LA CONTINUA LOTTA.
- Capitolo 1° -
Si appoggiò ansimante alla parete di cemento. Quell’ultimo colpo aveva fatto saltare la lampadina, e ora non solo doveva vedersela con il demone, ma anche con l’oscurità. La pistola carica alzata ad altezza viso.
Se c’era una cosa che Kagome odiava erano gli angoli. E nei corridoi di quel vecchio manicomio ce ne erano fin troppi.
Prese un altro profondo respiro, prese la pistola con entrambe le mani, la strinse forte, da tremare. Contò nella mente, uno, due…tre!
Svoltò l’angolo puntando la pistola davanti a se, inginocchiandosi, pronta a scattare. Un sospiro di sollievo.
In fondo c’era ancora qualche lampada funzionante. Si guardò attorno con gli occhi cioccolato, poi si alzò, camminò rasente al muro.
Si bloccò quando sentì un rumore. O era la sua immaginazione? Avanzò di un passo, due. Di colpo si controllò le spalle, convinta di trovarci qualcosa. Il vuoto, il buio.
E poi un ringhio, la velocità delle gambe data dalla paura di morire, l’alzare la pistola e sparare dinnanzi a se.
Pensò di morire, ma quando aprì gli occhi, il corpo morto era davanti a se. Un sfottuto demone insetto.
Si sentì orgogliosa di se stessa, ma quando si ricordò che quel demone aveva ucciso più di 12 persone, le ginocchia le cedettero, e scivolò a terra, appoggiata al muro. Lasciò cadere la pistola a terra.
Non solo era ricoperta di schifo, il demone di fianco puzzava pure di vomito. Si passò una mano tra i capelli neri, cercando di non pensare.
Entrò nel locale. E tutti la guardarono. Era raro che una ragazza umana vestisse ancora colorata, e lei, sembrava un arcobaleno. Le due pistole nascoste sotto la t-shirt .
Avanzò, puntando dritto di fronte a se, al bancone.
Seduto di spalle un uomo sedeva di fronte al millesimo bicchiere.
Si fermò, dietro di lui. Non fece in tempo a girarsi, lei estrasse l’arma, la puntò alla testa dell’umano e sparò. Uno schizzo di sangue accompagnò il corpo che cadde sul bancone, portando giù una bottiglia che si infranse.
Tenne la pistola nelle dita, l’altra mano si portò alla spalla sanguinante. E si voltò per uscire, barcollando, lasciando a a sua volta una striscia scarlatta.
-assassina!-
-era solo un umano con dei figli!-
- hai distrutto una famiglia!-
ma lei si lasciò dietro le urla, perché in cuor suo sapeva che quello non era altro che uno stupratore di donne, e quindi, solo carne da macello.
Quando fu abbastanza lontana si buttò a terra, vicino alla spazzatura.
Il dolore alla spalla sempre più forte.
Sango correva, correva sulla sua moto. Il più veloce possibile. Nessuno aveva più la macchina e la strada era vuota.
Sulle spalle il suo fucile, in grado di spappolare un uomo a 10 m di distanza. Ma oggi non aveva trovato nulla, non era riuscita a scovare quel fottuto demone che le aveva ucciso il fratello. I fumi dell’alcool le davano alla testa, coperta dal casco rosso fuoco.
Prese in velocità la discesa, raggiungendo la città in pochi secondi. Scansò più persone, infilandosi in un tunnel che sapeva di morto.
Ma non le sembrò strano. Tutti uccidevano tutti, e lei in quel momento voleva solo tornare nel sotterraneo, farsi una doccia e dormire.
Non chiudeva occhio da giorni.
Era la sua vita dare la caccia. Avrebbe ucciso chi le aveva ammazzato il fratellino, e poi, solo a quel punto, sarebbe morta anche lei. Raggiungendolo. All’inferno, ma poi si ricordò di esserci già dentro.
|
|
luk55 - Voto: