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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Hunter X Hunter
Titolo Fanfic: TRE DOMANDE
Genere: Romantico, Dark, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, OOC, AU, Shounen Ai, Yaoi
Autore: suze28 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 17/07/2008 15:58:27

Il tuo sguardo è bellissimo. Bellissimo e spezzato. [Gon/Killua] Dedicata alla mia Yaya-chan.
 
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TRE DOMANDE.
- Capitolo 1° -

Quando la mamma morì, non ero altro che un fagotto urlante. La zia diceva che piangevo con tanta violenza e determinazione da svegliare sistematicamente tutto il condominio.

Ero un neonato. Un minuscolo, paffutello neonato, che necessitava di una serie infinita di piccole attenzioni, piccole premure, piccoli sacrifici.

Dolci nenie, affetto incondizionato, ricambio periodico dei pannolini.

Insomma, tutto quello che dei genitori responsabili e pronti a mettere al mondo un bambino dovrebbero essere preparati ad affrontare.

Quando mia madre morì, mio padre decise che ero una seccatura troppo grande per farsene carico, e mi abbandonò.

A nulla valsero i singhiozzi ripetitivi e le suppliche disperate della zia Mito, i suoi richiami accorati, le sue promesse di sostegno e aiuto, sia materiale che finanziario. Mi lasciò nella mia culla, sul comodino una sua fotografia dal volto celato, e partì per non fare mai più ritorno.

Spesi la mia infanzia nell’alimentare il disperato desiderio che tornasse. Un giorno, mi dicevo, sarebbe apparso: con un sorriso paterno sul viso e tante avventure da narrare, sulla soglia del locale di famiglia.

Mi si sarebbe avvicinato e mi avrebbe fatto i complimenti, perché, diamine, mi ero fatto proprio un bell’ometto. E magari avrebbe fatto pace con la zia Mito, e avrebbe sostituito quell’antica foto sbiadita con un’istantanea di padre e figlio, a pesca.

I giorni passavano lenti, ma da quella porta non entravano che alcolizzati e falliti, che concludevano brillantemente la giornata con una bella sbornia. E di mio padre non rimaneva che la sua vecchia canna da pesca, ricoperta dalla polvere come una seconda pelle, ad arrugginirsi in un angolo della soffitta.

Quando compii quattordici anni la sua stupida immagine ormai scolorita era rivolta verso il muro, non più sul comodino, ma sopra l’armadio, lontana dalla vista, lontana dal cuore.

Fu in quel periodo che la zia Mito si ammalò, le sue morbide guance rosee divennero scarne, pallide, la fronte madida di sudore, le forme del corpo, una volta prosperose, si fecero spigolose, smunte; i grandi occhi accesi si opacizzarono, perdendo l’usuale luce maliziosa.

Era uno spettro, perennemente rintanato sotto le pesanti coltri della camera da letto, l’ombra della giovane donna solare e acuta di un tempo.

Dovetti prendere io le redini dell’attività familiare, nient’altro che un misero pub di periferia, che però ci aveva garantito il sostentamento per tutti quegli anni. Ero appena un adolescente, eppure sulle mie spalle gravavano già compiti onerosi: spesso restavo sveglio sino alle prime avvisaglie dell’alba, cercando di racimolare il più possibile, spremendo i clienti fino a che non capitolavano sul bancone, esausti, pieni d’alcol sino a scoppiare. Ignoravo le più basilari regole di sopravvivenza, sia nel mio caso che in quello dei poveri disgraziati che venivano a dimenticare il proprio tormento nel nostro pidocchioso bar di quartiere.

Greed Island.

E me ne vergognavo profondamente. Provavo ribrezzo verso gli squallidi mezzi attraverso i quali raccattavo qualche spicciolo in più, indispensabile per acquistare le medicine della zia Mito, e provavo ribrezzo per quegli uomini tristi e soli che si abbandonavano su di uno sgabello ogni dannata sera, accartocciandosi su se stessi, e risvegliandosi la mattina successiva in una pozza di bile, oppressi da un mal di testa lancinante e dalla nausea che, invadente e soffocante, non li abbandonava sino alla sbornia successiva.

Quando compii quindici anni la fotografia di mio padre non era che un cumulo di carta stracciata, tenuta malamente insieme da una quantità imprecisata di nastro adesivo. Era nascosta sotto il materasso, abbandonata ad ammuffire in una scatola da scarpe.

Fu in quei mesi che la malattia della zia si aggravò, sembrava consumarla, privarla della sua accattivante vivacità, fino a portarla al ricovero. Notte e giorno zia Mito lottava instancabilmente per sopravvivere, ora dopo ora precipitava sempre più nell’incoscienza.

