- Capitolo 1° -
C’era una volta una giovane contadina di nome Erica. Viveva da sola in una piccola casetta e viveva coltivando e commerciando mele. Ne coltivava di ogni tipo e colore. Gialle, verdi, rosse. Recentemente aveva inventato, attraverso esperimenti e impianti, un nuovo tipo di mela, quella viola, ma era un po’ acidula e da perfezionare. Erica era allegra, anche se la vita della coltivatrice di mele era dura e faticosa. Era felice perché ogni albero di mele era un po’ come una sua creatura, un suo figlioccio e le mele erano delle ricompense per le sue amorevoli cure. Ovviamente, grazie alle cure che vi prestava, erano le più dolci e più succose che chiunque possa avere mai mangiato. Ma veniamo alla storia. Un giorno Erica vide che da un albero era caduta una mela. La raccolse, la sfregò sulla camicia e fece per addentarla. Tuttavia, si fermò appena in tempo. Quella che teneva tra le mani era la mela perfetta. Incredula, battè le palpebre e controllò di nuovo. Colore perfetto, di un rosso così acceso che un rubino, vergognandosi, sarebbe corso a rifugiarsi in una cava di carbone. Era così rotonda che la Luna avrebbe fatto bene ad andarsi a far levigare, se non voleva perdere la faccia. Così liscia che il marmo si sarebbe sgretolato, umiliato, finendo per diventare sabbia. Erica deglutì, ancora incredula innanzi alla meraviglia che si trovava innanzi. E annusò la mela. Sì! Quel profumo dolcissimo d’estate e di calore! Quell’aroma fatto di risate cristalline e colori accesi! Non poteva sbagliarsi, era lei! Era la mela perfetta! Subito corse in casa a posarla sul tavolo. Erica conosceva l’antichissima leggenda che circola ormai tra pochissimi coltivatori di mele e che si è persa lungo le generazioni che, poco a poco, si sono discostate da tale mestiere. Ebbene, la leggenda della mela perfetta narra che un tempo esisteva una giovane donzella che aveva un melo. Un melo piccolo, raggrinzito, ma che sapeva dare buoni frutti, per quanto rari. Spesso quel melo non produceva che piccole palline acidule, ma talvolta, grazie alle cure della giovane, era in grado di fare dei miracoli: mele grandi, succose, dolci come il miele. Quell’alberello era per la ragazza la massima fonte d’orgoglio. Lo curava, amorevole, vezzeggiandone i rami e accarezzandone le foglie. Finché, un giorno, un uomo non venne a bussare alla porta della coltivatrice di mele. - Ho sentito molto parlare di quell’albero e dei suoi celebri frutti. Sono ricco e lo voglio comprare. - Mi spiace – replicò lei, stizzita – Quell’albero non è in vendita. - Posso pagare quell’albero tanto quanto si può pagare una casa. - Non m’interessano i soldi, quell’albero non è in vendita. - Vendimi l’albero o preparati a pagarne tu stessa le conseguenze. - Fuori dai piedi o giuro che sarai tu a pagare, ma un’operazione di chirurgia invasiva particolarmente dolorosa e delicata! Il ricco uomo se ne andrò, arrabbiato e inferocito. Invece di tornare direttamente alla sua casa, vuota e sfarzosa, passò dalla vecchia strega del paese. - Che cosa può volere un uomo ricco da questa vecchia? – gli domandò l’apparentemente innocua vecchina, tremula e raggrinzita nei suoi sformati abiti neri. - C’è una ragazza che rifiuta di vendermi ciò che desidero, un albero di mele. Desidero che sia lei a pagare per il proprio egoismo. - Se è questo che vuoi, allora lo avrai. Ma dovrai pagarmi con tutto ciò che possiedi. L’uomo, accecato dalla collera, viziato com’era, accettò e diede alla strega tutto, tutto: soldi, casa, terreno. La vecchina gli disse che il giorno dopo l’uomo sarebbe potuto andare a prelevare il melo e nessuno avrebbe potuto impedirglielo. Lui le credette e tornò a dormire in quella che, ancora per una notte, sarebbe stata la sua casa. La ragazza del melo dimenticò il fastidioso visitatore di quel