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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: Harry Potter
Titolo Fanfic: EVERY THING THAT YOU WANT TO DO - ANGELS WITHOUT WINGS
Genere: Sentimentale, Romantico, Comico
Rating: Per Tutte le età
Autore: kiwiross galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 22/07/2008 11:37:38

La vita a Hogwarts della nuova generazione di maghi e streghe. I figli dei nostri eroi (quelli già citati dalla Rowling) alle prese con i loro probemi
 
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A GARDEN FULL OF FLOWERS
- Capitolo 1° -

Every Thing That You Want to Do
Angels Without Wings

A Garden Full of Flowers


Shall I compare thee to a summer's day?

Thou art more lovely and more temperate:

Rough winds do shake the darling buds of May,

And summer's lease hath all too short a date:


Sometime too hot the eye of heaven shines,

And often is his gold complexion dimmed,

And every fair from fair sometime declines,

By chance, or nature's changing course untrimmed:


La scrivania era piena di fogli di pergamena sparsi qua e là, su di essi erano stati scarabocchiati alcuni incantesimi, altri, invece, riportavano importanti, almeno secondo la proprietaria, appunti collezionati durante quattro anni a Hogwarts.

L’ordine in cui erano messi, però, non era per nulla casuale. C’era, infatti, un mucchio che conteneva gli appunti del secondo anno di Trasfigurazione, quelli del primo di Pozioni, alcune ricerche e saggi di Erbologia, che potevano ancora tornare utili e così via.

L’artefice di quel lavoro era una ragazza di quindici anni. Portava i capelli raccolti in una coda mal fatta, cui erano sfuggiti alcuni ciuffi castani, che ricadevano ribelli sulla maglietta azzurra. In quel momento aveva un’aria assorta, evidentemente era molto concentrata sul suo lavoro, passava lo sguardo da una pergamena all’altra per decidere in che gruppo andava.

Continuò in questo modo per altri cinque minuti circa, prima di decidere che tutti i fogli erano stati appropriatamente smistati, a quel punto non le restava altro da fare che buttare via le cose che aveva giudicato, ormai, inutili, questo non senza qualche rimpianto. Cercò di non pesarci mentre prendeva i fogli e iniziava ad appallottolarli, per poi gettarli nel cestino. Il rumore che avevano prodotto era insopportabile.

Come pensare a quattro anni di lavoro sgretolati.

Finito questo triste rituale, guardò l’orologio: era ancora presto, pensò, solo le quattro. Sarebbe riuscita a passare da Albus, suo cugino, per aiutarlo nella relazione di Astronomia. Così si alzò dalla sedia e velocemente andò in bagno, sciolse la coda e si pettinò, osservò qualche istante il viso, quello che vedeva non le piaceva per niente: non aveva una gran bella cera, sembrava quasi malata, le lentiggini, che a volte le conferivano un’aria sbarazzina, ora le macchiavano malamente la faccia, sembrava sporca.

Sotto gli occhi, fortunatamente, non vide tracce di stanchezza, se non qualche lieve linea. Aprì il rubinetto e sciacquò la faccia nella speranza che riacquistasse un minimo di colore. Il contatto con l’acqua non era troppo gradevole. Una volta deciso che per il viso non c’era nulla da fare, passò ai capelli, troppo sporchi per i suoi gusti, ma non aveva tempo di lavarli.

Analizzò la chioma riccioluta ancora un po’, poi riprese l’elastico e li legò nuovamente.

Scese le scale fermandosi solo per vedere se suo fratello Hugo fosse in camera sua: non c’era, quindi proseguì dritta senza degnare di uno sguardo i quadri appesi alle pareti. Alcuni erano incantati, dove i personaggi si muovevano e la salutavano al suo passaggio, altri erano babbani, regali dei suoi nonni: c’erano delle stampe cubiste, alcune futuriste e due acquerelli. Lungo la scala che stava percorrendo, invece, erano appese alcune foto e dei vecchi articoli della Gazzetta del Profeta, risalenti al periodo della caduta di Voldemort.

Sapeva che se li avesse analizzati avrebbe potuto scorgere i volti ancora giovani dei suoi genitori o più probabilmente quelli di zio Harry. Chioma corvina spettinata e cicatrice a forma di saetta sulla fronte, un’immagine che nel mondo magico era l’emblema della sicurezza e della pace internazionale.

Giunti alla fine della scala il percorso proponeva una curva e da lì si accedeva a un ampio salone arredato in modo classico: due divani color avorio sistemati in modo da formare un angolo di 90°, sopra i divani dei cuscini marroni e un altro divano più piccolo contro il muro, sistemato tra due grandi porte a vetri da cui si accedeva a un terrazzo. Il pavimento in marmo, di una sfumatura fra l’oro e il crema, era parzialmente coperto da un tappeto, sopra il quale vi era un tavolino basso in legno di faggio, dove i suoi genitori erano soliti appoggiare il tè e i vassoi con biscotti e pasticcini, che preparavano quando ricevevano ospiti.

Più in là, invece, c’erano altre due poltrone separate da un tavolino; di fronte a esse, in una rientranza del muro, una piccola credenza con sopra un candeliere e alcune fotografie. Poi ancora tavolini, fiori, lampade e una piccola palma, che era stata regalata a suo padre per il suo trentesimo compleanno da Neville Paciock, il professore di Erbologia alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

Seduta su uno di quei bellissimi divani di raso c’era sua madre, Hermione Granger, che leggeva il Settimanale delle Streghe.

“Mamma?” Disse impulsivamente Rose avvicinandosi.

La donna sobbalzò e chiuse la rivista. “Cos’è successo?”

“No niente, tranquilla. E’ che ora che ho finito di riordinare i miei appunti, pensavo di andare da Albus, per aiutarlo con la relazione di Astronomia.”

Hermione sorrise, consapevole che l’ultima cosa che avrebbero fatto quei due sarebbe stata proprio la relazione di Astronomia. “Certo vai pure, ma cerca di essere a casa per cena e vedi se tuo fratello vuole venire.”

Lei si guardò intorno, per nulla infastidita dalla richiesta. “Sì ci avevo pensato, ma in camera sua non c’era.”

“Sono qui, aspettami Rosie. Volevo passare anch’io da zio Harry.” La voce arrivò dalla cucina, da dove uscì un ragazzino di tredici anni, che mangiucchiava una mela. Aveva i capelli di un rosso acceso, ereditati dal padre Ron come gli occhi.

Rose, che invece, era la copia della madre, eccezion fatta per le lentiggini, alzò gli occhi al cielo “Ma stai sempre a mangiare tu?”

“Cosa vuoi? Devo crescere.” Fu la pronta risposta del ragazzo.

Hermione sorrise ancora alla vista dei figli, la prova più tangibile e preziosa di come la sua vita fosse cambiata in meglio dopo la caduta di Voldemort. Ricordava ancora i momenti di terrore vissuti alla ricerca degli Horcrux e, soprattutto, il dolore provato quando Ron se n’era andato. Cercò di scacciare via quel pensiero, a questo punto, era solo un ricordo lontano anche se tuttora vivo e pulsante. Faceva ancora male ripesare a quegli attimi.

‘Resti o cosa?’, così le aveva detto, freddo e lapidario, ma non era lui, non era Ron. Lei non se l’era sentita di lasciare Harry. Era la decisione più logica ed era anche la più giusta, lo sapeva. ‘Capito. Scegli lui.’ Aveva detto e con quelle parole se n’era andato. Inghiottito dalla notte e dalla pioggia scosciante, lo aveva pregato, ma non ci fu nulla da fare.

