogo in cui il suo cuore risiedeva, era il desiderio incontrollabile di varcare la soglia della scuola di magia e stregoneria più famosa al mondo, Hogwarts, dove avrebbe cominciato il suo lungo cammino per diventare uno dei maghi più forti e più conosciuti al mondo. Un mago talmente spaventoso che suo padre, quello sporco Babbano stupido, avrebbe rimpianto ogni volta che si era rivolto a sua madre chiamandola Strega, quasi sputando quell'epiteto che nella sua bocca era sempre pieno di disprezzo e disgusto.
Sì, un giorno gli avrebbe mostrato cosa voleva dire aver del sangue magico nelle vene.
Un giorno gli avrebbe fatto vedere qual era la differenza tra un mago e un semplice, fragile babbano.
Sì, un giorno... Ma non quella mattina.
Non quel giorno.
Si alzò e, con movimenti meccanici, si rifece il letto.
Poi si diresse verso la scrivania, posta sotto la finestra chiusa, e mise un po' di ordine tra i suoi libri e i suoi appunti.
La sua grafia piccola e rotondetta ricopriva quasi interamente un quaderno intero: le parole, di quando in quando, andavano ad abbracciare numeri e formule, schemi e disegni. Più avrebbe imparato a casa, più sarebbe stato bravo a scuola. Più tempo passava sui libri ora che nessuno lo voleva, più avrebbe stretto amicizia ad Hogwarts.
Di questo era convinto: con l'ingenuità tipica di un bambino, Severus era convinto che se avesse dimostrato di essere bravo ed intelligente, tutti avrebbero voluto averlo come amico.
E aver passato un'infanzia pressochè solitaria non faceva che fomentare questo desiderio; era troppo giovane, troppo inesperto del mondo, per comprendere che la realtà raramente riconosce i meriti della mente, portando in rilievo i meriti di un bel visino e di un atteggiamento fiero e accattivante.
Cose di cui Severus sembrava essere sfornito; con i capelli neri lisci e lunghi, la pelle di una sfumatura giallignola e il volto troppo magro e troppo scarno, Severus non poteva certo essere definito un bel bambino. In più, il suo attaggiamento serio e nervoso, taciturno e cupo non serviva a suscitare negli altri simpatia e complicità.
Non che il ragazzino fosse davvero interessato ad avere le attenzioni degli stupidi adulti che frequentavano la loro casa.
Non gli importava un fico secco se gli amici di suo padre o le poche confidenti di sua madre non si interessavano a lui: non lo facevano i suoi genitori, perchè diamine avrebbero dovuto farlo degli estranei?
Tuttavia, a volte sognava di avere un bel viso, di aver perso per strada la sua timidezza e di essere in grado, come tutti i suoi coetanei, di sorridere e fare amicizia con due parole. Se fosse stato bello - o almeno minimamente carino - avrebbe potuto smetterla di nascondersi, di diventare un tutt'uno con le ombre. Avrebbe potuto guardare in faccia il sole e sfidarlo anche.
Dopo essersi lavato, andò verso un vecchio comò di legno scuro, eredità del nonno Prince, e cercò qualcosa da mettersi. Una volta adocchiato il mucchio di stracci che formava il suo guardaroba, Severus strinse i pugni e trattenne le lacrime.
Non era il silenzio o le urla, e nemmeno le accuse: non erano queste a far capire al bambino che i suoi genitori non ne volevano sapere di lui. Ma quel mucchio di abiti, di stracci rammendati e vecchi, sporchi o troppo larghi, simboleggiavano chiaramente l'indifferenza in cui era costretto a vivere, praticamente da quando aveva avuto la sforunata idea di venire al mondo. Perchè quale mostruoso genitore avrebbe lasciato che il figlio andasse in giro vestito come un barbone mascherato da giullare di corte? Quale crudeltà era mai questa?
Senza far troppo caso a quello che prendeva - dopotutto pescare nell'immondizia porta solo altra immondizia - Severus si vestì in fretta. Senza degnarsi di guardare lo specchio dietro la porta (perchè deprimersi di prima mattina?), uscì dalla sua stanza e si diresse al piano di sotto. Di suo padre non c'era traccia, mentre sua madre faceva distrattamente muovere la bacchetta su e giù per il lavello, che doveva essersi otturato di nuovo.