pomeriggio, ignara del patto crudele che era stato stretto quel giorno e si preparò a cenare. Viveva da sola poiché i fratelli erano sempre in viaggio a mercanteggiare e ingannare ingenui e il melo era la sua unica fonte di compagnia. Mentre si apprestava a prepararsi una cena frugale, bussò alla sua porta l’anziana strega. - Oh, che ci fate qui, signora? Venite dentro e cenate con me, è quasi notte! – l’invitò, senza nemmeno lasciarle il tempo di pronunciare la maledizione. La vecchina ci pensò un po’ su: era da maleducati rispondere ad un invito con una maledizione. Senza dire nulla entrò nella casa della ragazza e si sedette al tavolo. E la ragazza le raccontò della propria vita, di come era bello quando viveva con mamma e papà e di come questi avessero deciso di viaggiare e conoscere posti nuovi; di come adesso lei vivesse sola per via dei fratelli mercanti; di come era stata contenta quando i genitori le avevano spedito i semi del melo che lei tanto amava e di come lei sentisse chiaro l’amore della famiglia lontana frusciare tra quelle foglioline. La vecchina ascoltò in silenzio. Quella fanciulla era gentile. Le dispiaceva farle del male. D’altronde, aveva stretto un patto e una strega non può certo infrangere un patto. Che fare? Decise di mutare la maledizione e di limitare i danni, per quanto poteva. Cenarono e la ragazza le offrì un letto per la notte. La strega accettò e finse di addormentarsi. Quando fu certa che la giovane si fosse assopita, si portò al suo fianco e, sfregandosi le mani e soffiandovi sopra, ottenne una polverina rossa come il sangue e luccicante come un diamante reso polvere. - Piccola ragazza, tu scomparirai, ma non per sempre. Un giorno, qualcuno amerà coltivare mele così come tu stessa l’hai amato e quando ritornerai sarà sottoforma della Mela Perfetta e solo allora, finalmente, potrai tornare ad essere umana. Soffiò un po’ della polvere sul volto della ragazza, poi ci pensò su e aggiunse: - Che serva di lezione a chi ha voluto farti male; il melo smetterà di produrre buone mele, fintantoché a prendersene cura sarà un uomo dal cuore arido. Detto questo, si alzò e, con un battito di mani, si disfece della polvere e scomparve, in un botto e in un refolo di fumo grigiastro. la casa rimase vuota, poiché sia la ragazza che la strega erano scomparse, l’una a godersi le ricchezze dell’uomo arido, l’altra in attesa di rinascere come Mela. Il mattino seguente l’uomo crudele andò a prelevare il melo, trovandone però i frutti aciduli e polverosi. Della tanto decantata dolcezza, di quella polpa succosa non ne trovò mai traccia. Povero e affamato, impazzì continuando a coltivare mele amare, fino al giorno della propria morte. Questa è la leggenda della Mela Perfetta. E adesso Erica aveva innanzi proprio quella! La Mela Perfetta! La studiò di nuovo, sotto la luce della lampada; veniva da chiedersi se fosse la mela a specchiarsi nella fiamma e non viceversa, tanto la buccia era splendente. Erica deglutì, intimorita ed euforica insieme. Ancora pensava a quando stava per mangiarla! Ma che fare per risvegliarla? Le leggende erano troppo generiche e dispersive. Va bene, aveva la Mela Perfetta. Che farne adesso? Doveva sfregarne la buccia tre volte? Farla saltare? O aprirla? E se poi in questo modo si fosse trovata con un cadavere di fanciulla squartato? Nono, non poteva permettersi di compiere un errore così atroce. E sanguinario. - Allora. – esordì, esitante – Tu sei la Mela Perfetta, per cui tecnicamente adesso dovresti tramutarti nella fanciulla che coltivava mele. E so che ho ragione. E so che in questo momento sei priva di organi, di sangue, di nervi e quant’altro e non puoi né vedermi, né sentirmi e né accorgerti del mio tocco. Ma ho bisogno di sapere come fare per farti tornare fanciulla. Niente. La Mela la rimandava