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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Slam Dunk
Titolo Fanfic: TENDER
Genere: Sentimentale, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, Shounen Ai, Yaoi
Autore: ishi galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 19/11/2008 19:48:52

"Love me tender, love me sweet, never let me go." [Elvis Presley] RUxHANA
 
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LOVE ME TENDER.
- Capitolo 1° -

Love me tender,
love me sweet,
never let me go.
You have made my life complete,
and I love you so.




Kuso!
Ho i capelli fradici e la tuta non sembra altro che un flaccido straccio inzuppato.
Le cuffiette dell’Mp3 si sono salvate per poco. E hanno salvato me da questo fastidioso rumore, che non appena le tolgo dalle orecchie, non può più essermi così indifferente. Ora, infatti, non sento altro che il fracasso della pioggia che – incessante – scroscia sui parabrezza delle auto abbandonate nel parcheggio, e scivola giù, andando a creare mille cerchi concentrici nelle pozzanghere ai lati del marciapiede.
Mi chiedo chi me l’abbia fatto fare, di prendere la bici anche oggi, a quest’ora, con il freddo che mi sta ghiacciando le mani e la punta del naso, mentre ad ogni sospiro, nuvolette di vapore vanno a crearsi di fronte al mio viso. Nuvolette che, prontamente, scaccio via sventolando veloce la mano, che ormai mi sembra di non sentire più. Dopotutto… Come biasimarla? Quelli che indosso sono gli unici guanti che ho trovato per casa, e credo non siano nemmeno degni di essere chiamati tali, visto che sono privi della dita.
Per quanto sia nato a Gennaio, in pieno inverno dunque, e per quanto una kitsune ami situazioni di questo tipo, non mi sento propriamente nel mio habitat: ho sempre patito il freddo, sin da piccolo. Tuttavia…
Sono felice che nessuno possa disturbarmi. Felice che nessuno possa intromettersi, anche oggi.
Ho le labbra screpolate e mi bruciano da morire.
Appoggio la bici al muro della palestra, e le blocco le ruote. Non ho intenzione di farmi fregare l’unico mezzo di locomozione che ho a disposizione, ora come ora.
Prendo la palla custodita nel borsone e mi avvicino alla porta principale,cercando di fare il più in fretta possibile per tirare fuori le chiavi dalla tasca inzuppata dei pantaloni.
Ma non credo ne avrò bisogno.
Una piccola fenditura lascia passare una luce biancastra.
Un lieve rumore di passi, ed una palla schiacciata a terra si mischiano al boato dei tuoni e della pioggia.
Che sia un’allucinazione?
Sono le nove e… non lo so con precisione, ma a Kanagawa nessuno è in giro a quest’ora. Soprattutto nelle giornate invernali di pioggia, proprio come questa.
E allora chi diavolo sta interrompendo la mia giornata?
Chi diavolo sta usando la mia palestra?
Solo io vengo qui. Solo io, a quest’ora. Nessun altro.
Sospingo la porta con una mano, e quando la luce si fa meno fastidiosa, riesco a intravedere una figura alta, conosciuta, che si stacca da terra, quando è vicina alla lunetta. Piega le gambe, si avvita su sé stessa e schiaccia la palla nel canestro con una forza inaudita, lasciando che l’anello di metallo oscilli, insieme al tabellone.
Poi torna giù, quasi inconsapevole di ciò che ha appena fatto. Quasi non avesse compiuto il minimo sforzo.
Si asciuga la fronte con il braccio e bofonchia qualcosa che non percepisco.
Do’aho.
E’ lui. Per quanto la luce mi annebbi ancora lievemente la vista, riesco a riconoscere i suoi tratti particolari.
I capelli rossi, bagnati, ricadono scompigliati sulla fronte. Gocce di sudore percorrono la pelle del viso, scendendo a bagnare la canotta grigia. Si è buttato a terra, con la palla in mano, e guarda il soffitto, in silenzio, facendola roteare.
Sussulto.
Perché qui? Non mi sembra di averlo invitato.
Questo è il mio luogo.
E’ la mia casa.
Perché è qui?
Entro in silenzio, chiudendomi le porte della palestra alle spalle.
Il parquet è stranamente lucido, un odore di pulito aleggia nell’aria.
Hanamichi è sdraiato sotto il tabellone, e quando sente sbattere le porte, noncurante alza appena il capo, e sbircia, nascosto dalla palla.
<< Kitsune? >>
Sembra incredulo.
C’è curiosità nella sua voce.
<< Nh. >> non mi sforzo granché di salutarlo.