Quel ricordo fu come uno stimolo, sapeva che non avrebbe dovuto. Perse cognizione con la realtà e vagò nei frangenti della sua mente in cerca, contro ogni logica, di altri episodi dolorosi; mentre Hugo e Rose continuavano a esistere fuori dalla sua testa e parlavano di tutt’altro.

“Su andiamo ingordo!” Esclamò Rose passandogli affettuosamente una mano tra i capelli rossi spettinandoli.

“State attenti per strada ragazzi.” La pronta raccomandazione della madre, tornata alla realtà, che li guardava attraversare la stanza.

Hugo sbuffò “Mamma dai! Andiamo da zio Harry, mica in capo al mondo.”

“No Hugo, la mamma ha ragione.” Intervenne Rose “Con la testa che ti ritrovi saresti capace di inciampare in una foglia o chissà cos’altro.”

Il ragazzino incrociò le braccia “Ah, ah, ah. Ha parlato quella il cui sedere passa più tempo a terra dei piedi.”

“Come ti permetti?” Fece Rose indignata.

“Ragazzi!” Ancora una volta il richiamo della madre.

“Scusa mamma.” La risposta data contemporaneamente dai fratelli.

Hermione li guardò scuotendo il capo “Ah certe cose non cambieranno mai.” Si disse sottovoce. “Adesso andate, se volete essere a casa a un’ora decente per la cena e salutatemi tutti.”

“Ok!” Rispose Hugo allegro. “Ciao mamma.” Aggiunse, poi, insieme a Rose.

“Ciao ragazzi.” E detto questo Hermione riprese a leggere il Settimanale delle Streghe, senza far riaffiorare i ricordi che l’avevano invasa poco prima.

I ragazzi attraversarono il salotto e sbucarono in ingresso, una stanza mediamente grande. Il pavimento dello stesso marmo della sala, una credenza più grande su cui erano appoggiate altre fotografie, tra cui una, che piaceva particolarmente a Rose, raffigurante una famiglia Weasley di quasi trent’anni prima: era una foto scattata in Egitto, sullo sfondo le grandi piramidi di Giza, in primo piano c’era nonna Molly che abbracciava zia Ginny, alla loro destra suo padre Ron, a sinistra zio Percy, più indietro, quasi nascosti, spiccavano i volti sorridenti di nonno Arthur, zio Charlie e zio Bill. Era così strano vederlo senza cicatrici sul volto, quando Rose era piccola e pensava alla sua disavventura le veniva da piangere, immaginava cosa avrebbe fatto lei, se le fosse capitata una cosa simile, ma lui non voleva che fosse triste. Una volta, le aveva detto cosa provava, che pensava fosse un eroe per quello che gli era successo e per come aveva portato avanti la sua vita, lui aveva riso, spiegandole che gli eroi erano stati altri: zio Fred, ad esempio, che sorrideva come zio George, uno a un lato uno all’altro della foto.

Ora si sentiva in colpa per aver pensato esclusivamente all’infortunio di zio Bill. Zio George, e lo sapeva bene, aveva perso un orecchio durante la guerra, anche se non lo aveva mai visto “sfigurato”, questo perché ora portava sempre una protesi babbana, che gli era stata procurata da sua madre poco dopo la nascita di Victorie, la figlia di Bill. I suoi zii avevano, infatti, deciso che era meglio non turbare la bambina, che aveva già un padre sfregiato, così quando zio George andava a casa del fratello o quando venivano loro da lui insieme alla nipote metteva sempre quella protesi, che aveva iniziato ad usare praticamente sempre dalla nascita del suo primo figlio: Fred.

Persa in questi ricordi, come lo era stata Hermione prima, Rose si avvicinò alla foto e la prese in mano, osservando meglio quei sorrisi.

Fu la voce di Hugo a portarla alla realtà. “Rosie hai sentito la mamma? Dobbiamo essere a casa per cena.”

“Si scusa.” Disse lei scuotendosi. “Ero sovrappensiero.”

“Dai andiamo.” Fece Hugo sorridendole.

La strada per arrivare a casa Potter non era per niente lunga, poco più di cinque minuti. Era piacevole camminare su quel marciapiede, pensò Hugo, la cosa più normale del mondo: andare a casa Potter, fermarsi lì a cena, tornare a casa, mandare gufi, affacciarsi alla finestra della cucina per vedere se Albus, James o Lily stessero arrivando, salutarli mentre tornavano a casa e tutta una serie di azioni che gli trasmettevano un senso di stabilità e serenità, tali da rendergli inimmaginabile l’idea di una guerra. Anzi, di quella guerra. Impossibile.

“E tu hai finito i compiti?” Chiese maliziosa Rose.

Lui la fulminò. “Guarda lascia perdere…”

“Ti manca tanto?”

Hugo alzò lo sguardo. “Tranquilla crocerossina, devo solo scrivere una relazione di Pozioni… Solo che non so proprio da dove cominciare.”

“Su cos’è la relazione?”

“Sulla Soluzione Dilatante.”

Rose rise. “E cosa c’è di così difficile? Non dovrebbe essere niente di che per uno che sa cos’è la Croce Rossa.”

“Hey!” Esclamò Hugo spintonandola. “Ci vado anch’io da nonna Eveline e nonno John qualche volta.”

“Sarà…” Borbottò lei alzando le spalle.

“Comunque tornando alla pozione…” Riprese Hugo a bassa voce.

Rose lo guardò stranita. “Cosa vuoi che ti dica? Parla un po’ della sua creazione, degli usi che ha trovato, magari, fai qualche citazione riguardo Storia della Magia, ad esempio quando Rufus Rockerchester la usò durante la Seconda Guerra dei Goblin oppure…”

Hugo la interruppe con un gesto della mano. “Ecco visto che sei così informata perché non…”

“Cosa?” Lo incitò lei.

“Bhe… Hai capito, no?” Continuò il giovane speranzoso.

Rose, però, continuava a non capire. “Che…” Poi riuscì a sistemare le idee. “No, Hugo non se ne parla!”

“Lo sapevo…” Sibilò sconfitto, cercando di sensibilizzare la sorella.

“No, no e no. Se vuoi, posso aiutarti, ma non esiste che ti faccia la relazione!” La sua voce era inflessibile e il suo sguardo non ammetteva repliche, tuttavia, Hugo fece un ultimo tentativo.

“Rose…” Gli occhi imploranti. “…ti supplico, tu sei un genio. Riusciresti a scrivere cinque fogli di pergamena su una pozione così insulsa ed io te ne chiedo solo uno…”

Lei scosse la testa. “Appunto, cerca di essere almeno per un quinto bravo quanto me.”

“Vuol dire no?”

“Direi proprio di sì.”

“E non c’è niente che io possa fare per farti cambiare idea?” Sembrava ancora speranzoso.

“No.”

“Ti odio.”

Rose alzò gli occhi al cielo. “Grazie, ma adesso fermati siamo arrivati.”

Ed era proprio vero, davanti a loro si ergeva casa Potter, in tutto il suo splendore. Non c’erano cancelli a separarla dal resto del mondo, solo un piccolo giardino, che continua sul retro andando a incorniciare un grazioso gazebo bianco, dove erano stati invitati spesso a mangiare durante l’estate.

L’erba era perfetta, rigogliosa e allo stesso tempo delicata. Non dava l’idea di uno di quei giardini statici e distanti.

A collegare il marciapiede con la porta di casa, elegantemente incastonata su una facciata color panna, un sentiero rusticamente piastrellato, in autunno ricoperto, stando ai loro ricordi antecedenti l’ammissione a Hogwarts, dalle foglie di una grande magnolia alla destra della casa.

