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Categoria: Videogiochi
Dalla Serie: Apollo Justice
Titolo Fanfic: JUST YOUNG
Genere: Romantico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: Shounen Ai
Autore: haruhi galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 05/09/2008 02:06:22

apollo justice è un giovane e carismatico avvocato, con un potere eccezionale. Ma, prima di tutto, è un ragazzo.
 
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PRINCIPIO
- Capitolo 1° -

Capitolo 1. Principio




Il vento era troppo freddo per credere che fosse quasi Agosto.

L'erba e fiori si muovevano in maniera confusa, cercando di seguire una direzione che probabilmente non c'era.

Il piccolo era troppo impegnato a fissare la gonna della mamma, che muovendosi a quel modo creava delle sfumature di colori capaci di rapirti per ore.

In effetti lui non aveva alcuna intenzione di di distogliere lo sguardo, proprio ora che il sole rendeva tutto più lucente; sua madre si abbassò su di lui, e solo allora vide una casetta emergere dalle sua spalle e due giovani che sembravano aspettare qualcosa.

I suoi occhi fissarono un po' quei due individui, poi esitarono su quelli della madre... che erano tristissimi.

“Tesoro... Tesoro, ascoltami”, lo chiamò lei, con una voce che sembrava quella di un angelo. Ebbe il potere di ridestarlo dai suoi mille sogni ad occhi aperti. “Ti affiderò per un po' a questa famiglia... sono brave persone, hanno detto che si occuperanno di te.”.

Il bambino la guardò senza espressione, e lei sorrise, tentando di celare il dolore che la stava opprimendo. Lui sembrò capire.

“Mamma... è un addio?”.

La donna deglutì. Tentò di gettare le lacrime nell'antro oscuro da dove volevano uscire. Vinse lei, e il sorriso rimase.

“No... no... tesoro... ci rivedremo. Ci rivedremo un giorno. Non so dirti quando, ma credimi...”, cominciò, poi si interruppe, accarezzandogli la testa dolcemente, “Non è un addio!”.

Si fissarono per un po', e il vento non cessò. La fredda brezza che accarezzò la loro pelle, gelando tutte le sensazioni che li stavano opprimendo.

Il bambino annuì.

“Allora... ci vediamo presto, eh?”, sorrise lei, tentando di sdrammatizzare quel quasi certo addio. Lui tentò un sorriso.

“Sì, a presto Mamma!”, rispose, semplicemente. La donna si abbassò sulla sua testa castana e gli posò un bacio sulla fronte, che le sembrò durare un'eternità... e quando si staccò, le sembrò che fosse durato troppo poco.

Si buttò il cappuccio sulla testa, assentì in direzione della coppia poco lontana, e si voltò correndo via.

Il vento non si fermò... anzi forse aumentò... e lasciò che le lacrime di entrambi percorressero tutto il mondo.




...........







“Signor Justice...”.

Il ragazzo mugugnò qualcosa, ma non era intenzionato ad alzare gli occhi. Anzi, di tutta risposta si voltò dall'altra parte.

l'uomo che lo stava chiamando lo mosse un po' e sembrò riuscire nel suo intento.

“Signor Justice... lo sa cosa stava facendo?”.

Apollo ci mise un po' per mettere a fuoco la situazione... si guardò intorno, batté gli occhi un paio di volte e si disse: “Stanza ordinata... non è la mia camera... posto pulito... non è casa mia... il Signor Gavin di fronte a me...”, Le ultime furono come una doccia fredda che ti scivola addosso all'improvviso.

“Oh, Porc... Signor Gavin... mi creda, davvero! Non succederà più, glielo prometto!” si giustificò, inchinando troppo la schiena e sentendola scricchiolare.

Gavin lo fissò, poi sorrise mestamente: “Non sono arrabbiato Justice... più che altro mi sto preoccupando. È forse successo qualcosa? Non hai dormito abbastanza stanotte?”, inclinò la testa per guardarlo meglio. Apollo era davvero piccolo accanto a lui.

Si passò una mano sul collo, massaggiandoselo.

“Oh, no, no... semplicemente non dormo molto bene... continuo a fare lo stesso sogno ogni notte e...”, si blocco, e sembrò rivolgersi più a se stesso che a Gavin “l'ho rifatto anche ora...”. Istintivamente la mano che stava massaggiando il collo andò a giocherellare col suo braccialetto, nervosamente.