Nessun cenno della mano. Nessuna manifestazione d’affetto..
<< Sempre simpatica, eh? >>
Di nuovo, si stende completamente. Di nuovo, fa roteare la palla con le dita, senza lasciarla cadere.
E allora mi sfilo la tuta, abbandonandola sulla sedia di Ayako: non credo che la senpai se la prenda, se approfitto del suo trono, per una sera.
E rimango così in pantaloncini e canottiera.
Sgranchisco polso e collo, prima di prendere a palleggiare, camminando lento, arrivando alla metà campo.
Da lì, comincio a correre, e non appena arrivo alla lunetta, ripropongo al mio spettatore quello che lui ha mostrato a me, pochi minuti prima.
La palla finisce a pochi passi dal rossino, che mi guarda silenzioso, per poi tornare ad occuparsi della preziosa sfera che ha fra le mani.
Allora?
Nessun commento do’aho?
<< Brava kitsune. Davvero. >>
Sta ironizzando.
C’è sarcasmo nella sua voce.
Da quando si prende tutte queste confidenze?
E da quando non si alza, sputandomi in faccia che lui è il tensai e che il dunk che gli ho propinato non è nulla in confronto a quello che ha fatto e che può sicuramente fare lui?
Lo guardo, e torno alla lunetta.
Di nuovo, sgranchisco il polso.
E tiro.
Centro. Perfetto.
Il do’aho se ne sta ancora in silenzio, sotto il canestro. Non accenna il minimo movimento, né la minima lamentela.
Nessuna sfida?
Così, non è divertente.
E’ apatico.
Indifferente.
Noioso e irritante.
Vado a riprendere la palla e quando ormai sono a pochi passi dal mio rivale, gliela lancio addosso.
Subito, lascia andare il pallone, e si porta le mani alla nuca.
Ha le mani grandi.
Non l’avevo mai notato, prima d’ora.
Si gira, e con il fuoco nei grandi occhi color cioccolato mi sbraita dietro, come di consueto.
<< Baka kitsune, sei impazzita?! >>
Cerca di colpirmi con il suo pallone, ma non ci riesce.
<< Nh. >>
Gli passo a fianco, e mentre lo faccio, mi ferma per il polso, e mi riporta indietro.
<< Degnati almeno di dire qualcosa! >>
<< Do’aho. >>
Sollevo la spalla, e lo costringo a lasciare la presa.
<< Kami-sama! >> impreca, serrando i pugni.
<< Che ci fai qui? >> sbotto.
Come può pretendere di invadere una proprietà privata, e poi di rimanere indifferente al proprietario?
<< Che cosa? >>
<< Che ci fai qui? >> ripeto.
<< E’ una palestra. Mi alleno. Ti è di tanto disturbo, maledetta kitsune? >>
<< Si. >>
Non so che risposta si aspettasse, ma la sua espressione lo tradisce.
Sembra quasi stupito.
Cosa ti aspettavi do’aho? Che ti dicessi che mi fa piacere vederti qui? Non ho tempo per queste stupide farse, tanto meno ne ho tempo e bisogno con te.
A che cosa servirebbe essere gentili ora?
Lo guardo negli occhi e non riesco a decifrare il suo sguardo.
Mi odi così tanto, do’aho?
Gli sono cresciuti i capelli ad una velocità impressionante, ma sono sempre corti, quasi come il pelo della scimmia che, d’altronde, lui è. I muscoli tesi, ben delineati, sono ancora bagnati di sudore. Sta riprendendo a respirare regolarmente, ma il suo torace continua a muoversi vistosamente su e giù. Su e giù.
E’ furente.
Per così poco?
D’altronde, sono stato io a provocarlo, questa volta.
Ha affinato la sua tecnica, è diventato un giocatore chiave, per lo Shohoku. Ma è rimasto la stessa testa calda della prima volta che l’ho incontrato, sulla terrazza della scuola.
Sta per dire qualcosa, ma starnutisco e ti blocco sul nascere.
Comincia a ridere.
Sono così divertente?
<< Che diavolo vuoi, do’aho? >> gli dico, distante, riprendendo il pallone.
Alzo le braccia, preparando il tiro.
Concentrazione.
<< Andrai negli Stati Uniti, allora? >>
Lancio in quel momento. E la palla colpisce l’anello, finendo per essere inevitabilmente spazzata via.
La vedo rotolare a terra e finire contro il muro freddo della palestra.
Fuori piove ancora.
E anche qui, comincia a fare freddo.
<< Nh. >>
<< Ma tu rispondi sempre a monosillabi? >>
<< Nh. >>
<< Kitsune! >>
Mi afferra per la maglietta, e mi attira a sé.