Le spese ospedaliere si fecero quasi insostenibili, ma non avrei mai permesso che la zia Mito morisse: lei era la madre che non avevo avuto la possibilità di conoscere, il padre che mi aveva abbandonato, la sorella che non avevo mai avuto. Era tutta la mia famiglia. Mi aveva donato tutta se stessa, rinunciando ad una vita migliore solo per amor mio.

Ed io non sarei stato da meno.

Il mio protettore era un uomo mellifluo e serpentino, il viso perennemente concentrato in una smorfia sardonica, gli occhi chiari in un cipiglio felino.

Hisoka.

Non era propriamente malvagio, semplicemente amava incutere timore e provocare dolore.

Persino su se stesso.

Era un essere ambiguo, malato, ma sorprendentemente intelligente, intuitivo, calcolatore.

Amava il piacere, e amava il peccato che portava al piacere.

Accettai di essere un suo dipendente per disperazione, rassegnato alla sofferenza, non potei che osservare impotente il mio corpo venire preso, volta dopo volta, da persone, bestie, ancora peggiori di quelle che frequentavano Greed Island, non erano uomini senza speranza, ma mostri voraci, divorati da una fame sporca e dal bisogno.

Si muovevano sopra di me, come viscidi rettili, pretendendo di più, sempre più. Le loro mani erano ovunque, e graffiavano, e accarezzavano, e ferivano. Le loro lingue penetravano nei posti più impensati, strappandomi quella poca dignità che mi rimaneva, ricoprendomi di saliva dal sapore amaro, pungente. La stanza si riempiva di una cacofonia stonata di gemiti e grugniti, mentre quegli sconosciuti reclamavano di essere soddisfatti.

Ero una bambola di pezza nelle loro mani. Fragile e spezzata. Senza possibilità di ribellione, imprigionato in un futuro che mi ero scelto io stesso, ma che non avrei potuto in nessun modo evitare.

Mi era stato sottratto il libero arbitrio, e mi svegliavo, mattina dopo mattina, mentre dentro morivo lentamente, proprio come la zia Mito.

Qualche giorno prima del mio compleanno, zia Mito cessò di combattere. Forse, come me, aveva perso ogni speranza; o forse, più probabilmente, non si era accorta di nulla, e, nel sonno, aveva semplicemente smesso di respirare.

Ora i soldi non mi servivano più, ma non potevo andarmene. E nemmeno tentare di fuggire.

Ero una merce troppo preziosa ed ambita perché Hisoka mi permettesse di tornare ad essere quello che ero, nient’altro che un ragazzo. Ero un guadagno facile, e gli uomini sono troppo avidi ed insaziabili per sprecare un’opportunità simile.

Hisoka in particolare.

Mi ero legato ad un mondo sordido e perverso, ed adesso le corde sottili che mi univano ad esso si erano trasformate in solide e pesanti catene.








-Gon.- Mi chiamò la voce suadente e falsamente gentile di Hisoka. –Stasera hai un cliente speciale.-

Attraversammo velocemente il corridoio scuro che portava alla sala dove venivano accolti i frequentatori.

-Vedi di trattarlo con i guanti.- sibilò. –Ha pagato profumatamente. E per l’intera notte.-

Inarcai un sopracciglio, sorpreso. –L’intera notte?- sussurrai, sconcertato. –Ha già avuto una serata con me?-

-No, direi di no.- Hisoka storse il naso. –Puzza di novellino. Ma ha classe. Non farci perdere soldi, moccioso.-

Hisoka sorrise untuoso all’indirizzo del nuovo ospite, volatilizzandosi subito dopo.

Mi fermai, scrutandolo con sospetto.

Era un giovane distinto, fasciato da eleganti abiti di seta, morbidi capelli nivei gli accarezzavano dolcemente le guance, grandi occhi verdi illuminavano il viso pallido e sembravano risucchiarmi al loro interno.

Arricciai le labbra in una rassegnata imitazione di un sorriso, come mi avevano insegnato.

Non ricambiò, si limitò ad fissarmi, tacendo. Mi sentii stranamente a disagio, come se non mi fossi ormai abituato ai continui sguardi traboccanti di lussuria e cupidigia che mi rivolgevano.

Si muoveva per la stanza con distratta eleganza, curiosando in giro.

Il silenzio permaneva, tossicchiai imbarazzato.

-Ehm… ciao, io sono…-

-So bene chi sei, Gon.-

Aveva una voce calda, musicale, che risuonava ovattata tra le pareti spoglie del salotto.

-E come… sai il…?-

-Il tuo nome? Hai una certa fama in questo ambiente, Gon.-

Arrossii di rabbia e, con disprezzo mal celato, lo invitai a seguirmi in camera da letto.