il riflesso del proprio sguardo incuriosito ed esitante. - Se continui a non comunicare non andiamo da nessuna parte, Mela Ostinata… - sbuffò Erica, inclinando il capo. Ma la Mela rimaneva in silenzio. E come biasimarla, poiché era priva di bocca e corde vocali? Non sapendo che fare Erica tornò al lavoro, premurandosi di lasciare la Mela lontana dal sole e in un punto in cui non sarebbe potuta cadere per colpa di una folata di vento. Ogni tanto interrompeva il proprio lavoro, tornando in casa a controllare che tutto fosse a posto e che nessun rapace fosse entrato disgraziatamente dalla finestra per ghermirla e rubarla. Ovviamente, nulla accadde alla Mela ed Erica alternò veloci visite alle proprie onerose faccende, poiché non solo coltivava e raccoglieva mele da decine e decine di alberi, ma ne produceva oli e succhi. Era una vita faticosa e anche un po’ solitaria, ma a lei non dispiaceva, perché era una vita spesa tra il profumo delle mele, i canti degli uccelli e il calore del sole. Senza contare che, ogni volta che andava in città per vendere i propri prodotti, era ben lieta di festeggiare i profitti offrendo da bere ad amici e passanti. Quella sera, per cena, si preparò una zuppa di mele e la fece bollire con la solita calma, osservando la Mela Perfetta, immobile al centro del basso tavolo di legno. - Non facciamo progressi, eh? – sbuffò Erica, sedendosi davanti alla Mela. Ovviamente a risponderle venne sono il silenzio. - Beh, tecnicamente dovresti essere una fanciulla. È maleducato che io ti mangi davanti senza offrirti nulla. Detto questo si alzò, spostò la Mela Perfetta da un lato del tavolo, esattamente di fronte al proprio posto e le mise davanti un piatto, un bicchiere colmo di vino di mela e delle posate. Quando la zuppa fu pronta, ne servì sia a sé stessa che alla Mela Perfetta, che continuava a tacere imperturbabile. - E’ un po’ macabro offrirti da mangiare delle mele. – notò Erica – ma dovrai accontentarti, perché al momento non ho altro. Mangiò con calma, lasciandosi andare qualche volta a osservazioni e battute, sperando di strappare alla Mela Perfetta almeno un sorriso, uno scuotersi, un leggero spostamento. Nulla. - Beh, Mela cara, io ho lavorato tutto il giorno e tu neanche parli… perdonami, ma credo che andrò a letto. Erica indossò il pigiama e si preparò a coricarsi. Tuttavia, prima di stendersi finalmente sul proprio letto, gettò un’ultima occhiata alla Mela, immobile da un lato del tavolo. - Se davvero sei una fanciulla, allora credo sia maleducato lasciarti tutta la notte sul tavolo. Sospirando, si alzò e prelevò la Mela Perfetta dal tavolo. L’accarezzò dolcemente e la posò sul cuscino, accanto a sé. - Se fossi cavalleresca ti lascerei il letto per dormire sul pavimento, ma non mi sembra tu abbia bisogno di occupare tanto spazio, perciò credo che ti accontenterai, no? – sospirò Erica coprendo anche la Mela Perfetta col lenzuolo – Buonanotte, Mela. E il sonno arrivò presto per la stanca Erica. E dopo il sonno, con uno sbuffo di fumo e qualche scintilla, accanto al letto venne anche la strega. Era più giovane e più ricca di come era apparsa quando quell’uomo crudele le aveva dato tutti i propri possedimenti per la rovina della fanciulla. Peccato che, quella volta, non vi fosse nessuno di sveglio a poterle fare dei complimenti. Peccato. - Allora, ci incontriamo di nuovo, Ragazza-Mela. Sei tornata come Mela Perfetta e sei stata coltivata da chi ama le mele. Un patto è un patto. Tornerai ad essere fanciulla. Così come aveva fatto tanti anni prima, sfregò le proprie mani e vi soffiò sopra e si materializzò una polverina scintillante e rossastra, che la strega soffiò, con un po’ di soddisfazione, sulla Mela Perfetta. Questa cominciò a scuotersi, a muoversi, a crescere, finché la buccia non si aprì con uno strappo e non