E così vicino che posso sentire il suo respiro sfiorarmi la pelle, come calde e dolci carezze.
<< Che diavolo vuoi? >> ribatto.
Lui mi guarda.
Si morde il labbro inferiore, per non parlare.
E mi lascia andare, lasciandosi cadere il braccio per il fianco.
<< Dove credi di arrivare, eh? Come pensi di poter vivere in un mondo assurdo come gli Stati Uniti, come l’Nba, se sei così inutilmente apatico anche qui in Giappone?>> la sua voce è un sibilo. E come un pugno, mi colpisce allo stomaco. << Come pensi di riuscire a vivere ancora a lungo senza nessuno? >>
<< Cos’è, ti rode che sia io a poter andare negli Stati Uniti, e non tu, do’aho? >>
Mi sferra un pugno in viso, che mi fa barcollare, e finire a terra.
<< Kami-sama, kitsune! Apri gli occhi! >>
Sputa a terra, e senza nemmeno rivestirsi spalanca le porte della palestra ed esce.
Sotto il nubifragio.
<< Do’aho! >>
Lo chiamo, asciugandomi la bocca dal sangue che sta cominciano a sgorgare dal labbro tagliato.
Mi guardo la mano.
Perché non riesco a dirtelo?
Mi alzo veloce, ed esco fuori.
Non faccio in tempo a guardarmi attorno, che una mano mi attira a sé, e mi fa sbattere contro il muro esterno della palestra.
C’è freddo, maledizione.
E la pioggia sembra non voler accennare a smettere.
Non riesco a distinguere le forme.
Il buio che ci circonda è quasi surreale.
Un tuono.
Due.
<< Do’aho? >>
<< Pensi di essere così irraggiungibile, Kaede Rukawa? >>
Di nuovo, le sue parole mi colpiscono dritte allo stomaco.
<< Io… >>
<< Ehi, fate largo, arriva la stella della pallacanestro giapponese! Kobe Bryant? E chi sarebbe? Figurati se riesce a battermi una mosca del genere! >> è agitato. Gesticola. Fa una pausa e poi riprende. << E voi? Non ho certo bisogno di voi! Io sono la kitsune artica e non ho bisogno di nessuno! >>
Fa di nuovo una pausa.
Mi tiene stretto per il colletto della maglia, e sembra non volermi lasciare andare questa volta.
<< Baka kitsune, quando lo capirai che non sei solo in questo mondo? Quando la smetterai di essere così egoista? Quando capirai che ho bisogno di te? >> mi attira a sé.
E questa volta la mia testa rimane a contatto con il suo collo.
Ha un buon profumo, la sua pelle.
Un profumo strano che non so decifrare. Ma mi piace. Mi piace terribilmente.
Lo stringo forte, perché non posso farne a meno. Perché voglio godere pienamente di questo momento, finché posso. Memorizzare il suo profumo, ogni suo respiro, ogni battito del suo cuore.
Mille brividi mi colgono, e non so se è il freddo o se è il rossino che ho fra le braccia a procurarmi questo tremito.
Mi cinge le spalle, e mentre mi carezza i capelli mi sussurra l’unica cosa che non avrei voluto sentire: << Suki da, baka kitsune. >>
Di nuovo, mi colpisce dentro. << Non andare. >>
Ha la voce bassa, rotta solo dal rumore delle gocce che ancora cadono e continuano a bagnarci.
Se non mi ammalo questa volta, non mi ammalo mai più.
<< Yamete… >> cerco di staccarmi, ma non vuole lasciarmi andare. << …Hanamichi… >>
Ci guardiamo.
Perché adesso?
Mi accarezza una guancia.
<< Il vecchio mi ha parlato di un suo allievo che… >>
Gli appoggio un dito sulle labbra morbide, bagnate dalla pioggia.
Ti preoccupi per me, do’aho?
<<.. Lo so. >> mormoro, cercando di tranquillizzarlo, parlando il più dolcemente possibile. << Do’aho, L’Nba è il mio sogno. >>
Abbassa il viso.
Prontamente, porto una mano sotto il suo mento, e lo faccio alzare di nuovo.
<< Cosa vuoi che faccia? Cosa vuoi che ti dica? >>
<< Niente. Non posso pretendere nulla. >>
<< Gomen nasai, do’aho… >>
Mi guarda.
Sorride.
Poi si china a baciarmi. E quelle labbra morbide sanno di pioggia e lacrime.
E mentre le nostre labbra si accarezzano, si sfiorano, mi chiede di rimanere con lui.