-No.- rispose semplicemente.

Sbattei più volte le palpebre, esterrefatto.

-No?-

-No.-

-Sei uno di quelli che si eccitano in posti strani?- sbottai.

Divenni paonazzo quando mi accorsi di quanto fossi stato maleducato e sfacciato.

Il ragazzo ridacchiò. –No. Non lo sono.-

Mi ricomposi. –E quindi? Come posso, ehm, soddisfarti?-

Incrociò i miei occhi, guardandomi con veemenza.

-Una passeggiata sarà sufficiente.-

Boccheggiai. –Hai pagato un’intera notte per una passeggiata?-

Scrollò le spalle, annuendo. Si diresse verso la porta, indicandomi di seguirlo.

Uscimmo all’esterno: l’aria frizzante della sera diede immediatamente sollievo al mio rossore, la luna, piena e perlacea, illuminava soffusa il paesaggio rigoglioso, che aveva assunto sfumature arcane ed incantevoli.

Non gli chiesi niente, se non voleva usufruire dei miei servigi non potevo che esserne sollevato, eppure, osservando quel corpo longilineo precedermi sinuosamente, non potevo evitare di avvertire un senso cocente di delusione.

-Qualcosa non va?-

Sussultai. Distratto dalle mie elucubrazioni mentali non mi ero accorto che mi si era affiancato.

Scossi il capo, tentando si scacciare pensieri molesti.

La baracca fatiscente che ospitava le nostre attività si trovava in prossimità di un piccolo lago, il cui sentiero d’accesso era ben nascosto nella vegetazione.

L’acqua era limpida e pura, e scorreva rinfrescante lungo la gola; la prima volta che avevo intravisto la mia figura riflettersi sullo specchio del bacino ero rimasto sbigottito: come poteva un luogo tanto bello e pacifico esistere nelle vicinanze di un bordello, un luogo così malsano e corrotto?

Come poteva quel liquido trasparente non macchiarsi dello sporco disgustoso dei miei peccati, della mia depravazione, della mia immoralità?

Come potevano le rane non cessare di gracidare per allontanarsi da una persona tanto marcia, viziosa, repellente?

Non lo sapevo. Ma, giorno dopo giorno, ringraziavo quel Dio cui oramai non credevo più, per quell’isolato e pacifico angolo di paradiso.

Non avevo mai permesso che qualcuno scoprisse della sua esistenza. Era l’ultimo appiglio che mi teneva ancorato a questo mondo malato, traviato. Senza di esso immagino che sarei semplicemente volato via, verso lidi lontani, non più padrone di me stesso. Mi sarebbe parsa una violazione troppo intima, troppo profonda, per essere tollerata. Eppure lo sconosciuto vi era penetrato con un vigore ed una naturalezza sorprendenti. Ma non fu quello a stupirmi maggiormente, quanto più che l’accaduto non mi ferisse affatto.

Il mio piccolo sprazzo di libertà era stato invaso, conquistato ed io non mi trovavo agonizzante in terra, a sanguinare.

Lo seguii docilmente.

Fece un sorriso assorbito, mentre le iridi verdi si perdevano nei movimenti frenetici di una libellula.

Anch’io vorrei avere le ali.


Si sdraiò sull’erba umida di brina. La mia espressione si indurì.

Ecco, ora avrei dovuto adempiere ai miei doveri!

Mordicchiai delicatamente le labbra, per renderle più rosse e gonfie, e avvicinai lentamente il viso a quello dell’estraneo. Il giovane si voltò bruscamente, sfuggendo il mio sguardo confuso e seccato.

Digrignai i denti. –Perché diavolo hai pagato per avermi? Ho forse deluso le tue aspettative?-

Un lampo di divertimento attraversò i suoi occhi, ferendomi.

Cos’ero per lui, quindi? Nient’altro che un oggetto, un passatempo con il quale giocare?

Appena formulato quel pensiero mi resi conto di quanto idiota e assurdo fosse. Dio! Mi prostituivo, facevo la puttana: io ero un oggetto.

-Non è così.- disse infine. –Siediti qui.- Sorrise. –Guardiamo la luna.-

Mi buttai sul prato con un sospiro.

-Perché hai pagato un’intera nottata per sedere su un prato a guardare la luna? Chi sei? Cosa vuoi da me? Come hai scoperto questo posto?-

Ridacchiò, la via lattea si specchiava nelle sue iridi magnetiche.

Profuma di menta…

Boccheggiai, affascinato.

-Tre domande.-

-Che cosa?-

-Puoi farmi tre domande. Solo tre domande.-

Inarcai un sopracciglio. –E tu risponderai?- chiesi scettico.

-Risponderò.- Garantì con un risolino.