Venne al aprire la porta una donna sulla quarantina dagli scintillanti capelli rosso fuoco, che li accolse con un sorriso benevolo.

“Entrate pure cari, James e Albus sono sul retro e credo ci sia anche Lily.”

“Grazie zia Ginny.”



*****



L’aria era acre e pesante quella sera a Diagon Alley. Il caldo si faceva ancora sentire, nonostante l’ora tarda, accentuato dell’elevata umidità. All’interno di uno dei tanti negozi, tre persone discutevano mentre svogliatamente uno di loro segnava alcune croci su una pergamena. Si stavano preparando all’assalto che sarebbe stato messo in atto fra poche settimane dai giovani studenti in partenza per Hogwarts, scapestrati e desiderosi di fare scorta di scherzi.

“Scusa quante puffole?!” Saltò su uno all’improvviso.

“Dai Ron hai sentito benissimo.” A parlare era stato George Weasley, il gemello sopravissuto, per così dire.

Un Ron, ormai, quarantenne si issò in piedi continuando a fissare il fratello. Le sopracciglia eccessivamente sollevate, per sottolineare l’incredulità. “Sì George è logico che ho capito cos’hai detto, mi stavo solo chiedendo se tu non stessi esagerando con le puffole…”

George sorrise con l’aria di chi la sa lunga. “Ah, ne è passato di tempo da quando lavoravi insieme a me. Comunque, tanto per informarti delle ultime novità: le puffole sono l’oggetto più richiesto degli ultimi anni.”

“Sul serio?” Dire che Ron era impressionato era dire poco, tanto che cercò Verity la commessa, che, ormai, lavorava ai Tiri Vispi Weasley da più di una ventina d’anni, con lo sguardo per avere una conferma. Lei si limitò ad annuire e Ron non poté far altro che desistere.

“Come volete allora.” Si arrese lui, segnando ciò che era stato detto poco prima sulla pergamena.

“Quindi, puffole, fatto.” Riassunse Verity spostandosi sinuosa tra gli scaffali del negozio. “Mancano…?”

“Mou Mollelingua e Caccabomba, mi sembra. Giusto Ron?” Domandò George sbirciando, da dietro la spalla del fratello, la lista che teneva in mano.

Lui controllò velocemente. “Giusto.”

“Allora…” George chiuse gli occhi premendosi le mani sulle tempie “…la Caccabomba credo che sia quasi finita, quindi, dovremmo darci da fare e farne un bel po’. Cos’aveva detto che si usava nel mondo babbano, Hermione? Prugne secche, mi sembra…”

“George!” Lo apostrofò Verity, tra le risate di Ron.

“Che c’è?” Chiese lui innocente.

Ron congiunse le mani e iniziò ad agitarle. “Se ti sentisse Angelina.”

Lui gli tirò uno scappellotto sulla nuca. “Hey hai riso anche tu… E poi non sono io quello che si è scolato una scatola di Ruttokola perché pensava che la ricetta fosse da perfezionare…”

Verity si passò una mano sulla faccia tra l’avvilito e il disgustato. “Grazie George quel particolare l’avevo rimosso.”

“E’ successo tanti anni fa…” Cercò di giustificarsi Ron.

George dopo essersi trattenuto era definitivamente scoppiato in fragorose risate. “Merlino che macello quella volta! Poi è arrivata Hermione…! Ti ricordi Viv?”

Anche la ragazza a questo punto stava, senza successo, cercando di trattenersi.

“No Hermione, cara, è solo singhiozzo!” Fece George imitando il fratello, più rosso che mai.

“Ora mi ricordo perché ho smesso di lavorare qui…” Sibilò Ron scuotendo il capo, le orecchie roventi. Nonostante l’età era sempre il solito Ron, come diceva Hermione.

Verity nel frattempo era tornata seria, mentre George cercava ancora di riprendersi.

“Comunque ci sei mancato, Ron.” Nella voce della donna c’era una nostalgica malinconia, che non poté far altro che intristire il rosso ricordandogli molti degli episodi accaduti quando lavorava ai Tiri Vispi Weasley.

“Già Viv ha ragione.” Puntualizzò George. “Non vorrai mica dirmi che gli Auror sono meglio di noi?”

“In effetti, ci si diverte meno.” Eppure era quella la sua vera vocazione, per quanto venisse da una famiglia semplice e senza pretese e per quanto la sua indole fosse stata per molto tempo in linea con essa, simpatica e burlona, la guerra lo aveva cambiato. Come aveva cambiato tutti.

“Immagino, ma credo anche che Hermione non avrebbe retto ancora molto…” Disse George, il pensiero all’episodio della Ruttokola.

Ron scosse la testa. “No, scherzi? Era quella che si divertiva di più!”

“Immagino, mi basta guardare Angelina!” Esclamò George incrociando gli occhi.

Seguirono attimi di silenzio durante i quali i tre erano assorti nei loro pensieri, a rompere quella momentanea calma fu Verity.

“Bhe al lavoro adesso. Avevamo detto Caccabomba e Mollelingua, allora lì c’è ne sono alcune, poi dovremmo averne anche un po’ in magazzino. Vado a controllare, torno subito.”

Ron le si parò davanti “No dai Viv, vai a casa, qui finiamo io e George.”

“Ma no, dai.” Insistette lei, ma era arrivato anche George a dare man forte al fratello.

“Per una volta ha ragione Ron, Viv. Ti abbiamo fatto perdere fin troppo tempo.”

“Scherzi?” Fece lei. “Io qui ci lavoro, piuttosto, Ron tu hai perso tempo, eri passato a trovarci e ti abbiamo schiavizzato.”

Lui agitò una mano “Figurati, è sempre un piacere ritornare alle origini, ora vai.”

Viv si rivolse un’ultima volta a George, che annuiva inflessibile.

“Come volete.” Si rassegnò infine. “Ciao George, ci vediamo domani. Ron, alla prossima.”

Ron sorrise. “Potrebbe essere prima di quanto tu possa immaginare… Non c’è molto lavoro al Ministero in questo periodo.” Spiegò.

George sospirò. “Hai scelto il momento sbagliato per diventare Auror, fratellino.” Disse mentre Verity si allontanava ridendo.

“Ciao ragazzi!”

George aspettò che fosse uscita per parlare. “Hai sentito? Ragazzi…”

“Si diverte proprio a prenderci per il culo…” Constatò Ron con lo sguardo lontano e nostalgico di poco prima.

George rise. “Eh, cosa vuoi? E’ fatta così. Ora, però, muoviamoci, se torno a casa tardi un’altra volta, Angelina mi uccide.”

Una manciata di minuti dopo avevano finito l’inventario: le cose che mancavano, in che dose andavano preparate e gli ingredienti da ordinare. Ron era tentato di passare anche il giorno dopo; come aveva detto a Verity, era sempre un piacere e non solo perché ricordava i vecchi tempi. Era semplicemente rilassante, era la parola più giusta, pensò, occupare così il tempo libero.

Erano, ormai, pronti per chiudere il negozio e smaterializzarsi nelle rispettive case, quando un ragazzo e una ragazza dagli scintillanti capelli rossi fecero irruzione nell’edificio.

“Ecco ci siamo…” Mormorò George afflitto riconoscendo le voci e i toni di quelli che sicuramente non erano potenziali clienti. Ron gli batté affettuosamente una mano sulla spalla.