"Buongiorno". Il suo vano tentantivo di rompere il silenzio fu un insuccesso. Sua madre l'aveva guardato per un momento e poi gli aveva rivolto un gesto meccanico della testa. Nessun sorriso a dare il buongiorno a Severus, nessun abbraccio, nessuna domanda sui sogni o gli incubi di quella notte. Assolutamente niente. Imperterrito lui continuava a cercare contatti umani con le persone che gli avevano dato la vita, ma ogni volta che se li vedeva rifiutati sentiva qualcosa dentro di sè rompersi e perdersi per sempre. Anche quella mattina, disperato, attese: un cambiamento o un miracolo, andava bene qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa in grado di spezzare quel silenzio così dannatamente triste. Ma nulla avvenne.
Schiacciato sotto quel peso assordante, Severus lasciò perdere la sua colazione e lo stomaco che si rivoltava e, scappando via con il cappotto tra le mani, si avventurò fuori di casa. verso il mondo che un giorno sarebbe stato suo.
Spinner's End non si poteva definire un posto famoso, quanto famigerato. Un ammasso di case simili a baracche accatastate le une addosso alle altre, a condividere miseria e sporcizia. Vicoli colmi di sporcizia, angoli bui che nascondevano traffici illeciti e vaghe promesse di libertà. Persino l'erba sembrava non voler vivere in quel posto: gli unici appezzamenti di terra intorno ad alcune case erano pieni di fili che avevano perso la loro linfa, che non avevano mai conosciuto il pigmeo verde, e che variavano dal marrone al giallo spento.
Non c'era persona, a Londra, che non sapesse quanto poco piacevole fosse passare per quel quartiere dimenticato da Dio. In lontananza, il gorgoglio del fiume, si perdeva nell'olezzo prodotto dai detriti che vi marcivano dentro. Quell'angolo di mondo era così disperatamente senza speranze che Severus non poteva che sertirvicisi a casa propria. Era il suo habitat naturale, sebbene gli costasse molto ammetterlo. Lui e quella strada erano simili, nell'aspetto e nell'opinione che di loro aveva il mondo circostante. Abbandonati, solitari, cupi e tormentati. Tuttavia, c'era una cosa che separava Severus dal quariere a cui sentiva di appartenere: lui un giorno se ne sarebbe andato, avrebbe frequentato Hogwarts e avrebbe spinto gli altri a cambiare opinione su di lui. Spinner's End invece non poteva fuggire, non poteva far altro che continuare a giacere, sporca e umiliata, su quel terreno di Gran Bretagna, a prendersi insulti e lamentele.
Allungando il passo, quasi fino a mettersi a correre, Severus si lasciò alle spalle casa sua e Spinner's End, dimenticando l'olezzo e l'infelicità. Tutto proiettato verso quello che stava per vedere, lasciò che un sorriso sognante si affacciasse sul suo volto allungato.
Con il cappotto di almeno tre taglie più grandi che gli rendeva difficili i movimenti, raggiunse un parco dall'aria tipicamente inglese. Appena arrivato, con il fiato corto e le guance un po' più rosee, si lasciò cadere dietro un cespuglio carico di fiori. L'odore del miele gli pizzicò le narici e il lieve ronzio degli insetti intorno catturò la sua attenzione.
In attesa del suo personale miracolo quotidiano, Severus si lasciò cullare dalla bellezza di quella giornata. La natura intorno a lui sbocciava in splendidi colori, in opere d'arte dal carattere effimero e sfuggente. Si domandò se anche a lui sarebbe mai accaduto: se un giorno sarebbe mai riuscito a scrollarsi di dosso quell'immagine triste di se stesso, per trasformarsi in qualcosa di diverso e incantevole, se un giorno avrebbe mai lasciato il suo guscio da bruco per trasformarsi in una splendida, meravigliosa, indimenticabile farfalla.