-Sinceramente?-

-Sinceramente.-

Esultai interiormente, la curiosità sopita di un tempo che tornava a farsi

-Come hai scoperto il mio lago?-

-Il tuo lago?- Ghignò.

Lo ignorai. –Rispondi.-

-Abito vicino alla riva opposta, lo conosco da sempre.-

Potevo fidarmi? Sulla sponda di fronte vi era solo flora, che cresceva folta e rigogliosa.

-Che cosa vuoi da me?-

-Nulla. Solo… la tua compagnia.-

-Chi sei?-

Aggrottò la fronte. –Me stesso, direi.-

-La tua non è una risposta.-

-La tua non è una domanda.- ribatté.

Sbuffai. –Come ti chiami?-

-Killua.-

-Il tuo nome completo?-

Sorrise amaro. –Le tre domande sono finite.-

Non gli chiesi più niente.







Quando mi risvegliai ero solo, il sole era appena sorto, l’alba rifulgeva e lo specchio del lago si era tinto delle sfumature del sangue, sembrava che il liquido cremisi si fosse sostituito all’acqua, affogando la purezza del bacino nel colore della morte. Rabbrividii, mentre un gelo estraneo mi penetrava sotto cute, avvelenandomi il buongiorno.

Era sbagliato, eppure avvertivo una fredda sensazione di solitudine.

Avrei dovuto bearmi di quei pochi attimi di libertà, invece mi ritrovavo a desiderare che qualcuno sedesse al mio fianco e mi stringesse la mano, con dolcezza.

Mi alzai sbadigliando e cercai di darmi un aspetto più consumato, scompigliai i capelli e slacciai diversi bottoni della camicia stretta e provocante che mi fasciava il petto.

Non avrei assolutamente raccontato ad Hisoka della strana serata, così mi avrebbe lasciato la mattinata per riprendermi, i clienti li avrei ricevuti più tardi.

Gli altri non erano come Killua, loro desideravano, e volevano, e pretendevano, di più, di più, sempre di più.

Non si accontentavano della bellezza sfuggente del silenzio, del semplice calore corporeo, del rispetto, dei sentimenti.

Ma era inutile pensare a quella insolita ma piacevole sera, non si sarebbe ripetuta, e quelle piccole e sciocche speranze portavano inevitabilmente a cocenti e dolorose delusioni.

Killua non sarebbe tornato ed io sarei stato la bambola di pezza nelle mani di un burattinaio affamato ancora e ancora, fino all’appassire del fiore non ancora sbocciato, la morte.

Arrivai a detestarmi quando il senso d’aspettativa divenne quasi soffocante, ma non lasciai trapelare nient’altro che efficienza quando un ragazzo abbronzato e nerboruto fece il suo ingresso in camera.

Non potei però frenarmi dal confrontare la folta criniera corvina del giovane alla cascata di capelli nivei e setosi di Killua, o la pelle scura imperlata di sudore a quella fresca e pallida di Killua, o quei gemiti rochi e affamati alla voce tiepida e musicale di Killua.

Quando gli occhi incupiti dal desiderio dell’uomo si sgranarono, sconvolti dall’orgasmo, immaginai come sarebbero stati quelli di Killua dilatati dal bisogno. Mi avventai sulle labbra del cliente, fantasticandone delle altre.

Il giorno seguente l’ossessione si affievolì, mentre apatia ed indifferenza mi avviluppavano nella loro stretta rassicurante.

Quel pomeriggio dovetti soddisfare due gemelli alla ricerca di nuove scoperte; mi tennero occupato sino a tarda notte e l’indomani me ne rimasi nascosto tra le lenzuola, esausto.

Nel dormiveglia sognai un angelo albino dal sorriso luminoso, etereo, ma dallo sguardo troppo triste, troppo spezzato, troppo simile al mio.

Sbattei le palpebre, tentando di mettere a fuoco l’ambiente, e sbadigliai. Il tramonto era giunto al termine, fuori dalla piccola finestra.

-Ben sveglio.- mi salutò Killua, seduto tranquillamente su di uno sgabello posto nell’angolo più buio della mia stanza, pregna dell’odore del sesso.

Trasalii. Non volevo che visitasse la mia camera, marchiata del lezzo penetrante del mio mestiere.

Calore misto a sollievo mi invase il petto, non avevo avuto il coraggio di sperare nel suo ritorno, eppure quella mia unica preghiera taciuta era stata esaudita.

-Non credevo che saresti tornato.- borbottai.

Sorrise. –Eppure sono qui.-

La pioggia prese a scrosciare violentemente ed un tuono rombò lontano, all’esterno del bordello.