“Ed io che pensavo di averla scampata per oggi.” A questo punto si stava premendo con forza le mani sulle tempie, muovendole lentamente in modo da formare un cerchio.

“Su, fatti coraggio.” Lo incitò scherzosamente il fratello.

Lui sospirò. “Andiamo in scena.”

E con ciò si diresse verso i due che stavano litigando furiosamente, come attestavano le occhiatacce che si lanciavano, ma soprattutto le spinte e gli insulti, che condivano quel bel quadretto famigliare.

“Fred, Roxy, smettetela subito!” Esclamò George pronunciando la frase senza eccessiva enfasi. La cosa faceva presupporre che, ormai, fosse abituato alle liti dei figli.

“Scusa papà, ma se questo continua a fare il coglione!” Saltò su Roxanne Weasley, la figlia minore di George e Angelina, dai tipici capelli rossi e occhi azzurri, meglio conosciuta per il suo carattere peperino e le sue uscite poco femminili.

Il ragazzo, di anno più grande della sorella, era Fred, Anche lui Weasley al 100% e con lo stesso carattere tosto della sorella, anzi, forse, dicevano alcuni, era leggermente più controllato.

“Ma l’hai sentita?!” Sbraitò lui. “Stronza!” Gridò spintonandola.

Roxanne alzò un braccio minacciosa. “Non ti permettere, sai!”

“Se no, cosa mi fai, nana?” Chiese provocatorio avvicinandosi a lei, ben consapevole che così facendo si sarebbe resa evidente ancor di più la differenza d’altezza tra i due.

La ragazza, tuttavia, non si fece intimorire e gli diede una spinta sul petto. “Oh, non ci tieni a saperlo…”

“Adesso basta!” Urlò George tra le risate di Ron, ormai, abituato, quasi quanto il padre, alle liti tra i nipoti. “Siete incorreggibili! Ogni giorno vi date addosso, cazzo!”

“Se ti sentisse la mamma…” Borbottò Roxanne.

Il padre la fulminò. “Meglio che senta me piuttosto che te, signorina.”

Fred sogghignò. “Signorina, se così la si può chiamare…”

“Si può sapere che problemi hai?!” Riprese lei minacciosa.

George sembrava sull’orlo di una crisi isterica, Ron, invece, si godeva lo spettacolo seduto sul bancone.

“Ti diverti?” Domandò George rivolgendosi al fratello.

Lui annuì come un bambino. “E’ sempre un piacere vedere come gestisci i tuoi figli.” Disse facendosi mandare mentalmente a quel paese dal George.

“E voi due basta una volta per tutte!” Esclamò rivolgendosi nuovamente hai figli. “Allora fra poco parleremo del vostro comportamento, ora salutate zio Ron.” Ordinò, cercando di essere il più lapidario possibile.

Il quarto Weasley si sporse un po’ dal bancone per farsi vedere dai nipoti.

“Ciao zio Ron.” Dissero in coro questi ultimi, mentre lui si limitò ad agitare una mano.

George parve soddisfatto, poi riprese a guardare minaccioso i ragazzi. “Bene, ora che abbiamo sbrigato i convenevoli, possiamo procedere, perché siete venuti qui?”

“Volevamo parlarti.” Si affrettò a rispondere Fred.

“Bene sono felice che siate venuti per questo e non per distruggermi il negozio, ma ora potresti lasciare che sia tua sorella a iniziare?” Nella sua voce c’era un pizzico d’ironia, tanto per drammatizzare, che fece sorridere Ron.

Fred si finse sbigottito. “Perché proprio lei?”

Intanto Roxanne era di fianco a lui e gli faceva il verso.

“Perché l’ultima volta hai iniziato tu. Rammenti? Era quando litigavate per decidere chi dei due meritasse una scopa nuova.” Spiegò paziente George, volgendo lo sguardo verso sua figlia.

“Ok, allora…” Iniziò Roxanne con enfasi soppesando ogni parola “…come tu ben saprai fra poco ricomincerà la scuola…”

“Che tanto per la cronaca dovrete frequentare.” Puntualizzò George guardando Fred.

“Tu, però, l’hai lasciata senza problemi…” Mormorò il ragazzo.

Il padre lo fissò lapidario. “Senti ragazzino: punto uno, senza problemi mi sembra un po’ azzardato, devo forse ricordarti che mia madre è Molly Weasley? Diglielo Ron!”

Come al solito lui preferiva non entrare troppo in faccende famigliari, quindi, si limitò ad annuire rassegnato come aveva già fatto in precedenza. George parve contento e continuò.

“Secondo quando io e mio fratello abbiamo lasciato la scuola, eravamo al settimo anno, tu devi iniziare il sesto, e l’abbiamo fatto perché era diventato invivibile e anche questo puoi chiederlo a zio Ron. E terzo,” Quest’ultima la disse velocemente, quasi fosse senza fiato. “I tuoi nonni avevano altri cinque figli che potevano compensare le nostre mancanze.” A quest’affermazione Ron si lasciò sfuggire un mugolio molto simile a una risata.

“Sì, sì hai perfettamente ragione.” Disse Roxanne fulminando il fratello per essere entrato in un argomento così delicato e probabilmente aver fatto innervosire il padre ancor più di quanto già non fosse. “Tuttavia, non è di questo che volevamo parlarti…”

Silenzio.

“Su parla, tanto peggio di così…” La esortò George, le mani erano tornate sulle tempie doloranti.

Lei inspirò profondamente “…dicevo, che per queste ultime settimane di vacanza, ci piacerebbe invitare qualche nostro compagno a casa, per poter così…”

“Va bene, va bene.” La interruppe George. “Ho capito il succo, quello che non capisco è come mai me lo stavate litigando per questo…” Aggiunse sospettoso. “Avete sempre invitato un amico per la fine delle vacanze.”

“Ecco.” Fu tutto quello che Roxanne riuscì a dire.

Fred alzò un braccio. “Posso parlare?”

“Sì.” La secca risposta del padre, che iniziava a immaginarsi le situazioni più assurde.

“Come tu ben saprai…”

George interruppe anche lui. “Non abbiamo molta fantasia in famiglia, eh?”

Fred e Roxanne sorrisero un po’ tirati, quasi sentissero che fosse un obbligo, prima che lui riprendesse. “…dicevo, come tu ben saprai la nostra è una grande famiglia…”

“Devo sentirmi chiamato in causa?” Chiese Ron scendendo dal bancone, Roxanne fece cenno di sì con la testa.

“…una grande famiglia, con molti ragazzi giovani, che sono molto… amici tra di loro e hanno molti amici in comune… e… bhe… diciamo formano un gruppo di amici con cugini e amici amici… cioè non imparentati… quindi… cioè… cosa ci sarebbe di meglio che avere qui, oltre agli amici cugini… anche gli amici amici, che avevamo detto erano quelli non cugini, cioè non imparentati, anche perché…. Tipo non serve essere proprio imparentati in questa famiglia per essere amici imparentati. Ad esempio, io e James siamo molto amici di Ted, che rientrerebbe, secondo ogni logica, nella categoria degli amici amici, però, fa parte della categoria amici imparentati… Mi state seguendo?”

George e Ron guardavano il ragazzo, rispettivamente figlio e nipote, a bocca aperta, mentre Roxanne si passava una mano sulla faccia.

“Ok.” Disse George a un certo punto. “Hai avuto la tua occasione.” E volse, nuovamente la sua attenzione alla ragazza. “Roxanne, vediamo se sai fare di meglio.”