Gavin non disse nulla, si limitò a guardarlo da dietro gli occhiali da vista.

“è evidente che sei solo un po' stressato. Stanotte ti consiglio una buona camomilla!”, disse, con uno strano sorriso ombrato.

Apollo esitò per un secondo, poi annuì, richiudendosi subito dopo nel suo mondo tra le nuvole.

“Justice!”.

Si voltò di scatto, sbatacchiando gli occhi un paio di volte: “Sì, capo?”

“Va pure a casa. Stasera ho un appuntamento, e sarebbe inutile lasciarti lavorare da solo.”, rispose Gavin, posando una cartellina arancione sul tavolo laccato.

Apollo si chiese se il motivo per cui non volesse farlo lavorare da solo nello studio fosse la scarsa stima che il suo capo aveva in lui, ma le parole di Gavin annullarono quell'assurdo dubbio.

“Va pure. Stai facendo un ottimo lavoro Justice.”, sorrise il biondo, in modo assai sincero. Era il primo complimento che regalò al suo allievo dopo quasi 3 mesi che lavoravano assieme.

Apollo arrossì: “G-grazie signore!”, prese la borsa, vi inserì alcuni documenti e il suo cellulare e se la mise in spalla “A domani capo, buona cena!”.




Uscì dalla porta dello studio, pensando a ciò che doveva fare: comprare qualcosa per cena, passare dal panettiere a prendere la sua solita dose di pane, che gentilmente gli veniva messa da parte.

“Ah, la gelatina!”, esclamò ad alta voce, mentre iniziava a camminare diretto verso il supermercato.

Comprò più del dovuto, come al solito. Ma, come si diceva sempre, era inutile entrare in un supermercato e uscire solo con ciò che veramente serve.

“Buonasera signor Yagami!”, salutò entrando nella panetteria semivuota. La calda luce del tramonto rendeva quel pane ancora più invitante... e fu lì che si accorse di avere una fame tremenda.

“Oh Apollo! Oggi sei in anticipo!”, esclamò il panettiere, con una fragorosa risata cordiale. Apollo sorrise.

“Oh, sì! Sono stato congedato prima stasera... a quanto pare il mio capo ha un appuntamento galante!”, spiegò, con un tono malizioso, che ricorda quello delle vecchine che al parco spettegolano su ciò che accade nel quartiere.

Il signor Yagami si lisciò il mento, ridendo alle parole del ragazzo.

“Eri di troppo, in poche parole!”, sintetizzò, mentre Apollo sogghignava grattandosi la testa. “Allora, cosa ti do di buono stasera? Sei in anticipo, e anche fortunato. C'è rimasta molta più roba di quella che speravo di lasciarti!”.

“Hmm... È dura scegliere... signor Yagami, non mi sono mai ritrovato a scegliere del pane... è una scelta ardua.”

“Ahahah! Lo immagino bene, ragazzo mio! Allora spero per te che il tuo capo non ti mandi più via prima dal lavoro!”, rise così forte che la sua risata echeggiò anche dopo che si zittì.

“Non lo dica nemmeno per scherzo. Sono in giorni come questo che adoro fare l'avvocato!”, rispose,in preda alla disperazione. Poi tornò a guardare il vetro che lo separava dal pane. Alla fine si decise a prendere un bel filone che sembrava richiamare una bella dose di buon affettato all'interno.

“Ottima scelta! Ma d'altra parte...”

“Questo è il miglior pane della città! Sì, ormai lo so! È scritto persino fuori.”, continuò Apollo, ormai completamente assorbito dalla routine giornaliera. Ma era piacevole.

“Ahahah! Ti adotterei come figlio se non portassi i capelli a quel modo!”, rise, forte, fortissimo. E il povero Apollo arrossì cercando di nascondere il suo vistoso ciuffo dietro una mano... ma senza risultati. “Fa una buona cena, Apollo!” lo salutò l'uomo, porgendogli il pane in una busta. Il ragazzo sorrise e la prese.

“Grazie. Arrivederci Signor Yagami!”.




Quando arrivò di fronte alla porta di casa, ci mise un po' a trovare le chiavi. Alla fine, rovistando disordinatamente nella tasca più amena della sua borsa marrone, trovò le fantomatiche chiavi, grazie anche al vistoso portachiavi a forma di chitarra elettrica, un vecchio regalo di un suo compagno di stanza al college.