<< Ti prego… >>
<< Avevi detto che non pretendevi nulla. >>
<< Non sto pretendendo niente, infatti. Te lo sto chiedendo… Ti sto pregando… >>
E continua a baciarmi.
E non mi lascia andare, e io lo stringo perché non voglio fuggire quell’abbraccio.
Voglio rimanere qui, con te, do’aho.
Perché ti voglio, do’aho.
E ti amo.
<< Siamo fradici, Hana-kun. >>
<< Andiamo da me. Ti va? >>
Era quello che volevo sentirmi dire.
Quanto potrai spingerti in là, pur di convincermi a rimanere, do’aho?
Quanto?
Corri dentro, a prendere le nostre cose.
Spegni le luci e chiudi le porte.
Prendiamo la mia bicicletta e andiamo, sotto il cielo grigio e la pioggia che continua a cadere, fastidiosa.
Tu ti sollevi appena, per andare più veloce.
<< Reggiti! >> esclami ad alta voce, per farti sentire fra la pioggia.
E io rispondo alla tua richiesta.
Ti cingo la vita, forte, più che forte che mai, mentre sfrecci per delle viuzze isolate, prima a destra, poi a sinistra, sulle pozzanghere che bagnano la mia tuta ancora umida, schivando un gatto che si blocca in mezzo alla strada, disorientato per la tua velocità e il tuo vociare.
Mi viene da ridere.
E sto bene, do’aho.
Sto bene, sul serio, come mai prima d’ora.
Perché adesso?
<< Arrivati! >> esclami, cercando di coprirti la testa con una mano.
Inutile, ormai, anche solo provarci.
Sei completamente inzuppato.
<< Correi dentro! >> mi lanci le chiavi dell’appartamento, e con una mano mi inciti ad andare.
E tu?
<< Arrivo subito. Devo trovare un modo per riparare anche questa dannata bicicletta, no? O se vuoi, la butto a mare!>>
E finge di gettare la bicicletta in una pozzanghera enorme che si è creata in mezzo alla strada.
Sorrido.
Ed entro in casa.
C’è il su odore nell’aria.
Mi sfilo le scarpe, e comincio a camminare sul parquet, temendo tuttavia di inzuppare il pavimento.
Ma la curiosità è troppa, e non posso stare fermo.
Spio ogni stanza, e in ognuna di esse, c’è un po’ di lui.
Finché non arrivo nella sua camera.
Poster, foto, fogli ovunque, una palla da basket abbandonata sotto al letto disfatto.
Proprio come la immaginavo.
Lentamente, facendo attenzione a dove metto i piedi, mi avvicino al materasso. Ma non mi siedo, conscio che altrimenti bagnerei tutto. E rimango a guardarmi attorno. Così, in questa stanza così distante e così allo stesso tempo vicina a me. In quest’atmosfera che sa di nuovo e di vissuto allo stesso tempo. Com’è lui.
La sola luce fioca della lampada sulla scrivania illumina quelle quattro mura che mi fanno sentire bene, senza che esista una motivazione logica a questa mia sensazione.
Ma subito, una luce più forte sovrasta quel debole bagliore di energia, e mi costringe a pararmi gli occhi.
<< Baka kitsune! Potevi accendere la luce, almeno… >>
Lentamente, mi sfiora il fianco, salendo su, sino al collo, dove si sofferma appena, avvicinandovi le labbra: << Ti do qualcosa per cambiarti. Ti prenderai un accidente. >>
Lo dice piano, in un sussurro così intimo che mi fa venire la pelle d’oca.
Poi… si allontana.
Così, com’è venuto, se ne va. E mi lascia inebetito a guardarlo mentre apre un cassetto a caso, e ne tira fuori una tuta blu, con le righe bianche ai lati.
<< Tieni: metti questa. Dovrebbe starti… Credo. >>
<< Andrà benissimo, do'aho. >>
<< Ti dispiace se mi cambio anche io? >>
<< Perché dovrebbe? >>
Perché dovrebbe infastidirmi, vederlo cambiarsi di fronte a me, se è sempre stato così naturale, per un anno intero?
Sorrido, abbassando lo sguardo.
E per un momento mi sento in imbarazzo anche io, a dovermi cambiare di fronte ai suoi occhi.
Do'aho, tu...
Alzo lo sguardo, e lui si sta infilando una maglia bianca, con una stampa multicolore sopra. Solo alcune ciocche fuoriescono dal colletto: è completamente sparito sotto il tessuto.
Ed è rimasto in boxer. Boxer attillati e neri.
Arrossisco, e nuovamente abbasso lo sguardo.