Sospirai. Così non avremmo avuto modo di recarci sulla riva del lago, ma in ogni caso, difficilmente ne avrei avuto la forza.

Provai ad alzarmi ma un dolore sordo attraversò il bacino, facendomi ricadere pesantemente sul materasso.

Killua mi riservò un’occhiata preoccupata, accomodandosi al mio fianco.

-Stenditi.- mi ordinò. –Lascia che ti faccia un massaggio.-

Mi allungai sul letto, nascondendo il viso nel morbido cuscino.

Che quel giorno avesse deciso di possedermi?

Mi irrigidii confuso, non sapevo se esserne lieto o amareggiato.

-Rilassati.- sussurrò. –E’ solo un massaggio.-

Iniziò a frizionarmi con mano esperta, dai movimenti delicati ma decisi. Percepivo i muscoli sciogliersi sotto il suo tocco gentile e mugugnai soddisfatto.

Restammo in silenzio, cullati dalla dolce nenia dei nostri respiri distesi, dei nostri cuori che battevano all’unisono.

Morivo dalla voglia di saperne di più, di più, di scavare nel suo passato, di infrangere quel suo mutismo rassegnato, di spogliarlo del suo dolore trattenuto, ma tacevo, terrorizzato all’idea di frantumare uno dei rari momenti sereni della mia vita e, con tutta probabilità, della sua.

E come sempre, sembrò leggermi nel pensiero.

-Tre domande.- mormorò.

Diedi subito voce a quella che mi premeva di più, il volto ancora premuto tra le pieghe del cuscino.

-Tornerai?-

Non potevo vederlo, ma riuscii lo stesso a percepire il suo sorriso. –Sì.-

Sorrisi anch’io, lui non poté accorgersene ma lo capì, ne sono sicuro.

Non parlai per un lungo istante, lasciandomi carezzare da quella rassicurazione e dalle sue mani.

-Perché sei qui?-

Silenzio.

Ancora silenzio.

-Per il tuo sguardo.-

Mi accigliai. –Il mio sguardo?-

-Il tuo sguardo è cioccolato, è corteccia degli alberi, è terra brulla e nuda, è lo sguardo di un animale selvatico in catene. Il tuo sguardo è bellissimo. Bellissimo e spezzato.-

Ammutolii e mi abbandonai completamente a quei moti tranquillizzanti.







A quella sera ne seguirono numerose altre.







-Tre domande.-

Sorrisi. –E’ al lago che mi hai visto la prima volta, non è così? E per questo che mi porti sempre qui.-

-E’ così.-

-Qual è il tuo vero nome? Quello completo.-

Killua si irrigidì, evitando i miei occhi curiosi.

-Killua… Zaoldyeck.-

Mi strozzai con la mia stessa saliva, prendendo a tossire convulsamente alla disperata ricerca d’aria; Killua mi diede colpi gentili sulla schiena, sospirando.

-Zaoldyeck ?!- esalai, infine.

Non rispose, fissando ostinatamente lo specchio d’acqua sul quale si riflettevano le fronde floride del bosco.

-Uno… Zaoldyeck… qui. In un bordello?!-

-Gli Zaoldyeck non sono gli esseri perfetti di cui la gente ama tanto vantarsi, tutt’altro.- ringhiò, colmo di un rancore spaventoso.

Non mi ritrassi, come probabilmente Killua aveva ipotizzato, ma gli presi la mano pallida tra le mie, carezzandola con venerazione. Non si scostò, e questa volta fu lui a sorprendere me.

-Non è importante il tuo cognome. Non fa di te ciò che sei.-

Killua mi lanciò un’occhiata raggiante e sorrise. –No.- concordò. –Non lo è.-

Gli Zaoldyeck erano i baroni del luogo, temuti e rispettati dagli abitanti della piccola città, ma alle loro spalle si vociferavano storie macabre, piene di orrori. Sangue, torture, morti. Gli Zaoldyeck erano gli assassini del re. Assoldati dai principi e duchi più potenti del regno. Erano persone avide, letali. Non avevano idea di cosa fosse il concetto di pietà. Uccidevano per prestigio, soldi, potere.

Un pensiero mostruoso iniziò a formularsi nella mia mente.

-Killua… tu hai mai tolto la vita a-a una persona?-

Killua tacque, e quella fu una risposta più che sufficiente.

Quando una singola lacrima tracciò una scia adamantina sul suo viso però, non ebbi la forza di condannarlo.







-Tre domande.-

-Stai bene?-

-Che cosa?-

Gli lanciai un’occhiata penetrante. -Ti ho chiesto se stai bene. E’ una domanda piuttosto semplice.-

-Perché me lo chiedi?-

-Perché hai un’ombra scura nello sguardo.-

-Quando sto con te, sto bene.-

Sorrisi. -Non era questo quello che intendevo.- Gli carezzai una guancia, rassicurante.