“Bhe… senti… quello che, penso, Fred volesse dire, che poi non lo penso perché so cosa ti voleva dire…”

“Sì, dai cara vai al sodo, salta queste cerimonie. Come io ben saprò, ho capito, poi?” Intervenne il padre della ragazza per far smettere questo delirante balbettio.

Roxanne si sforzò di ridere. “Ok, in poche parole: tra tutti i cugini, che sarebbero quelli che Fred chiamava intelligentemente, per carità, amici parenti.” E con questo si meritò una gomitata da parte del fratello.

“Vaffanculo.” Fu tutto quello che disse Roxanne senza scomporsi: al che Ron scoppiò a ridere, nello stesso momento in cui George stringeva le mani come a formare degli artigli, la bocca piegata in una smorfia, le nocche bianche. “Dicevo, tra tutti i cugini si pensava di riuscire a unire il gruppo di ragazzi con cui siamo consoni trascorrere il nostro tempo a scuola.”

Ancora silenzio, poi Fred parlò. “Tranquillo papà quella parola difficile gliel’ha suggerita Rose.”

L’uomo sorrise e Roxanne tirò l’ennesimo scappellotto al fratello, mentre Ron pensava qualcosa del tipo, ‘No, non la mia Rosie…’.

“Dai ragazzi non ricominciate.” Li apostrofò George sbrigativo. “Invece spiegatemi in termini di chi io e mamma dovremmo accogliere in casa.” I giovani si scambiarono uno sguardo eloquente, il padre non ci badò e riprese impaziente. “Le vostre richieste conclusive?”

“Il problema, papi, non è chi, ma quanti.” Iniziò a spiegare Roxanne. “Io vorrei invitare due persone, ma anche Fred vorrebbe invitare due persone e, ovviamente, tu e mamma non ospitereste mai quattro persone e questo è anche il motivo per cui litigavamo. Perché ti spiego se questo idiota…”

“…che ho contribuito a generare…” Aggiunse George, tra il divertito e il terrorizzato da quello strano discorso.

“Esatto…” rise la figlia. “Invitasse qui solo Rick, come ha sempre fatto poi, sarebbe tutto a posto, tanto più che da zio Harry e zia Ginny ci saranno già altri tre ragazzi, oltre hai loro figli, e non mi sembra proprio il caso di caricarli di altre responsabilità…”

“No allora, papà, ascolta me.” Disse Fred prendendo da parte il genitore, che iniziava a chiedersi cosa centrassero sua sorella e suo marito. “Proprio, perché casa Potter sarà sovraffollata, mi sembra giusto che James inviti una sola persona e non due.”

Roxanne li raggiunse sotto lo sguardo, non più divertito di Ron, che cercava di capire che ruolo avrebbero avuto i suoi figli in quella storia.

“Appunto Fred!” Esclamò Roxanne. “Che bisogno avete di invitare tre persone? Non potete tenervi Rick, come avete sempre fatto?”

Il ragazzo parlò esasperato, era evidente che avevano affrontato il problema molte altre volte. “Rox, cazzo, voi invitate un esercito! E noi non possiamo invitare tre persone?!”

“Ma noi siamo anche in quattro, Freddy, forse.”

“Adesso tacete tutti e due!” Ordinò nuovamente George. “Roxy, tra te e il tuo gruppo di amici parenti, che…”

“…immagino si chiamino Rose, Albus e Molly…” Sibilò Ron, talmente piano che nessuno riuscì a sentirlo.

“...amici amici vorreste invitare?”

Lei tacque. Fred rise isterico. “Diglielo.”

“Allora dovremmo essere in…” Iniziò contando sottovoce sulle dita.

“No, no.” Puntualizzò il padre. “Voglio nomi e cognomi.”

“Meglio solo nomi papo, se no non finiamo più.” Disse Fred sarcastico.

Roxanne lo fulminò, ma si limitò a quello.

George sbuffò “E solo nomi siano, forza adesso.”

“Va bene, tanto li conoscete già.”

Interessante uso della forma verbale, pensò Ron, inorridendo.

“Allora sono: Hanna, Adrian, Cleo, Josh, Tom e Tiffany.” Disse a memoria Roxanne.

Ron alzò gli occhi al cielo, ma George restò inflessibile e si rivolse al figlio. “E i tuoi?”

“Sì, allora…” Balbettò lui mentre le guance si coloravano di rosso, lasciando basito il padre.

“Merlino è arrossito! Il grande macho è andato a farsi friggere! Siamo rovinati!” Scherzò George. “Rox puoi spiegarmi questa cosa.”

“Con piacere.” Disse lei, mentre Fred prendeva la stessa posizione di uno che sta per udire un rumore terribile. “Intanto, Rick, che come hai capito andrebbe a stare di James, poi Florrie e Penelope, che verrebbero gentilmente accolte in casa nostra.”

L’urlo, o qualsiasi altra cosa si fosse aspettato Fred non ci fu, l’unica cosa che fece suo padre fu emettere un lungo fischio.

“Beato in mezzo alle donne il mio ometto.” Rise, infine, osservando la carnagione del figlio tornare alla normalità.

Lui provò a difendersi. “Dai papà, sono solo amiche!”

Lo sguardo dell’uomo diventò improvvisamente duro. “Fred non lo dire neanche per scherzo! Lo sai quante solo amiche ho avuto?!”

Roxanne mise su uno sguardo da finta innocente. “Bhe, però, è vero papà, una di loro gioca anche nella squadra di Quidditch…”

Fred la fulminò.

“Dai? Come la mamma?” Chiese sarcastico George. “Bhe, in fondo, zia Hermione era amica di zio Ron e anche zio Harry e zia Ginny erano buoni amici. Anche lei poi ha giocato nella squadra di Quidditch.”

“Ma zia Hermione no…” Provò Fred per smuovere il padre.

George rise di gusto. “Sì, ma loro erano migliori amici, quindi, non serviva che fosse anche lei nella squadra di Quidditch. Bhe, poi mi sono dimenticato di Fleur e Bill, anche loro che grandi amiconi!”

“Va bhe, ma si sono sposati, non è successo niente di sgradevole.” Ritentò il ragazzo.

“Sì e cosa mi diventi con due amiche? Poligamo?” Fred si zittì definitivamente e George si crogiolò un attimo in quel silenzio, poi riprese. “Comunque sappi, che per me non ci sarebbero problemi.” Disse mettendogli una mano sulla spalla. “Ma credo che non si possa dire lo stesso della mamma.”

Fred accennò un sorriso. “Lo so.”

“E poi dovrei sentire anche i vostri zii prima di decidere.” Aggiunse George, voltandosi verso Ron, che era quasi stato dimenticato. “Che ne dici?”

Lui scrollò le spalle. “Ho capito.” Mormorò. Poi ad alta voce. “A casa mia, venerdì alle sette.”

Non vedo l’ora di dirlo a Hermione.



*****



La cucina era satura di un misto di profumi deliziosi. L’odore dei pomodori ripieni veniva dal forno, sopra di esso, sui fornelli, c’era una pentola dalla quale spiccava un mestolo che girava ininterrottamente il suo contenuto. Sul bancone al centro della stanza un coltello stava affettando alcune carote e del prezzemolo, prima di sollevarsi insieme all’asse di legno e versare il contenuto nella pentola.

Una donna dai lunghi capelli color miele “dirigeva i lavori”, osservando soddisfatta le sue creazioni.

Direi che può andare, pensò assaggiando la zuppa che bolliva sul fuoco, mentre il forno si apriva e ne uscivano i pomodori.

