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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Fumetti e Cartoni non giapponesi
Dalla Serie: X-Men
Titolo Fanfic: A FATHER`S LOVE
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: aya-suzuki galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 26/05/2003 14:03:15

una ragazza pensa al suo eroe... (il genere non è molto corretto, ma è quello che più si avvicina...)
 
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A FATHER`S LOVE
- Capitolo 1° -

Salve… allora, non ho particolari spiegazioni da dare, prima di questa fic. Non ha attaccamento a nessun’avvenimento, poiché non sono bene a conoscenza dei fatti, quindi ho preferito non dire scemenze e rimanere ambigua… spero di non esserlo troppo.
Semplicemente, l’ ho scritta pensando a questo X-men che adoro… ^_^
Oh, eh, uh, ringrazio Arte-chan, che con la sua fanfic, benché non abbia nessun punto in comune con questa, mi ha ispirato… danke! (per stare in tema… ^.^)

*********************

Il cielo è coperto… tra poco pioverà. Poco male, io sono qui dentro, al sicuro ed al calduccio, alla faccia del gelido gennaio che c’è la fuori! Gli altri hanno freddo, forse. Io no, non più.
Ora ho degli amici, una vita da vivere, un cuore da donare senza paura, libero, puro. E tutto questo solamente grazie a te. Quando mi trovai in difficoltà, caduta malamente tra la strada che stavo percorrendo ed un tragitto futuro che non riuscivo a descrivermi, arrivasti tu. Ti ringrazio ancora oggi, anche se non a parole. E tu lo sai, Kurt.
Prima, ero una quindicenne taciturna e sola, orfana di madre. Una mutante col potere dell’invisibilità, e già cintura nera di aikido. Vivevo a New York con mio padre che però… diciamo che non mi ha mai amato alla follia, per usare un eufemismo. La mamma morì di parto quando io nacqui, e quand’ero ancora piccola mio padre mi iscrisse al corso di aikido, voleva che diventassi una campionessa.
Anche lui era un mutante, un telepatia, potente. Già da quando ero solo una marmocchia dimostravo di avere questi interessanti poteri mutanti… lui aspettava solo l’occasione buona per sfruttarli. Ma non di sfruttare me… di sfruttare la capacità di diventare invisibili, che casualmente si trovava in me. Era solo più comodo per lui.
Con i suoi poteri controllava la mia mente, spedendomi a sera tarda per la città, a rubare in gioiellerie ed in altri negozi costosi. Io naturalmente dovevo rendermi invisibile, ed anche se fosse scattato l’allarme avrei steso le eventuali guardie e sarei corsa via prima che potessero individuarmi.
Io, volendo, avrei potuto fare qualcosa per quella situazione, certo. Ma non volevo. Non mi opponevo alla manipolazione della mia mente, anche se lo odiavo, ed era sgradevolissimo. Speravo che, in quel modo, mi sarei accattivata un po’ della sua simpatia… un sorriso… una parola affettuosa, un grazie, hai fatto un buon lavoro… Mi umiliavo desiderando di ricevere un cenno d’affetto per una cosa disgustosa, un cenno d’affetto che puntualmente non arrivava, mai, mai, non è mai arrivato. Era il mio dovere, rubare. Io continuavo a farlo, continuando anche a guardare speranzosa nella direzione di mio padre, impegnato a contare i soldi che avevo portato a casa. Il mio sguardo però, non lo toccava minimamente: si metteva i soldi in tasca e saliva nel suo studio.
Oggi, ripensandoci, mi sento male al solo pensiero del ricordo di com’ero. Odio la ragazza che ero, e mi odiavo anche all’epoca. Quando tu mi portasti via, mi impegnai a fondo per cambiare, per eliminare ciò che ero, ciò che non meritava di essere conservato. Praticamente tutto.
Ho sbagliato per tutta la vita: erano sbagliati i miei sentimenti, i sentimenti che volevo ottenere e i metodi che usavo per ottenerli.
Meno male che esisti tu.