Killua fece un respiro profondo. -Ho paura.-

-Di cosa?-

-Di diventare come loro.-

-Loro chi?-

-Loro. La mia famiglia.-






-Tre domande.-

-Come sono loro? La tua famiglia…-

Killua si irrigidì, mentre le sue dita affusolate si fermavano tra le ciocche dei miei capelli.

-Sono… diversi.-

-Diversi, in che senso?-

-Non sono malvagi. Hanno un concetto della vita molto drastico, e molto egoista.-

-Che tipo di concetto?-

-Il più forte sopravvive, quello debole perisce.-





Quando raccontai la mia storia a Killua, il giovane Zaoldyeck mi subissò di domande. In un primo momento, la sua curiosità quasi inopportuna mi ferì, poiché lui non accettava di aprirsi che poco alla volta. Solo in secondo luogo capii che probabilmente quelle tre domande giornaliere erano il massimo che riuscisse a donarmi di se stesso, faticosamente e dolorosamente, ed avrei dovuto custodire minuziosamente quei rari tesori.

Il panico mi assaliva quando tentavo di dare un nome all’intenso sentimento che ci legava. Detestavo l’idea che un’altra catena mi bloccasse i polsi. Il cuore. Il terrore mi attanagliava lo stomaco in un familiare senso di impotenza. Ma, nel mio intimo, sapevo che era giunto il tempo di maturare e cessare di mentire a me stesso.

Con Killua al mio fianco, la speranza tornava a brillare ed il mondo si tingeva di colori caldi e vividi.







-Tre domande.-

Inspirai il profumo pungente dell’erba umida. -Oggi il cielo è limpido, le stelle sono luminosissime.- Starnutii e mi voltai a pancia in giù, incrociando gli occhi divertiti di Killua.

-Ti piace guardare le stelle?- chiesi.

-Preferisco la luna. Candida e pura. Guardando la luna ci si sente un po’ meno sporchi.-

-Con te mi sento pulito. Sempre.- sussurrai.

Killua mi guardò con quei suoi grandi occhi magnetici ed io sentii le forze venire meno, i contorni farsi indistinti, i suoni ovattati.

-Killua… perché continui a venire da me? Cosa ti trattiene?-

Killua sospirò, mentre sul suo volto si formava un’espressione preoccupata.

-Penso che non vederti mi ucciderebbe lentamente.- mormorò.

Sussultai.

-Killua…-

-Le tre domande sono finite.- mugugnò imbarazzato.

-Killua… baciami.-

Killua sorrise. Un sorriso pieno ed assoluto, che aveva principio negli occhi.

Abbassò il capo, intrecciando le nostre mani in un groviglio tiepido. Sfiorò dolcemente le mie labbra con le proprie, già dischiuse; il suo fiato primaverile mi vezzeggiava la cute, causandomi un prolungato brivido lungo la spina dorsale, mentre le folte ciglia chiare mi solleticavano le guancie.

Gorgogliai una risata quando, con movimenti impacciati, poggiò delicatamente la sua fronte contro la mia.

Restammo immobili per interminabili istanti, beandoci della sensazione di gradevole intimità che, armoniosamente, faceva battere i nostri cuori all’unisono.

E poi accadde. E fu come baciare di nuovo per la prima volta, i sensi all’erta in attimi densi di aspettativa, insicurezza, esitazione. E fu come lambire il cielo con un dito e proseguire ancora più su, verso la luna. La nostra bellissima luna immacolata.

E fu come… fu semplicemente meraviglioso.

Il sangue ribolliva, il viso ardeva, l’intero corpo sembrava animato da un bisogno radicato nel profondo, istintivo, illimitato.

Mi attirò quietamente contro di sé, avvolgendomi fra le sue braccia. La mia bocca divenne ospite di una danza affascinante e persuasiva; mi ritrovai intrappolato tra il suo il torace ed il prato umido di galaverna, l’addome e l’incavo del bacino erano allineati perfettamente a quelli di Killua. Mi inarcai sotto il suo tocco arroventato eppure rispettoso, ricolmo di un desiderio represso del quale mi accorsi solo allora.

Facendo violenza su se stesso terminò il bacio che diveniva, di secondo in secondo, sempre più famelico e voglioso. Uggiolai, contrariato, mentre Killua cercava di riportare alla regolarità il respiro affannoso.

Un attimo e il bacio esplose ancora, infiammato da una nuova ondata di passione.









-Tre domande.-

Gli posai un bacio sulla clavicola ed uno sul naso, mi accoccolai meglio tra le sue braccia ed inspirai a fondo l’aroma intossicante della sua pelle.