“Molly! Lucy! La cena è pronta!” Urlò la donna togliendosi il grembiule a fiori, poi si diresse verso la sala da pranzo osservando la scodella della zuppa e il vassoio con i pomodori che percorrevano la strada insieme a lei.

Dalla scala, intanto, stava scendendo una ragazza, Lucy, ormai sembra quasi scontato dirlo, dai lucenti capelli arancio, che andava a raggiungere la sorella Molly, di un anno più grande di lei, già seduta al suo posto. Entrambe avevano la faccia pulita, senza l’ombra di lentiggini e la carnagione chiarissima ereditata dalla madre, che metteva in risalto gli occhi rispettivamente azzurri e verdi, anche questi ultimi, gentilmente concessi, dal corredo genetico materno.

La più grande si lisciò la frangia. “Non è ancora arrivato papà?”

“No.” Rispose la madre senza scomporsi e, come se le avesse sentite, Percival Weasley fece il suo ingresso in casa diregendosi spedito verso la sua sedia e abbandonandosi a essa.

“Hey papà tutto bene?” Chiese Lucy.

Lui alzò lo sguardo. “Sì, sì scusate.” Disse l’uomo dando un bacio alla moglie e poi alle figlie, era inusuale che si dimenticasse quel rituale, ma non era sicuramente la prima volta e accadeva.

“Giornata stancante, eh?” Osservò la donna mentre il marito tornava a sedersi.

Percy sbuffò versandosi due mestoli di zuppa. “Non ne parliamo, è stata fatta una proposta che vietasse l’introduzione a Hogwarts da parte degli studenti di ogni tipo di animale…” Spiegò stanco, anche se, s’intuiva dal suo tono di voce, era stanco di parlarne.

“No, povero Mr. Ed!” Esclamò Molly pensando al suo amato gatto, dal folto manto nero e gli occhi dorati.

Lui alzò le spalle. “Tranquilla cara, non sarà mai approvata.”

“Speriamo.” Intervenne Audrey, la giovane moglie di Percy. “Non ho mai sentito una simile stupidaggine!”

“Lo so.” Le disse il marito. “Certe persone non capiscono lo spirito della scuola: prima dicono che è troppo severa come istituzione, poi propongono certi provvedimenti… Pazienza, tanto non spetta a loro decidere.”

La donna prese un pezzo di pane e lo immerse nella zuppa. “E’ vero.”

“Ma papà…” Lo chiamò Molly appoggiando il cucchiaio sull’orlo della scodella. “…non pensi che il Preside Vitious potrebbe…?”

Percy alzò le sopracciglia. “No Molly, figurati… E poi fossero questi i problemi…”

“E quali sarebbero i problemi?” Domandò provocatoria Lucy, che fino a quel momento era restata in silenzio. Parlò non tanto perché le interessasse ciò che aveva chiesto, ma perché cercava una scusa per parlare.

Il padre la guardò severo. “Ad esempio le ragazze che non s’impegnano…”

Audrey gli rivolse un’occhiataccia, ma non parlò. Se avesse dovuto riprendere il marito ogni volta che era eccessivamente severo con le figlie, non avrebbero fatto altro che discutere e non era necessario, Percy era un buon padre, pretendeva solo più disciplina di qualsiasi altro genitore.

“Papà ho la media della O!” Esclamò lei sulla difensiva.

Come se te ne importasse qualcosa. Eh papà?

Percy la guardò duro. “Appunto nulla di Eccezionale…” Poi si rivolse a Molly, speranzoso di trovar maggior soddisfazione nella figlia più grande. “E tu cara? Alla fine hai deciso cosa fare per i GUFO?”

Lei guardò il padre, terrorizzata. “Sì… cioè… Pensavo di continuare solo con Babbanologia e Cura delle Creature Magiche.” Fece una pausa per capire come avesse preso la notizia, la sua espressione era indecifrabile. “Che ne pensi?” Aggiunse.

Silenzio, ma infine, Percy sorrise. “Penso che tu abbia fatto la scelta giusta. E’ inutile caricarsi di materie, se poi non si riesce bene.”

Molly, che era abituata alle affermazioni taglienti del padre, non vi diede molto peso, anzi, fu felice di essersi risparmiata una ramanzina.

Continuarono ancora un po’ a mangiare in silenzio, finché Audrey, dopo aver servito i pomodori, non si ricordò del gufo che era arrivato quella sera.

“Ah Percy, mi stavo quasi dimenticando.” Disse guardando il marito. “Prima è arrivato un gufo.”

Lui addentò un pezzo di ripieno. “Ah sì? Chi l’ha mandato?”

“Era da parte di Ron.” Proseguì lei. “Ci invita a cena da lui venerdì.”

Gli occhi di Molly si accesero. “Anche noi?” Chiese.

“Certo!” Esclamò Audrey. “Anzi, oserei dire che sarete gli ospiti d’onore.”

Percy s’incuriosì. “Festeggiamo il loro ritorno a Hogwarts?”

Sarcasmo. Ancora Lucy.

La donna sorrise agitando la bacchetta contro la pila di scodelle sporche. “Ma no, credo che c’entri con chi invitare prima dell’inizio della scuola.”

Le stoviglie presero il volo, diregendosi verso la cucina.

“E cosa c’è da discutere?” Domandò lui, quindi, Lucy e Molly si scambiarono uno sguardo d’intesa, mentre quest’ultima ingoiava il vuoto. “Le mie figlie possono invitare un’amica ciascuna. Non vedo cos’altro ci sia da dire?”

“Magari potresti essere un po’ più espansivo. Il posto certo non ci manca…” Azzardò Lucy, intanto che la madre le faceva cenno di lasciar perdere.

Lui la guardò con freddezza. “Pensi di meritartelo?”

La ragazza, tuttavia, non si fece intimidire. “Bhe, Molly va meglio di me a scuola, potresti concedere a lei due inviti, così potrebbe invitare una mia amica.”

“Hey!” Protestò Molly, che solo in rarissime occasioni alzava la voce in presenza del padre.

“Cavolo Molly!” La apostrofò la sorella. “Tu hai altri tre cugini della tua età che inviteranno mezza scuola!”

“Ora basta signorine!” Sbraitò Percy alzandosi in piedi. “Non permetto che si tengano certi comportamenti in casa mia! Ora andate di sopra avremmo tempo per discutere di questo venerdì da zio Ron.”

Finalmente, dopo tante occasioni che le si erano presentate quella sera, Audrey contestò una decisione del marito. “Su Percy! Cosa dovrebbero fare di sopra? Sono appena le otto.”

Va bene, che si era ripromessa di lasciar perdere per il più delle volte, ma quella disciplina, poteva diventare insensata, come ora.

Lui parve pensarci. “E va bene, ma da domani sotto a studiare, prima che arrivino i vostri amici.”

“Fa niente io vado in camera.” Disse mogia Lucy, salendo le scale.

Audrey scosse la testa mestamente, ma Percy non ci badò, mentre Molly prendeva in braccio il suo gatto e imbarazzata si dirigeva verso il salotto.



*****



“Dai Ted smettila!” Si lamentò Victorie Weasley piegandosi sulla pancia.

Il ragazzo, figlio dell’ultimo dei Malandrini la ignorò. “Come? Pensavo che ti stessi divertendo. Non facevi altro che ridere.” Disse lui riprendendo a farle il solletico.

Lei scoppiò in altre fragorose risate. “Ti ho detto di smetterla…” Provò di nuovo tra le risa.

Ted, tuttavia, non sembrava intenzionato a seguire gli ordini della ragazza. “Non mi sembri molto convinta.” Fece lui scaraventandola sul letto e mettendosi a cavalcioni su di lei.