Ricordo benissimo la prima volta che ti vidi, Kurt; sei stata la prima persona a guardarmi così.
Quella sera, il mio compito era svaligiare la gioielleria Bulgari. Dentro c’era un custode, ma quello non doveva essere un ostacolo per me, se lo fosse stato… era meglio per me, se non lo fosse stato. E non doveva assolutamente esserlo, ed ogni volta che andavo per un ‘compito’, avevo una paura matta che un ostacolo si fosse presentato. Davo tutta me stessa, in quello che facevo.
Il mio dovere era agire in fretta, bene, con precisione e razionalità. Ruppi la vetrina, e non mi lasciai distrarre dall’allarme che scattò. La faccia del custode era la solita: come si è rotto quel vetro, si chiedeva, e perché l’allarme è scattato?
Nell’entrare attraverso il grande buco sul vetro, però, mi ferii ad un braccio contro una grossa scheggia, e mi sfuggì un lieve gemito. Lieve, lievissimo. Però, purtroppo per me, quella guardia lo percepì. Nel frattempo io ero già scattata un avanti, per colpirlo, ma lui… lui fu più veloce di me…! Colpì forte davanti a sé, a casaccio, e mi centrò in pieno volto. Confusa, indietreggiai appena, mentre cominciava a venirmi un gran mal di testa: mio padre si stava arrabbiando.
Ero tra due fuochi: potevo mandare al tappeto la guardia, ma nel frattempo l’allarme ne avrà già chiamate altre…; fuori invece, se fossi fuggita, ci sarebbe stato mio padre ad attendermi. Io non avrei saputo che dirgli.
Nonostante ciò, balzai subito fuori dal negozio, e corsi nella direzione di casa… lungo la strada trovai mio padre, che mi fissava. Aveva uno sguardo irritato, gli occhi stretti a due fessure… Sai, la stessa espressione che hai tu quando l’aspirapolvere non funziona.
La sua macchina da rapina mal funzionava. Cosa passa per la testa, a questa macchina da rapina? Cosa devo farci?
“Spiegami cosa accidenti stai combinando!” tuonò.
Io rabbrividii:”Scu… scusami, mi sono ferita contro un vetro… vedi?” mormorai, quasi impercettibilmente, mostrandogli timidamente la ferita che avevo ad una spalla. Lui nemmeno la guardò.
“Ti sei fatta beccare dalla guardia, e perfino colpire. Proprio non vuoi darmi nessuna soddisfazione…!!”
Avrei voluto dire qualcosa, ma non avrei mai avuto il coraggio di farlo. Nemmeno se non m’avesse colpito al viso, e nemmeno se si fosse fermato, se non avesse continuato a picchiarmi, in mezzo alla strada… con nessuno, praticamente, nella zona, che potesse intervenire in mio aiuto… o almeno, lo credevo.
Qualcuno c’era. C’eri tu. E non ringrazierò mai abbastanza…
Ci guardavi inorridito, mentre correvi avanti e bloccavi i polsi di mio padre. Io barcollai e caddi all’indietro, poi ti guardai. Rimasi senza fiato. Ti voltasti un secondo verso di me e mi guardasti preoccupato, prima di essere costretto a rivolgere nuovamente il tuo buon viso a mio padre.
“Ma cos’è lei, pazzo? Le paiono i modi, vuole per caso ucciderla?!”
Mio padre ringhiò:”Taci, idiota ficcanaso, non sono affari tuoi!”
“No… non lo sono, ma mi sento comunque in dovere di intervenire, di fronte a quello spettacolo ripugnante. Lei dovrebbe vergognarsi…!”
“Brutto…!” mio padre ti afferrò per il bavero e fece per farti un pugno. La tua espressione non cambiò, nemmeno in quell’ambito.
Ma io non volevo che accadesse: mi lanciai avanti, separandovi, ti afferrai per le spalle, folle:”No, ti prego… vattene, vai via, vattene…!!”
“Andarmene?! Ma…”
“Forza, stupido, vai via…!”
Non volevi affatto farlo… ma tu sei una persona discreta. Mi lanciasti uno sguardo che parlava, raccomandandomi tacitamente di… riguardarmi… Poi ti voltasti ed andasti via, piano, dubbioso. Quel tuo comportamento, anche se il mio cuore era troppo in tumulto per rendermene già conto, mi appagò più di quando mi fossi mai sentita compiaciuta in quindici anni di vita.
Quando tornammo a casa, andai a letto con altri nuovi lividi.