-Stai dimagrendo, troppo.- Constatai, con una smorfia. –Qualcosa non va?-

Killua impallidì. –Non è niente.- Ma le sue carezze si fecero frammentarie e burrascose.

Spostai le sue mani miti con gesti bruschi, indirizzando una lunga occhiata inquisitoria al volto cinereo, dalle spesse borse scure sotto gli occhi.

-Non mentirmi.- sbottai.

Killua sospirò, serrando i pugni.

-Mio padre ha preso la decisione di dichiarami suo erede.- confessò, in un sussurro sgradevole.

Repressi un singhiozzo, sconvolto. –E-erede?- riuscii a balbettare.

Killua annuì. –Non posso.- mormorò. –Non posso.-

Alzò il capo di scattò, le pupille dilatate ed il mento tremante.

-Allora non farlo.- decretai.

-Che cosa?-

-Non farlo!- ribadii, afferrandolo con trasporto. –Andiamocene. Fuggiamo. Spezziamo le catene!-

-Ci inseguirebbero ovunque. La mia famiglia non tollera i fallimenti.-

Non demorsi.

-E noi continueremo a scappare, rincorrendo la nostra libertà!-

-E’ una pazzia!-

-E’ la nostra sola occasione per vivere davvero! Voglio poter essere libero di volare.- Replicai, accorato. –Voglio potermi svegliare al tuo fianco ogni mattina! Voglio mettere fine a questa sopravvivenza senza scopo.-

-Vuoi trascorrere la tua vita accanto a me?- chiese, incredulo.

-Ogni singolo istante.-

-Perché?-

Risi. –Perché ti amo.-

Killua sembrò brillare di luce propria quando sorrise, irradiando limpida gioia da ogni poro.

Si avventò sulle mie labbra, catturandole con violenza. Ansimai, mentre faceva scorrere febbrilmente le dita affusolante contro il mio petto nudo.









-Dunque è così.- Un bisbiglio gracchiante e vagamente compiaciuto sferzò l’aria, spezzando la melodia eccitante di ansiti e gemiti. –Il perfetto e geniale Killua Zaoldyeck vuole rinunciare alla sua eredità ed al suo prestigio per una puttana.-

Killua trasalì, nascondendomi angosciosamente dietro di sé. Scrutò con furia la vegetazione folta e bruna, assottigliando gli occhi e facendo stridere i denti.

-Esci fuori, porco.- sputò in un sibilo carico di ribrezzo.

Gli strinsi il polso, mentre paura e preoccupazione mi corrodevano lo stomaco.

-Killua… che diamine…?-

-Gon, devi andartene.-

Killua non spostò lo sguardo dal fitto bosco neanche per un istante, penetrando le insidie del fogliame scuro con la vista.

-Scordatelo!- sbottai, deciso. –Non ti lascio solo.-

Una risatina maligna si destreggiò tra le fronde, deridendoci.

-Gon…- Killua esitò.

-Resto.- decretai.

Il risolino sdegnato crebbe d’intensità, scontrandosi schernitore tra i tronchi nodosi degli alberi, che sprigionavano un gradevole profumo di resina.

-Oh-ho.- sbuffò la voce graffiante. –Quindi è amore, questo?-

-Esci fuori, idiota!- urlai.

Un grosso ragazzo taurino si scostò di malgarbo dalla flora, puntandoci contro una pistola.

Avvertii il mondo crollarmi addosso, osservando l’arma in tutta la sua nuda e fredda crudeltà.

Mi voltai di scatto verso Killua e vi vidi riflessa la mia stessa tormentata incredulità.

-Allora, nii-chan, non fai più tanto il gradasso, eh?-

Il viso grasso e paonazzo si distorse in una smorfia grondante di compiacimento.

Sentii le gambe cedermi e rimasi lì, pietrificato, ad annaspare, sorretto soltanto dalla presa salda di Killua.

E pregai.

Pregai, senza sapere a chi rivolgermi, chi invocare. Pregai con la stessa stolta disperazione di un condannato a morte.

Se la pallottola avesse perforato la mia carne, allora, forse, non sarebbe stata che una liberazione. Ma trovavo mostruosamente ingiusto che dovesse accadere proprio quando finalmente avevo iniziato ad intravedere un futuro. Un futuro luminoso. Un futuro con Killua.

Se Killua fosse stato ucciso, in quel drammatico caso, sarei andato incontro ad una fine ben peggiore.

-Come ci si sente, mh?- grugnì il giovane. –Come ci si sente a vedersi strappare tutti i propri progetti dalle mani? A guardare impotenti la propria vita venire buttata nel cesso?-

Killua alzò i palmi aperti davanti al busto, indietreggiando cautamente sino ad unire la sua schiena al mio torace.