apparve la fanciulla addormentata, così come era stata prima che la strega le lanciasse la maledizione. - Buon sonno a entrambe. – augurò la strega infine, prima di fuggire in uno sbuffo di fumo. Il mattino seguente, Erica si svegliò e non riuscì a trovare la Mela Perfetta. Che l’avesse schiacciata? Che l’avesse mangiata nel sonno? Che fosse rotolata via per un suo movimento e un procione fosse entrato dalla finestra per poi rubarla? Che una gazza ladra fosse entrata e, rapita dalla lucentezza di quella buccia splendente, l’avesse rapita? Si mise le mani tra i capelli e cercò di calmarsi. Doveva essere logica. Doveva mantenere la calma. Si ripromise di farlo dopo aver bestemmiato tutte le divinità che conosceva, una per una, in ordine alfabetico. Era arrivata ad augurare brutti incontri con asini particolarmente socievoli a Brigid, quando una voce sconosciuta e melodiosa la interruppe. Erica si voltò e si trovò innanzi alla Fanciulla Perfetta, che era stata poco prima la Mela Perfetta. - Ti devo dei ringraziamenti. – le disse questa – Non sarei mai tornata come un tempo, se tu non avessi amato le mele. - Oh, beh, è stato un piacere. – le rispose Erica, dissimulando orgoglio – Chi non avrebbe raccolto amorevolmente una mela tra tante mele? Chi non l’avrebbe curata, vezzeggiata e adorata? Chi non le avrebbe faticosamente apparecchiato la tavola? Chi non si sarebbe onorevolmente offerta di darle un giaciglio? Chi non avrebbe esitato a combattere cruente battaglie e a rischiare la vita per…? - Senti, mi hai messo davanti una zuppa che poi ti sei pure mangiata e mi hai messa su quel vecchio cuscino. Non è che ci sia da scriverci una leggenda epica. – sbuffò la Fanciulla, incrociando le braccia al petto. - … beh, però l’ho fatto in modo gentile. – si difese Erica. - Te lo concedo. – ammise la Fanciulla, guardandosi intorno – Ho visto i tuoi meli. Sono belli. - Certo che lo sono. – replicò orgogliosamente Erica. - E sono tanti. - Decine e decine. A volte cerco di contarli, ma poi mi addormento e devo ricominciare daccapo. Poi però mi addormento di nuovo e via dicendo. C’è da perderci le giornate. - Sì, beh, sono molto belli e sono molti. Voglio dire, secondo me hai bisogno di un aiuto. - Naaah, non direi proprio. Finora ho fatto tutto da sola e ammira che risultati! – rispose Erica, non cogliendo l’implicita e per questo incompresa offerta della Fanciulla. - Sssssì, ma continuano ad essere molti. Secondo me con un piccolo aiuto potresti riuscire ad averne ancora di più e a curartene ancora meglio. Non credi? – la Fanciulla decise di tentare con un approccio un po’ più esplicito, battendo le palpebre e muovendo il capo in piccoli scatti significativi. - Tu dici? – replicò Erica – Beh, ma poi dovrei pagarlo. E i soldi sono soldi, mica… - Dannazione, coltivatrice cerebrolesa! Vuoi che rimanga qui ad aiutarti o no?! Guarda che me ne vado, eh! - Eh ma dillo prima, allora! Certo che puoi restare. – rispose Erica, sorridente. - Il tuo acume mi affascina. – commentò la Fanciulla, sbuffando. - Vero? Sempre detto che quello shampoo fa miracoli. – si vantò Erica, per poi aggiungere – Allora! Se resti dovresti avere un nome, no? Non posso certo chiamarti ‘Mela Perfetta’. - Infatti! A me piaceva molto Josephine… - … è troppo lungo. Facciamo che ti chiamerai Mela. E’ corto e ti si addice. - Che spiccata fantasia! – ringhiò quasi Mela – Ma, che peccato, avevo già pensato da sola al nome da darmi e sarà Jos… - Mela, volendo ci sarebbero da raccogliere le mele nei filari più in fondo. Te ne occupi tu, vero? - Mi chiam… - Su, su, Mela cara! Pensa che non ti faccio nemmeno pagare l’affitto. E pregustando una nuova vita fatta di idiozia e sfruttamento, Mela si apprestò a cogliere le mele dai filari più lontani.
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