“Latona, sei ancora qui!”
“Oh… Kurt!” vederti mi rende sempre felice. So che può sembrare un sentimento irrazionale il mio… ma bè, in effetti forse lo è. Spero che non lo sia oltre i limiti.
Ti siedi sulla poltrona di fronte alla mia, guardandomi con aria di rimprovero, ma sorridi:”Perché non sei con gli altri?”
“Oh… sai, non mi andava. Fuori fa così freddo… che ci vadano loro!”
Ridi, chiudendo gli occhi:”Come sei pigra… non va mica bene!”
Distolgo lo sguardo, sospirando:”Sai, stavo ripensando a… a tre anni fa…”
Non ridi più, la tua espressione si fa seria:”Oh, Late… ancora?”
Io li limito ad annuire, mestamente. Forse troppo…
Tu ti alzi e vieni da me, ti siedi sul bracciolo e mi stringi tra le tue braccia:”Piccola, non devi pensarci di continuo, ti farai solo male. …Non riesci a lasciarti quegli anni alle spalle, eh?”
“No, non ci sono ancora riuscita… ma meno male che ci sei tu. Sennò, non ci riuscirò davvero mai.”
“Oh…”
“Sei il mio migliore amico, Kurt. E so che forse io ti sembrerò troppo… melodrammatica, sentimentale, ma… sento di continuo il bisogno di dirtelo.”
Anche se non ti vedo, mi accorgo che sorridi, non dici nulla e m’abbracci più forte.
Ti prego, rimani sempre con me. Non lasciarmi mai.