La ventenne intanto continua a ridere. “Basta mi manca l’aria.” Ansimò piegandosi da un lato.

Ted ricadde al suo fianco. “Non ti facevo così scarsa Wealsey.”

“Ma smettila!” Esclamò lei scaraventandogli addosso un cuscino.

“Vick? Ti sei ripresa?” Domandò provocatorio lui dopo qualche secondo, Victorie, intanto, continuava a boccheggiare.

Si girò per poterlo guardare negli occhi. “Sei proprio un bastardo.” Sentenziò dura.

“Pensavo che ti piacesse…” Le disse all’orecchio iniziando ad accarezzarle i capelli biondissimi, sembravano lunghi filamenti d’argento.

Lei chiuse gli occhi. “E cosa ti ha dato quest’impressione?”

“Sesto senso diciamo…” Mormorò il ragazzo passandole le punta della dita sul viso.

Victorie lo guardò beata. “Il sesto senso non era quello del parlare con i morti, o sbaglio?”

“E ma quanto sei pignola, cazzo!” Fece lui mettendosi a sedere, la Wealsey lo imitò all’istante.

“No, non smettere.” Lo supplicò lei cingendogli la vita con le braccia sottili.

Ted sorrise malizioso. “Pregami.” Ordinò fingendosi offeso.

“Eh dai…” Iniziò lei sospirandogli sul collo. “Ti prego.” Disse poi mentre gli lasciava una scia di baci sulla pelle.

“Magari se t’impegni ancora un po’…” Sussurrò Ted.

Lei si fermò nell’incavo tra il collo e la spalla. “E cosa dovrei fare per appagarla Mr Lupin?”

Le labbra del ragazzo si piegarono nel suo solito sorriso furbo. “Una cosa ci sarebbe, ma non penso che tua madre sarebbe molto contenta di sent…”

“Idiota!” Esclamò Vick spingendolo giù dal letto.

“Ecco, sei contenta?” Chiese lui ridendo.

Lei si portò le mani sui fianchi. “Di cosa?”

“Ora sarò costretta a punirti…” Fece Ted avvicinandosi pericolosamente.

“Ted, cosa vuoi…?” Non riuscì a finire, che il ragazzo era di nuovo su di lei a farle il solletico.

“No, no, basta!” Urlò Vick mettendosi in piedi di scatto.

Lui le fece cenno di tacere. “Sei impazzita a urlare così? Ci manca altro che i tuoi pensino che stia violentando!”

“Ma figurati!” Rise lei, dandogli un bacio a fior di labbra, prima che qualcuno bussasse alla porta.

“Lo sapevo…” Sospirò Ted lasciandosi cadere sul letto.

La ragazza rise di nuovo. “Avanti.”

La porta si aprì ed entro una donna alta e slanciata con gli stessi capelli e gli stessi occhi di Victorie. Portava un vestito leggero, che ne metteva in risalto le forme, ancora perfette, nonostante, l’età avanzata.

“Salve Signora Wealsey.” Disse educatamente Ted alzandosi in piedi appena vide la donna.

“Ciao Ted, volevo sapere se ti andova di fermarti a cena?” Chiese la donna, il cui accento era molto migliorato nel corso degli anni, anche se continuava a pronunciare molte parole dandogli una cadenza tipicamente francese.

Lui sorrise. “Certo Signora, se non disturbo, s’intende.”

Fleur agitò una mano. “Che dici? Però, fareste meglio a scendere, sai papà è tornato prima oggi.” Aggiunse guardando la figlia.

Vick diventò dello stesso colore di capelli che si sarebbe presupposto avesse un Wealsey. “Certo, maman.”

Il ragazzo, invece, non si scompose, anzi, la prese per mano sotto lo sguardo allegro di Fleur e la trascinò fuori dalla stanza. “Dai andiamo.” Le disse.

Andarono in salotto, dove trovarono Dominique, la sorella minore di Vick, seduta sul divano mentre leggeva alcune lettere.

“Come va?” Le chiese Ted brioso.

Lei alzò lo sguardo stanca.

“Che c’è?” Fece lui. “Troppi amanti indesiderati?”

Vick scosse la testa ridendo e anche Dominique si lasciò scappare una risatina. “Sarebbe quasi meglio, guarda.”

“Come sarebbe a dire quasi?”

Lei incrinò le sopracciglia. “Nel senso che sarebbe leggermente meno sgradevole di quello che sto facendo.”

Ted alzò gli occhi al cielo. “Pensa, ci sono ragazze che smaniano per avere anche un solo povero imbecille che le vada dietro. Vero Vick?”

La ragazza gli diede un affettuoso scappellotto sulla nuca. “A me basta un povero imbecille.”

“Streghe.” Sibilò lui tra le risate di Dominique, che intanto aveva ripreso a leggere le lettere.

“No dai, ora seriamente, cosa sono?” Chiese serio Ted.

Lei rispose senza alzare gli occhi delle pergamene. “Lettere che rifiutano le mie domande di assunzione a quanto pare.”

“Oh, Niky!” Esclamò Vick portandosi vicino alla sorella. “Mi dispiace.”

Lei sorrise. “Non fa niente, tanto non mi sarebbero piaciuti quei lavori.”

“Ma perché non provi a fare quello che ti piace?” Domandò Ted.

La ragazza rise. “Ma se non so neanche io cosa mi piacerebbe fare!”

Lui si stiracchiò. “Allora ti consiglio di capirlo presto…”

“Ragazzi è pronto.” Disse Fleur entrando in sala “Vick per favore va a chiamare tuo padre e tuo fratello.” Chiese poi alla figlia maggiore.

Lei si avviò, bofonchiando un “Vado.” Stanco.

Ted e Dominique, intanto, prendevano posto all’ampia tavolata di Villa Conchiglia. La superficie era di vetro coperta da alcune tovagliette di pizzo bianco su cui avrebbero appoggiato i piatti di porcellana. Il servizio era il regalo di zia Muriel per i dieci anni di matrimonio di Bill e Fleur, Ted non la conosceva, ma Vick gliene aveva parlato qualche volta. Rise al pensiero, la definiva come una vecchia megera, acida e propensa a insultare chiunque per qualsiasi cosa.

Quando Bill Weasley entrò nella stanza seguito da suo figlio Louis e da Victorie, Ted si sentì in dovere di alzarsi rispettosamente in piedi. “Signor Weasley.”

“Ciao Ted.” Disse soddisfatto l’uomo facendogli cenno di riprendere posto, mentre Fleur serviva la cena, c’era del pesce bollito, probabilmente sogliola, pensò Ted, verdura cotta e del riso scondito.

“Tutto qui!?” Esclamò Louis contemplando il suo piatto.

Fleur sorrise tra gli sguardi di rimprovero del resto della famiglia. “Ho fatto qualcosa di leggero, dopo c’è la torta al formaggio.” Spiegò.

Il ragazzo parve compiaciuto. “Ah bhe, allora…”

Appena ebbe finito di servire tutti Fleur si rivolse al marito. “Com’è andata oggi al lavoro?”

“Niente di eccezionale.” Rispose lui vago. “Piuttosto voi…” E detto questo passò lo sguardo fra tutti i presenti. “…come procede?”

Fu Victorie la prima a parlare. “Da Madame McClan, tutto bene, anche se non c’è molto lavoro in questo periodo. Lei, però, mi ha invitato a prepararmi psicologicamente, dato che fra qualche settimana riprendono le lezioni a Hogwarts. Un evento traumatizzante, cara.”

Dominique rise. “Ha detto così?”