La porta si aprì, rivelando il buio totale. Accese la luce con un gesto abituale e si chiuse la porta alle spalle.

Come al solito il silenzio la faceva da padrone, a parte qualche automobile che passava sotto casa a tutta velocità, così Apollo decise di sedersi sul divano di casa, sospirando. Si tolse la giacca e la gettò dove capitava, ricordandosi poi che il giorno dopo gli sarebbe servita intatta e che lui era un frana a stirare; si alzò, recuperò la giacca rossa e la depose con cura su una sedia, poi si buttò letteralmente a stile libero sul divano, fissando poi il soffitto.

Mani dietro la testa, gambe incrociate; una noia mortale.

Si voltò verso il televisore di fronte a lui. Non lo accendeva mai. Non era un tipo da “serata in compagnia della tv”. Anzi, se poteva, evitava di guardarla. In fondo per le notizie del giorno c'erano i giornali, e per i gossip... non aveva mai avuto interesse per cose di questo genere.

Accese pigiando un tasto a caso... apparve una donna sulla 40ina che tentava in tutti i modi di ricevere telefonate per l'acquisto di un frullatore iper-tecnologico.

“Tutto ciò m fa venire fame!” esclamò, cambiando su un canale qualsiasi, dove trasmettevano un vecchio episodio del Samurai D'acciaio.

Si alzò dal divano e si diresse in cucina. In effetti erano quasi le otto di sera.

Prese il suo pane ancora tiepido, lo tagliò e ci infilò dentro qualche fetta di prosciutto crudo. Ne andava matto. E poi erano tutto carboidrati... o almeno era quello che gli diceva spesso il suo Personal Trainer della palestra che aveva frequentato qualche anno prima.

Addentò il suo panino, mentre prendeva dal frigo una birra fredda.

Si buttò di nuovo sul divano, abbandonandosi infine alla visione del Samurai D'acciaio.

Poggiò la testa su un cuscino, pensando un po' a quanto solo si sentisse.

Il ticchettio di un orologio gli entrò nel cervello e, malinconicamente, girò la testa richiudendosi nel cuscino, sospirando.

Uscire presto dal lavoro rendere tutto molto più solitario. Di solito tornava a casa per le 9, mangiava e si buttava sotto la doccia e infine si metteva a dormire.

Ora, anche se era tornato solo un'ora prima, sembrava che fosse rincasato 3 ore prima.

Si massaggiò la testa, poi si arruffò il ciuffo rialzato. La gelatina secca gli rimase sul palmo della mano, così si alzò e decise di buttarsi sotto la doccia.

Era davvero ora di rinchiudere tutti quei pensieri, e spegnersi.







Il mattino seguente si alzò come suo solito di buonora. Era una giornata afosa e opaca. Non prometteva nulla di buono.

Era una di quelle giornate che, malgrado tu faccia di tutto per svegliarti, si appesantiscono le palpebre più che mai, e la voglia di dormire torna alla carica.

Si alzò dal letto arruffandosi i capelli castani, che forse solo lui aveva avuto la fortuna di vedere abbassati, nella sua vita.

Scese dal letto con i piedi scalzi. La fortuna del parquet era proprio quella di non lasciare impronte fastidiose. Era soddisfatto della scelta di quell'appartamento. Era degno di un avvocato che tornava a casa solo per dormire.

Si avviò verso la cucina, dove lo attendeva il frigo e la macchina del caffè.

Girando l'angolo del salotto notò che la segreteria lampeggiava, premette il tasto di ascolto, e si voltò di nuovo verso la sua metà, sbadigliando.

“Signor Justice, si ricordi che domani c'è la riunione di condominio per parlare dei guasti dello scorso mese e dell'ascensore. E questa volta cerchi di venire. Le ricordo che anche lei vive qui! Arrivederci!”, la voce della vecchia padrona del palazzo era davvero nauseante di primo mattino. Il caffè che stava versando sembrò meno invitante di quanto non lo fosse prima.

“Certo... ma io sono un avvocato... non ho orari, a differenza delle altre persone!”, rispose Apollo, come se la vecchia strega potesse sentirlo; la segreteria proseguì, mentre borbottava: “Roba da non credere!”, versandosi del caffè e prendendo una ciambella da un sacchetto.