Qualche sera dopo, mio padre mi chiamò nel cucinino. Sapevo benissimo cosa voleva da me, quello era l’unico motivo per cui mi chiamava a lui. E i momenti in cui la mia speranza ardeva più forte, desiderando che le tue richieste fossero diverse… o che non fossero semplicemente ordini.
“Vieni qui”, disse, ed io obbedii. Mi poggiò bruscamente le mani sulle tempie, ed io mi sentii nuovamente ottenebrata. Era una sensazione orribilmente frequente. Lui lo sapeva, che la mente può danneggiarsi se sottoposta di continuo a comandi telepatici. Ma sapeva anche che io, se fossi andata a rubare con la mente libera, non avrei fatto le cose per bene, troppo in colpa e troppo confusa per agire come si conviene.
Pochi minuti dopo, ero già in strada, camminavo spedita verso il negozio di Gucci. Lungo la strada c’erano altri piccoli negozi… qualche bar, trattoria… una chiesa…
E di fronte alla chiesa c’eri tu. Io ti vidi per prima, tu pochi secondi dopo. Probabilmente notasti il mio sguardo spento ed atterrito, ed tu t’irrigidisti.
Avanzasti verso di me, facendo per salutarmi… Non hai idea delle emozioni che quel tuo piccolo gesto ha risvegliato in me… era un semplice gesto di cortesia, formale pure, ma nel suo piccolo si poteva definire… affetto, o questo era quello che volevo io. Non desideravo altro che un po’ d’affetto, disperatamente. E vedere che tu me ne donavi quella piccola goccia conoscendomi semplicemente di vista, mi parò davanti con orribile violenza mio padre, dell’affetto che avrebbe potuto darmi. Assolutamente nessuno. Niente di quello che avevo fatto in passato, che facevo, e che avrei potuto fare l’avrebbe indotto ad aprirmi il suo cuore, non ne aveva alcuna intenzione. Ed io ero solo una povera, inutile, persa stupida, stupida… cosa mi aspetto, mi chiesi…
Volevo togliermi da quel giogo senza cuore; mi accasciai a terra, portandomi le mani alla testa, spendendo tantissima energia per scacciare i suoi orribili tentacoli dalla mia mente… Sentivo la testa ardermi, emettevo gemiti strozzati.
Lui era duro, non voleva proprio lasciarmi, ma io mi sentivo determinata… non lo ero mai stata così. Mi sforzai così tanto che caddi su un fianco, contorcendomi. Sentii le tue mani sulle spalle, le vibrazioni della tua voce che cercavano di dirmi qualcosa che però in quel momento non m’interessava; ti scacciai bruscamente, portando avanti il mio supplizio.
E, all’improvviso, nulla. Nessun dolore, nessun controllo mentale. Il cuore mi batteva fortissimo, ed il sangue circolava in me a velocità forsennata. Poi, finalmente, alzai lo sguardo su di te, Kurt: eri raggelato, allibito.
“Che cosa…” iniziasti a dire; però la tua voce di disperse nello spasmo che provai quando la mente di mio padre tornò con ferocia a controllare la mia, più forte di prima. Mi intimava di tornare a casa. Sembrava tranquillo.
Io eseguii, come un androide… pochi minuti dopo, varcai la soglia di casa, dove mio padre mi attendeva con un bastone.
Picchiava forte, ed intanto urlava parole che non riuscivo a cogliere, impegnata com’ero a parare i suoi colpi, orribilmente determinati. Ad un certo punto iniziai a difendermi, ad attaccare, furiosa… quando tutto finì, mio padre stava steso a terra, svenuto.
Io rimasi lì, in piedi, tremante, sconvolta, e piangevo. Poi però, provai una grandissima paura di lui e della sua mente schifosa, anche se inerme. Provai ad odiarlo, a desiderare di ucciderlo, ma non riuscivo a provare altro che terrore. Terrore che potesse ancora controllarmi, ancora picchiarmi.
Ero piena di lividi, mi sentivo uno straccio.
Poi mi voltai, ed uscii dalla porta ancora aperta, correndo a perdifiato. Quanto forte, correvo… non desideravo altro che andare lontano, il più distante possibile da lui e dalla sua mente terrificante.
Poi… ti trovai lì, di fronte a me, lungo la strada. Ti eri preoccupato per me, e mi avevi seguito, per accertarti che tutto andasse bene… ma sapevi che non andava bene nulla. Mi guardavi con occhi tristi, cercavi di esprimermi dolcezza, e ci riuscisti benissimo.
Scattai in avanti e mi gettai addosso a te, piangendo a dirotto e singhiozzando:”A… aiutami…!!”
“Cosa succede? Cosa… cosa ti è successo, tutti questi liv-”
“Ti prego, aiutami…”
“Dimmi cosa succede! Scappi da tuo padre?
“Si, no, io… per favore, per favore… ti scongiuro, portami via da qui… lontana… da lui…”
Io continuavo a piangere, chiedendoti di portarmi via… tu mi capisti, come nessuno mai aveva fatto, e nessuno aveva mai provato a fare. Capisti che le domande era meglio riservarle per dopo.
Capii che avevi intenzione di agire sul serio. Non conoscevo nemmeno il tuo nome, e sapevo che il solo fatto che ti stavi preoccupando non significava che dovessi affidarmi totalmente a te.
Ma ciò era esattamente quello che intendevo fare, affidarmi a qualcuno. E tu mi sembravi colui che poteva darmi più affetto di tutti, in quanto prima persona che me ne dimostrava di sincero… ancora, questo sentimento irrazionale. Con te, mi capita.
Mi abbracciasti stretta, sussurrandomi nell’orecchio che sarebbe andato tutto bene.
Poi sparimmo in una nuvola di zolfo.

Fine



 
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