Lo sento borbottare qualcosa, mentre si dimena nella maglietta.
E il cuore accelera.
E perde un battito, quando sento le sue mani perdersi nei miei capelli, tirarmi su il viso. E rimango immobile a fissare quegli occhi di cioccolata, che tante volte ho schivato, per rimanere indifferente alla realtà.
<< Vuoi cambiarti, o no? >> sussura, vedendomi ancora completamente inzuppato.
<< Certo. >>
<< Vuoi che ti dia una mano? >>
E senza che io possa rispondere, lui mi sta già togliendo la maglietta. Stringendomi a sè.
E ancora, sento le sue mani scivolare - calde - sulla mia pelle, sfiorandomi, dolcemente.
E sento che ho bisogno di lui.
Adesso.
E lo bacio.
E' prepotente, questa volta.
Insinua la sua lingua nella mia bocca, e io non posso fare a meno di accettare la sfida.
E' buono.
Cosa mi stavo perdendo...
Gli sfilo la maglietta, e rimaniamo così, pelle contro pelle.
Nessuna barriera fra di noi.
Le nostre labbra restano in sospeso, vicine, senza sfiorarsi.
E i nostri respiri si mischiano, si allacciano e non si lasciano.
Come io non posso lasciare te.
<< Ai shiteru, do'aho. >> soffio, vicino alla sua bocca.
<< Vuol dire che rimarrai con me? >>
Annuisco.
E lui cerca di baciarmi ancora.
Lo fermo.
Un dito sulle labbra morbide.
Prima di sfiorarle di nuovo.
Prima di perdermi di nuovo in un bacio che sa di lui. Unicamente di lui.
<< Rispondimi. >> mormoro.
Voglio sentirglielo dire.
Ma lui si lascia desiderare.
Mi prende le mani, e intreccia le sue dita con le mie, mentre alza le braccia sino a sfiorarmi il viso.
Mi guarda, sospingendomi appena contro il letto, che mi induce a piegare le ginocchia, e a ricadervi sopra.
E lui, veloce, si sospinge sopra di me.
In quello scatto, sento il suo profumo inebirarmi il cervello.
E lo attimo a me.
<< Dillo, do'aho. >>
Gli mordo le labbra, e lui risponde.
<< Ai shiteru, baka kitsune. >>



Love me tender, love me dear;
tell me you are mine.
I'll be yours through all the years,
till the end of time.











Disclaimers: i personaggi citati non mi appartengono, ma sono frutto della geniale mente dell'amato sensei Inoue. Inoltre, la canzone utilizzata per aprire ( e chiudere ) la oneshot è "Love Me Tender" di Elvis Presley.
Note: (1): ho utilizzato termini giapponesi nel corso della oneshot. Nel caso non fossero chiari, li elenco qui sotto, con traduzione annessa:
ai shiteru: ti amo
baka: stupido/idiota
do'aho: stupido/idiota
gomen nasai: scusa
suki da: mi piaci
kami-sama!: dio santo!
kuso!: merda!
kitsune: volpe
yamete: smettila;
(2): Grazie per la lettura di questa mia prima oneshot a tematica yaoi su questo stupendo manga.
Un grazie particolare ad Anna, mia sensei, che con i suoi scritti mi ha ispirata.
Ishi.

 
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VOTO: (1 voto, 1 commento)
 
COMMENTI:
Trovato 1 commento
anna1983 - Voto: 20/11/08 13:03
No, dai, sensei no!! Mi fai sentire vecchia vecchia così eh!! E già che stamattina mi sono svegliata coi reumatismi...
Vabb, lasciando da parte le futilità e veniamo a noi: ma brava!! :)
Lo stile è come sempre molto scorrevole, forse qualche virgola che spezza un po' troppo le frasi... Ma anche così è godibilissima! :)
E poi... Che emozione quando dice che si mettono pelle contro pelle!! Anche io Ede-pelle-contro-pelle!! Ah-ehm, ricomponiamoci!
Secondo me che stona un pochino è la richiesta immediata di Hana di non partire: per come vedo io l'amore profondo di Hana verso la Kitsune, non mi sembra tipo da chiedergli di rinunciare subito al suo sogno! Boh, me lo vedo un po' di più come lo sbruffone megalomane che inizia a dire: scappa per non esser battuto dal Tensai, ti raggiungerò e supererò anche là!!! Bwahahaha!
In ultimo, prega che la mia volpetta non si ammali per il nubifragio che le hai fatto subire o... la mia vendetta sarà tremenda!!
Ciao stèla!! :)
Anna
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