Si sedette al tavolo.

“Justice, sono Gavin. Passando per l'ufficio prendimi del caffè. Questa mattina non farò in tempo a fare colazione. Ieri sera mi è stato assegnato un nuovo caso... anzi, non proprio.. beh ne parleremo in ufficio. Puntuale. A più tardi!”, e il messaggio si interruppe con un familiare bip.

Apollo rimase un attimo allibito, con la tazza a mezz'aria e un pezzo di ciambella in bocca. La ingoiò, finì il caffè e si alzò e, dirigendosi verso la sua stanza per vestirsi, cancellò, pigiando velocemente un tasto, tutti i messaggi della segreteria.







Poggiò la schiena contro i muro, con il bicchiere di caffè fumante in una mano e la borsa nell'altra.

Non gli era permesso aprire l'ufficio. Non aveva le chiavi per farlo. Il signor Gavin non aveva ancora questa fiducia in lui... o forse non ci aveva affatto pensato.

Il suo capo non ci mise molto ad arrivare. Il signor Gavin aveva una posatezza che faceva invidia ad Apollo; lui, sempre di fretta, disordinato, con la mania di sbarazzarsi della giacca del completo e di rigirarsi le maniche. Vicino al signor Gavin sembrava davvero un novellino, pensò.

“Oh Justice. Come al solito puntualissimo!”, esclamò Kristoph, sorridendo, mentre si avvicinava e trovava subito la chiave nella tasca destra della sua giacca blu.

“Già!”, rispose Apollo, ridacchiando in modo poco carino, “Le ho anche portato il suo caffè! Mezzo zucchero come sempre!”.

Gavin entrò nella stanza e prese il bicchiere dalle mani del suo apprendista: “Grazie mille!”.

Si diresse subito verso la sua scrivania e vi posò alcuni documenti. Apollo nel frattempo accese tutte le luci e aprì una finestra. L'aria era irrespirabile, dopo una notte di chiuso.

“Capo, vado a prenderle l'agenda per controllare gli appuntamenti”, disse il ragazzo, indicando col pollice dietro di sé. Gavin lo guardò.

“No, oggi ho annullato ogni appuntamento.”, spiegò, mentre la faccia di Apollo si trasformava in pietra. Non disse nulla, perché c'era sicuramente un motivo.

“Justice, ieri sera è accaduto qualcosa, durante... anzi, dopo la mia cena.”, cominciò, mentre beveva a piccole sorsate il suo caffè nero. “Hanno ucciso una persona nel locale dove sono stato.”.

“COSA? Capo, non sarà mica che...”

“No, non è come credi!”, lo interruppe subito, vedendo che le sue corde vocali d'acciaio si stavano già preparando a un urlo tremendo. “Non sono stato accusato di omicidio... non io almeno. Bensì, il caro amico che mi ha invitato a cena ieri sera”.

Apollo si massaggiò il mento con una mano: “Oh, quindi non era un appuntamento galante” pensò, tra il divertito e il deluso. Poi parlò: “Scommetto che il suo amico le ha chiesto di difenderlo in tribunale, vero?”, chiese, su di giri. Gli piaceva assistere alle udienze del signor Gavin. C'era sempre tanto da imparare.

“Beh, ha chiesto aiuto allo studio legale Gavin... ma non direttamente a me.”, spiegò, rimanendo sul vago, mentre spariva sotto i suoi occhiali di cristallo. Poi alzò di nuovo lo sguardo e sorrise freddamente: “Ha chiesto di te, Justice. Vuole che sia tu a difenderlo.”.

Apollo non seppe che dire... non realizzò subito la situazione. Preso dal panico, poi, divenne un peperone. La sua faccia era un tutt'uno col suo completo rosso.

“CHE COSA? ma... come... questa persona... come sa che.... non è mai...?” balbettò, poggiando poi una mano sulla scrivania del signor Gavin. Si sentì quasi mancare... un processo? Lui? Che cosa sapeva fare, lui??

Gavin rise: “Oh ma sì che l'hai visto, avanti! È venuto qualche settimana fa a trovarmi. Vi siete anche presentati.”.

“Beh se parla di quel tipo stran... ehm.. particolare... beh io solo mi sono presentato. Lui m ha solo detto che avrei saputo il suo nome molto presto.”, spiegò con un pizzico di amarezza nella voce.