Mentre aspettava impaziente, lasciò che i suoi pensieri vagassero. Si domandò come sarebbe stata la sua vita se sua madre avesse sposato un mago, una persona che poteva comprenderla, che conosceva il mondo della magia e che fosse fiero di aver sposato una strega. A Severus sarebbe andato bene anche se sua madre si fosse abbassata a sposare un magonò, purchè non un babbano. Andava bene chiunque avesse le capacità per comprendere la magia, che non guardasse suo figlio come se fosse il parto del demonio. Fiero del suo sangue magico, in quelle fantasie Severus era pronto a rinunciare a suo padre,a quel sangue sporco, ma non a sua madre. Per quanto taciturna, fredda e gelida fosse, Eileen Prince lo accettava: non lo guardava con odio e, anzi, quando lui chiedeva di Hogwarts gli rispondeva guardandolo con orgoglio, spingendo il suo già spiccato spirito di competizione a livelli astrali. Howgarts e la magia erano tutto ciò che riusciva a legarlo a sua madre, più del sangue, più degli occhi.
Ma con Tobias Piton non c'era niente di simile: lo guardava senza riconoscerlo, probabilmente pensando che fosse solo il risultato di uno stupido errore di gioventù. Severus ormai aveva imparato a convivere con la consapevoelzza che i suoi genitori non solo non si amavano, ma rischiavano di ammazzarsi un giorno sì e l'altro pure. Ma vedere quello sguardo disgustato negli occhi di suo padre, ogni volta che lo guardava, lo feriva ancora mortalmente.
Ma presto tutto questo sarebbe cambiato: nell'arco di due anni Severus sarebbe salito su un treno che lo avrebbe portato lontano da quello stupido di suo padre verso un futuro brillante. E allora Tobias avrebbe dovuto fare i calcoli con la sua paura, avrebbe dovuto inchinarsi a chiedere perdono per non aver compreso sin dall'inizio quale onore fosse avere lui come figlio, come erede del nome e del sangue.
Perso com'era nelle sue fantasticherie e nei suoi rancori, non si accorse che il parco non era più vuoto. Due ragazzine erano arrivate e avevano preso posto sulle altalene. Appena sentì scoppiare una risata, Severus si scosse dalle sue immagini mentali e, sempre nascosto, cominciò a guardare quello che succedeva al di là del suo nascondiglio fiorato.
"Lily non farlo!" Esclamò una bambina dal volto allungato come quello di un cavallo, gli zigomi sporgenti e gli occhi ridotti a due fessure. I capelli castani ricadevano lisci e anonimi intorno a quel volto. Guardava spaventata l'altra bambina, più piccola di corporatura, che sorridendo continuava a dondolare sull'altalena, sempre più in alto. Lunghi capelli rossi ondeggiavano seguendo il movimento ondulatorio della giostra; i suoi occhi verdi brillavano di divertimento, mentre il sorriso solare rendeva ancora più palese la gioia che provava su quell'altalena. Severus la guardò a lungo, quasi fissandola, sentendo che la temperatura del suo viso saliva pericolosamente.
Ricordò, con precisione allarmante, il primo giorno che l'aveva vista, proprio in quel parco. Risaliva a un giorno di un paio di mesi prima. Lui se ne stava rannicchiato all'ombra, a godersi i primi segnali di un'estate che ormai era alle porte. Sdraiato dietro quel cespuglio che ormai era diventato nascondiglio e amico, aveva guardato le nuvole che si spostavano lentamente, sospinte da un lieve e quasi invisibile alito di vento. Si era nascosto lì, in mezzo alla natura, lontano da casa sua. Con un sorriso, pensò che doveva essersi trattato di un segno del destino; mai, mai prima di quel giorno aveva sostato tanto a lungo in quel parco giochi in miniatura. Mai, prima di allora, aveva pensato di far di quel luogo sospeso nel vento la sua via di fuga. Ma quel giorno - quel preciso giorno -qualcosa lo aveva spinto in quell'angolo di mondo. E allora tutto era cambiato: perchè all'improvviso era apparso un angelo con lunghi capelli rossi che catturavano ogni singolo granello di luce. La ricordava ancora, con i pantaloncini corti e una t-shirt ricoperta di fragole; con la voce gentile e dolce, anche quando qualcuno la rimproverava. Con il tempo aveva imparato il suo nome, Lily Evans. Un nome del tutto appropriato per una ragazzina tanto simile ad un fiore, in tutto quello che faceva, in tutto quello che era.
La prima cosa che di lei l'aveva colpito era stato il suono della sua risata: fresca, allegra, solare. Appena l'aveva sentita si era tirato su, facendo leva sui gomiti, e aveva spiato da dove provenisse quel suono così gradito ma anche così estraneo. Ed era stato così che l'aveva vista, era stato così che aveva legato la sua esistenza a quella della ragazzina che in quel momento stava ancora ridendo sull'altalena.
"La mamma ti ha detto di non farlo!" Esclamò contrariata l'altra bambina, quella così insipida da stonare vistosamente con il brio della rossa. Petunia Evans aveva suscitato sin dal primo istante un astio totale in Severus: sempre così controllata, così seria, così petulante, somigliava molto ad Eileen Prince, con la sola eccezione che Petunia sembrava una babbana in tutto e per tutto.
Lily, per tutta risposta, lasciò che l'altalena raggiungesse il suo punto più alto e poi si gettò nel vuoto, con le braccia aperte quasi a simulare due grandi ali. Non cadde, ma si librò quasi fosse una farfalla. Poi, lievemente, sfiorò il terreno con le punte dei piedi e scoppiò in una fragorosa risata. Petunia guardò sua sorella, fermando l'altalena. "La mamma ha detto che non puoi farlo!" Si lamentò di nuovo. Severus la guardò, trattenendo a stento un sorriso: era evidente che a quella bambina non interessava poi tanto la salute di sua sorella. Sul suo volto erano evidenti i segni di un'invidia profonda per non riuscire a fare le stesse cose che riusciva a fare sua sorella minore.
"Ma non mi sono fatta niente!" Si difese Lily. A volte sua sorella maggiore sapeva essere davvero fastidiosa. Sapeva che parlava per il suo bene e altrettanto bene sapeva che non avrebbe dovuto disobbedire a sua madre, ma d'altro canto si divertiva sempre un mondo quando faceva tutte quelle cose strane che solo lei riusciva a fare. In quei momenti si sentiva unica, inimitabile e invincibile: per quanti bambini potesse incontrare, era sempre lei quella più brava, perchè solo lei riusciva a fare quelle cose. Ma Petunia sembrava non pensarla allo stesso modo. Per lei, tutto quello che Lily faceva era sbagliato, pericoloso e fastidioso. "Guarda..." continuò, attirando l'attenzione di sua sorella. Petunia la fulminò con lo sguardo, ma Lily non si fece intimorire. Corse verso un cespuglio carico di fiori, senza sapere che c'era qualcuno nascosto lì' dietro, qualcuno che stava sfamandosi del suo profumo e di quei pochi dettagli che riusciva a intravedere tra le varie foglie. Immersa nell'ignoranza di tutto ciò, Lily strappò un fiore e poi tornò da sua sorella. Improvvisamente il bocciolo che aveva tra le mani cominciò a schiudersi, per poi tornare ad essere un semplice bocciolo: i petali si aprivano e si richiudevano con un ritmo regolare, quasi ipnotico.
"Smettila!" Sbraitò Petunia, volgendo altrove lo sguardo.
"Mica ti fa male..." Provò Lily. A volte si domandava perchè sua sorella maggiore non riuscisse mai ad essere contenta di lei. Per quanti sforzi Lily facesse, Petunia sembrava sempre trovarla antipatica.
"Non è giusto," disse infine Petunia, guardando dritto negli occhi sua sorella. "Come fai?"
Un rumore di passi concitati disturbò le due sorelle, che si voltarono a vedere quale fosse la fonte di quel lieve frastuono.
Severus, spinto da una punta di coraggio che neanche sapeva di avere, si era fatto avanti.
Forse era giunto davvero il momento di smetterla di nascondersi e di affrontare il mondo circostante: tutto,purchè servisse a fargli stringere amicizia con lei .
"E' ovvio, no?" Chiese con il fiato corto.
Mentre Petunia borbottava qualche rimprovero, Lily si fece avanti, curiosa. "Cosa è ovvio?"
Severus si sentì prendere dall'euforia. Lily, Lily Evans lo stava guardando e stava parlando con lui. E la cosa sorprendente era che non lo stava guardando con disprezzo e non gli stava rivolgendo parole d'accusa.
Abituato a subire il peggio della gente, Severus aveva avuto timore che anche Lily si sarebbe mostrata crudele nei suoi riguardi. Come diavolo aveva potuto anche solo pensarlo? Un angelo come lei...cattiva? Ma neanche tra un milione di anni.
Con maggior coraggio, proseguì. "Io so cosa sei".