“Sì, sì.”

“E tu Niky? Hai trovato qualcosa?” Domandò piatto Bill.

Tutti si voltarono verso di lei. “Non ne parliamo, ok?”

Il padre sembrava sbalordito. “Ancora niente?!”

“Bill!” Lo rimproverò Fleur. “Ti sombra il caso!?”

“Scusa.” Fece lui alzando le braccia. “Solo che mi pare impossibile che non riesca a trovare un lavoro.”

Dominique alzò un braccio. “Grazie, eh?”

Bill scosse il capo. “Lo sai cosa intendo. Hai nove MAGO e un GUFO in Antiche Rune, la gente dovrebbe fare la fila per averti.”

“Peccato che, come direbbe zio Percy, non siano nulla di Eccezionale.”

L’uomo agitò una mano. “Lascia stare un attimo zio Percy e comunque avevi E in Pozioni e Incantesimi, non mi sembra male.”

“E anche A in Trasfigurazione e Storia della Magia.” Ribatté lei acida, più verso se stessa, che verso il padre.

“Ringrazia il cielo che sei passata in Storia ella Magia, invece, una dei pochi Wealsey direi. Caso più unico che raro.”

Fleur rise di gusto. “E cosa dovremmo dire di Louis, alors?”

Il ragazzo alzò lo sguardo sentendosi chiamato in causa.

“Già Louis!” Esclamò Bill. “Dimenticavo, colui che si avvicina all’impossibile.”

“Bhe dai! Ora non esageriamo.” Provò lui.

“Scherzi vero?” Intervenne Victorie furba. “Sei a un passo dal prendere Eccezionale in Storia della Magia ai MAGO!”

Lui si passò una mano tra i folti capelli biondi. “A un passo… E’ ancora tutto da vedere.”

“Nonna Molly farà i salti di gioia, qualcuno che gli dia questa soddisfazione, finalmente.” Affermò Bill deglutendo l’ultimo boccone di pesce.

Il ragazzo scosse la testa. “Non esultate troppo presto…”

“Non essere modesto.” Lo incitò Ted, cercando di inserirsi nella conversazione.

Dominique si lasciò scappare una risata. “Modesto, lui? Mi stupisco sempre di come cambi quando torna a casa da Hogwarts.”

Louis arrossì.

“E qui a preso anche da me.” Costatò Bill, guardando il ragazzo.

Poi Fleur si rivolse a Ted. “Et toi mon cher? Come va il lavoro al Ministero?”

Lui felice di essere chiamato in causa. “Molto bene, hanno detto che entro Natale probabilmente sarò trasferito all’Ufficio Passaporta.”

“E’ magnifico!” Esclamò Bill, cogliendo di sorpresa il ragazzo.

“Già…” Fece lui a disagio grattandosi la nuca. “Un po’ mi dispiace lasciare il Centro Esami di Materializzazione, ma se si può andare avanti…” …Carpe Diem, no?

Un po’, però, Ted si sentiva come Dominique. Amava il suo lavoro, ma aveva sempre sognato di fare qualcosa per migliorare la vita dei Lupi Mannari. Alla fine, non sapeva neanche lui come, aveva rinunciato ed era finito al sesto livello: Ufficio del Trasporto Magico.

“E fai bene, figliolo.”

Victorie quasi lascio cadere il bicchiere e anche Fleur fu stupita dall’uso di quell’epiteto da parte del marito, non che Bill fosse ostile a Ted, anzi, era solo che non si era mai aperto troppo con lui.

“Grazie…” Fu tutto quello che Ted riuscì a balbettare, prima che l’uomo si rivolgesse di nuovo a Dominique.

“Tu comunque, vedi di darti una mossa.”

La ragazza sbuffò. “Va bene, poi domani vado a sentire al Ghirigoro, Vick ha detto che cercano una commessa.”

Non sembrava molto entusiasta, lavorare in una libreria non era esattamente quello che avrebbe definito il massimo della vita, ma ormai, sentiva di non poter più restare a casa senza far nulla, non che fosse un peso per i suoi genitori, tuttavia, provava un enorme disagio a vedere Victorie e suo padre, che uscivano per andare a lavorare mentre lei restava a casa a far niente. Anche sua madre, nonostante non avesse una vera occupazione, spesso, dava lezioni di lingua ad alcuni maghi che si dovevano recare in Francia.

“Sì, è vero!” Confermò Vick, scuotendo la sorella dai suoi pensieri auto commiserativi.

“Bene.” Concluse il padre. “In ogni caso, qualunque cosa tu decida di fare, sono contento che tu abbia lascito il lavoro alla Testa di Porco e bhe…”

Louis fece una smorfia disgustata. “Ne siamo tutti felici, tranquilla.”

Dominique ripensò, quasi con nostalgia, al vecchio locale. Almeno l’anno scorso lavorava.

“Eh bhe… Almeno lavoravo.” Disse riportando il pensiero.

Questa volta fu Fleur a intervenire. “Dominique s’il tu plaît.”

“Excuse moi, maman.” Avrebbe voluto aggiungere dell’altro, ma Victorie la fissava torva. Certamente voleva risparmiare a Ted un litigio in famiglia.

“Porto i piatti in cucina.” Disse la donna, sollevando il grande vassoio, ormai vuoto, dove aveva servito la torta al formaggio.

Quando fu fuori, Vick si sporse verso Dominique cercando di non farsi notare dagli altri.

“Est-il vraiment nécessaire?” Chiese rapidamente osservando Ted e Louis, che parlvano di Quidditch.

Dominique sbuffò, anche se capiva la sorella. “Je ne sais pas ce que tu parle.” E disse così proprio perché la capiva.

“Ce serait bien si c'était vrai.” Mormorò più per se stessa che per la sorella, alzandosi e mettendole le mani sulle spalle.

Si stava avvicinando pericolosamente al suo orecchio, senza smettere di guardare il fratello e Ted, che non sembrava per nulla toccato dalla sfiorata lite. “Soyez prudent Niky…” Le sussurrò.

Louis le aveva appena lanciato un’occhiata indecifrabile, un misto tra il preoccupato e il nervoso, ma Ted lo richiamò alla loro conversazione. “La prochaine fois Ted ne sera pas ici…”

Dall’altro lato del tavolo Bill fissava la scena, talmente gelido, che il suo sguardo sembrava vuoto.

But thy eternal summer shall not fade,

Nor lose possession of that fair thou ow'st,

Nor shall death brag thou wander'st in his shade,

When in eternal lines to time thou grow'st,


So long as men can breathe, or eyes can see,

So long lives this, and this gives life to thee.

William Shakespeare
Sonetto 18°


*


Ecco, dopo tanto penare il primo capitolo di questa Fan Fiction. E’ da tempo che mi ronzava in mente e alla fine mi sono decisa a pubblicarla, anche se non so cosa ne avreste pensato e cosa potrebbe venirne fuori.
Bhe, che dire? Non vorrei svelare troppo della trama, dico solo che probabilmente i primi capitoli potrebbero risultare un po’ noiosi, ma mi servono per presentare i personaggi principali, in modo che il tutto risulti il più comprensibile possile.
Ora vi lascio e mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate, accetto tutto: critiche, suggerimenti, apprezzamenti (ci mancherebbe altro).
Aspetto i vostri commenti.
Ros
 
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VOTO: (1 voto, 1 commento)
 
COMMENTI:
Trovato 1 commento
strega12 - Voto: 26/07/08 13:47
Bella, bella, bella, bella! Presto ne farò una anch'io sui figli dei nostri eroi! Complimenti
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