-Calmati, Milluki. Non fare pazzie.-

Milluki proruppe in un ghigno perverso.

-Oh, caro fratellino, questa è una delle decisioni migliori che io abbia mai preso.-

Killua boccheggiò. –Tu dici?- disse, infine. –Io non credo.-

-Non mi importa cosa credi!- gridò Milluki, ed una vena prese a pulsargli violentemente sulla fronte.

-Cosa penserebbe nostro padre se uccidessi il suo pupillo? Credi davvero che questo aumenterebbe la sua stima nei tuoi confronti?-

Milluki sorrise. Un sorriso crudele e gongolante.

-Sciocco, sciocco fratello. Ucciderti non sarebbe una soddisfazione abbastanza grande. Inoltre, non mi porterebbe alcun vantaggio, anzi. Io voglio vederti distrutto. Annichilito. Annientato. Io ti strapperò ciò che hai di più caro al mondo.-

Il mirino scarlatto si diresse velocemente verso il mio cuore.

Tutto si svolse in pochi, fatidici secondi.

Killua mi guardò, con i suoi occhi bellissimi, verdi e penetranti. E in quegli occhi non lessi null’altro che amore e sgomento.

Poi scattò.

Si slanciò rapido verso la pistola, afferrandola con mani tremanti e tentando disperatamente di modificarne la traiettoria.

Mi tuffai in avanti, correndo in direzione delle due sagome accartocciate in una lotta furibonda.

E fu allora che risuonò lo sparo, in un rimbombo feroce, cristallino ed agghiacciante.

E fu l’inferno.

Il corpo vacillò, mentre il sangue fluiva copioso a macchiare il terreno. Un ultimo respiro e si riverse al suolo.

E tutto fu cremisi.













Suze’s Delirium.


O.O

Oddio, davvero non so da dove sia uscita questa roba. Il progetto iniziale è tutt’altra cosa.

Sarà il periodo un po’ deprimente o semplicemente voglia di Angst, ma, wow, ho fatto davvero del mio peggio!XD

Beh, cosa aggiungere?

Vi prego, niente pomodori! ç.ç

Un bacione,

la vostra delirante ma affezionatissima Suze.
 
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VOTO: (2 voti, 3 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 3 commenti
inu00 - Voto: 21/01/11 15:37
chi è morto? ci sarà un seguito?
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suze28 19/10/08 20:15
Mia cara, grazie davvero.
Non ha idea di quanto questo mi riempia di gioia. Vedi, io sono, letteralmente, i n n a m o r a t a delle GonKillua, che, purtroppo, sono un Paring scarsamente diffuso qui in Italia.
Per quanto riguarda i codici strani, come la brava piccola idiota che sono, ho pubblicato la storia con il codice html, codice troppo avanzato per questo sito, a quando pare. XD
Comunque, quando ho pubblicato, ancora non esisteva il modo di modificare il testo, e quindi non ho potuto rimediare.
Ma ora tutto a posto.
Grazie ancora.
Un bacione,
Suze.
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sweetcurry - Voto: 21/07/08 00:41
Ehi! Ma cosa sn tutti quei segni e codici strani??? Io comunque testarda come sono l'ho letta nonostante ci abbia mexo un eternità, e devo dire che è stupenda!!
Il mio personaggio preferito di HunterxHunter è assolutamente Killua e quando ho sentito della coppia GonKillu sono rimasta un po' disgustata...
Non so perchè,forse perchè vedo Killu troppo maturo per Gon... Tu mi hai aperto gli occhi! Adexo l'adoooro! letteralmente!
Come hai fatto capire tu, è Killua quello più ingenuo in fatto di sentimenti anche perchè la sua famiglia è molto introversa, se non dire indifferente. Gon al contrario prova molti tipi di sentimenti, dalla scomparsa del padre, per sua zia Mito, per i suoi amici e gli animali e... per KILLUA!!!

Ti devo ringraziare ora comincerò a venerare la coppia!!
Brava brava brava!!!
ps anche se finisce male, la trovo bellissima. non privilegio affatto l'Happy-ending.
E' molto malinconica...
Quando l'ho finita ho subito pensato che sarebbe perfetta come film. Ma uno di quei film malinconici, dove i dialoghi sono quasi nulli, e si dedica lo spazio al silenzio e ai sentimenti. Tipo festival di Cannes(se intendi il genere)...
Mi sono immaginata pure lo spot pubblicitario. Io lo andrei subito a vedere, sono la migliore amica della malinconia...

Ancora un bacione, e prova a risolvere il problema dei codici, così invogli di più alla lettura!

pps l'ho salvata nel miomanga.it!!!
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