Per un attimo gli occhi di Lily brillarono: forse aveva finalmente incontrato qualcuno come lei, qualcuno che avrebbe potuto spiegarle perchè riusciva a fare determinate cose che nessun altro - neanche i suoi genitori - riuscivano a fare. Forse quel bambino dal cappotto lacero e largo, dallo sguardo triste, avrebbe potuto diventare suo amico: avrebbero potuto giocare insieme, quando tutti gli altri la scansavano perchè lei era diversa.
"Cioè?" Chiese con il tono di voce che malcelava la sua eccitazione.
"Tu sei..." Anche a Severus tremava la voce. Era un'emozione indescrivibile stare lì,con Lily a così pochi passi. Anche se Petunia lo guardava male, a Severus non interessava. Non gli interessava altro se non quegli occhi verdi che fissavano i suoi. "Sei una strega".
Il bagliore sul viso di Lily scomparve in un batter d'occhio.
Quel ragazzino non era diverso da tutti gli altri: anche lui l'avrebbe indicata e presa in giro.
Neanche lui sembrava essere in grado di capirla.
Trattenendo le lacrime per la scottante delusione di cui era stata appena vittima, disse:"non è una cosa carina da dire".
Allora Severus si rese conto della gaffe che aveva appena fatto. Probabilmente Lily, essendo di nascita Babbana, non sapeva niente di Hogwarts, del mondo della magia e dei termini che si usavano. Forse aveva preso la sua spiegazione per un insulto.
Arrossendo, cercò di riparare all'errore. Ma ora era nervoso, perciò le parole gli slittarono fuori sconnesse e veloci.
"No, non è vero!" Disse "Tu sei una strega. Lo sei. E' un po' che ti tengo d'occhio e tu sei una strega...ma non c'è niente di male, anzi...Anche mia madre è una strega, ed io...io sono un mago!"
Fissandola con tensione, Severus si rese conto che la bambina stava decidendo se credergli o se offendersi perchè continuava a darle della strega. Ma un sorriso apparve appena sul volto di Lily e Severus sospirò di sollievo.
Ma Petunia, stanca di essere messa in ombra da sua sorella e ignorata da quel pezzente, rovinò tutto.
"tsk, un mago!" Esclamò. "Io so benissimo chi sei. Sei il figlio dei Piton...Abitano giu a Spinner's End, vicino al fiume". Con la voce sottolineò il disprezzo che aveva per quel posto e per chiunque ci provenisse. Severus strinse i pugni sotto al cappotto, cercando di trattenersi dal correre contro quella ragazzina odiosa. Ma d'altro canto Petunia aveva detto solo la verità e il tono che aveva usato era quello a cui Severus era abituato. Arrossendo fino alla punta dei folti capelli scuri, abbassò il capo.
"Perchè ci stai spiando?" Chiese Petunia, trionfante.
"Non vi spio!!" Esclamò, punto sul vivo. Poi guardò Petunia, con sfida. "Non te, comunque. Tu sei solo una babbana".
Petunia non conosceva il significato di quella parola, ma le bastò il tono usato da quel ragazzino per comprendere che non si trattava certo di un complimento. Ecco un'altra persona che la ignorava a favore della piccola, graziosa, perfetta Lily. Non lo sopportò.
Presa sua sorella per mano, Petunia fece una boccaccia a Severus.
"Lily su, andiamo via", disse, rivolta a sua sorella.
Lily si lasciò guidare dalla mano più grande di Petunia, continuando a guardare però Severus.
Quest'ultimo avrebbe voluto urlare, rincorerrerle, fare qualsiasi cosa per fermare Lily.
Aveva aspettato quel giorno - quel momento - per così tanto tempo che ora, la scottante sconfitta, gli bruciava più del fuoco stesso.
Ma poi accadde qualcosa: Lily ricambiò il suo sguardo e, prima di voltarsi verso la strada, mimò con le labbra la parola "domani" e poi rivolse a Severus un brillante sorriso.
Da quel sorriso ha inizio questa storia.





continua....
 
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COMMENTI:
Trovato 1 commento
janebenn 27/12/08 21:02
Bello il primo capitolo!! io sono una grandissima fan di hp..e devo dire che la storia sembra interessante!! aspetto il 2 capitolo! ^^
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