“Beh, è ora che tu sappia chi è, allora!”, rise Kristoph, poi si sistemò gli occhiali sul naso con un gesto abituale, “Quell'uomo era... Phoenix Wright... ti dice qualcosa questo nome?”

“Oh merda!”, fu il solo e unico commento di Apollo, che si pentì subito di averlo detto: “Cioè... in senso buono!” si giustificò, mentre un divertito Gavin ridacchiava.

“Avrai modo di parlare con lui domani mattina. Le prove in tuo possesso ti verranno consegnate qualche minuto prima del processo, per via dei controlli di contraffazione e potrai obiettare solo se la tua tesi sarà valorizzata da prove decisive, altrimenti riceverai delle penalità più o meno gravi. Non mi sembra difficile!”, sorrise Gavin, come se trattare un caso di omicidio fosse all'ordine del giorno, per lui.

“Beh...”, sospirò Apollo, passandosi una mano dietro al collo, “La fa facile lei... perché sono anni che fa l'avvocato... ma io mi ritrovo col mio primo caso tra le mani, per giunta un caso di omicidio. Non credo di poterci riuscire, specie se l'imputato è il grande Phoenix Wright.”

Gavin lo guardò un po', mentre una domanda gli saltava alla mente, e stette un po' a pensare se porgerla o no... optò per esporla.

“Justice... tu non hai mai creduto al fatto che il Phoenix Wright abbia falsificato delle prove, vero?”, chiese, con molta calma, poggiando un gomito sul tavolo e posando una guancia su un pugno.

Il ragazzo esitò prima di alzare lo sguardo verso il suo mentore. Infine lo guardò negli occhi.

“Come tutti ho nutrito molti sospetti su di lui... in realtà quando è accaduto avevo solo 15 anni e, a differenza di altri, non avevo ancora deciso che carriera intraprendere. Ma quando iniziai i miei studi di giurisprudenza, cominciai a studiare a fondo i casi del signor Wright. Era un grande. Trovava sempre la verità, anche quando era impossibile farla emergere.”, fece una pausa dove incrociò le braccia al petto e sospirò di nuovo, “Quando lessi vagamente del suo ultimo caso... beh, mi chiesi cosa fosse davvero successo. I giornali parlarono poco dell'accaduto, e i dettagli non erano stati pubblicati nemmeno nei dossier. Dubitai di lui... un po'. Ma poi, col tempo, dissi a me stesso che un avvocato grande come lui era scomodo e poteva essere anche ingannato... non crede anche lei, signor Gavin?”, chiese infine, sperando che condividesse quell'idea.

“Indubbiamente!”, rispose lapidario Kristoph. “Io fui l'unico a votare contro il suo allontanamento dalla professione di avvocato. Ma la maggioranza vince... ero come una formica in mezzo ai giganti, ma non potevo tradire un amico.”.

Apollo parve illuminarsi. Ora era ancora più preso dal suo capo.

“Questo... questo le fa ancora più onore Capo!”, sorrise in modo vistoso.

Gavin rise educatamente, poi si alzò, prese un dossier giallo e lo consegnò al ragazzo.

“Justice, va a casa e studia per bene il caso, devi essere prontissimo per domani!”

“DOMANI???”.




“Justice, tu...”.

“Sono tranquillissimo!”.

Gavin strabuzzò gli occhi, allibito dalla risposta affrettata del suo allievo, ma poi sorrise, ricordando il suo primo processo.

Erano arrivati da poco più di 10 minuti nella sala d'attesa del tribunale distrettuale. Apollo in un bagno di sudore, Gavin tranquillo come al solito e Phoenix Wright... beh, di lui non c'era traccia.

“Signor Gavin, non ho avuto modo di parlare col mio cliente, ancora...”, disse abbattuto, mentre giocherellava col braccialetto, sguardo basso.

“Non preoccuparti Justice, sarà qui a momenti.”.

E infatti così fu. Scortato da due poliziotti in divisa, un uomo con un viso vistosamente spesato e un buffo cappello blu in testa... Apollo stentava a credere che quello fosse proprio Phoenix Wright... ma non poté far altro che fissarlo, mentre si avvicinava.

Fine Capitolo 1.




Dedico questa Fic a Aura, All'amore mio Ale, a Ceru e a tutti i fan di Apollo Justice >< al prossimo capitolo
 
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