...COSA? - Capitolo 1° -
Che cos'è. Cos'è che ti dà il potere di far questo. Riempirmi il diaframma di fango. Imboccarmi con cucchiaiate di amara ironia.
C'è qualcosa di strano in me, suppongo. C'è qualcosa di malato in questo mio senso del possesso. Non ci sono diritti basati su patti passati, nè promesse basate su prospettive future. Ti amo, ma non come uomo. Ti amerei allo stesso modo se tu fossi una donna.
Ti ho incontrato per la prima volta quando avevi nove anni. Portavi un cappellino di lana scozzese, coi paraorecchi. Eri buffo. Non riuscivo a decidere di che colore fossero i tuoi occhi, se marroni, azzurri o verdi. Sembrava mutassero di giorno in giorno, al ritmo del tuo umore.
Era dicembre. Andavamo ancora a catechismo, io e te, le nostre abitudini si posavano su quelle delle rispettive famiglie, come strati di fango, uno sull'altro, che si sedimentano nascondendo il precendente. Andavamo a catechismo, allora, ben lontani dal manifestare dubbi e idee rivoluzionarie, ben lontani dal creare una nostra propria filosofia, una nostra propria religione. Tu avevi nove anni, io stavo per compierne undici. Ci incontrammo a quella recita. Decisi all'istante che dovevi essere mio, in quel modo un po' infantile e scapestrato con cui i bambini trovano nuove simpatie. Vidi presto che la mia non era una cotta. Ti amavo con l'amore che si prova per un fratello. Presi a cercarti. Tua madre era molto religiosa, persino bigotta. Presi a venire in chiesa continuamente. Messe, rosari, vespri, processioni, oratori. Passai estati intere con te a giocare. Ci corteggiavamo col codice infantile della presa in giro.
Compii quindici anni. Un ragazzo della mia età voleva frequentarmi. Ero confusa. Mi piaceva, ma amavo mille volte di più stare con te. Mi riempivi di una tale gioia. Il mio corpo era un'ampolla dalla grande pancia cava, e tu lasciavi sgorgare nel me-contenitore, nel me-ragazzina, un liquido denso e ambrato, senza temperatura, insapore. Ero piena, con te. Amavo la tua magrezza scarna, gli occhi prima spalancati nella dolcezza, poi stretti nella curiosità, ghiacciati nella rabbia e nell'insolenza. Amavo la tua ironia cattiva, già cattiva alla tua tenera età. Un momento venivi a cercarmi, il momento dopo mi riversavi addosso il tuo odio. Avevo imparato a capire che la tua rabbia non era diretta a me, ma al mondo intero. Sebbene tu fossi capace di riempirmi di malessere coi tuoi malumori-tempesta, avevo imparato a camminarti a fianco in silenzio, aspettando che tu avessi finito di riversare in me la tua rabbia contro il mondo. Ma io avevo quindici anni, e tu ne avevi tredici. Io frequentavo le superiori, e avevo un ragazzo che mi reclamava. Tu giocavi e disegnavi, ed eri ancora un bambino. Mi chiesi quando saresti stato abbastanza grande perchè la differenza d'età non si sentisse. Pensai, ingenuamente, che quando tu avessi compiuto diciotto anni, e io ne avessi avuti venti, saremmo stati abbastanza simili.
Continuavamo a vederci a tratti, a sentirci. A sedici anni conobbi un altro ragazzo, e mi misi assieme a lui. Quella sera, tu ti arrabbiasti. Ti vidi nervoso, geloso in un modo dolcemente infantile. Continuavo ad esultare nel sentirti. Mi dicevo di amarti come un fratellino. Quando eri piccolo, le altre bambine ti gurdavano. Ora mi avevi superato in altezza, e le ragazze più grandi di te facevano a gara per averti. Tu le baciavi tutte, ma non ne amavi nessuna. Ti domandavi perchè non riuscivi a provare affetto per nessuna di loro. A diciassette anni, una mia amica che frequentava la tua scuola mi disse che ti eri fidanzato. Mi sentii tradita. Non gelosa. Sentivo di non essere stata con te in un momento importante della tua vita. Avrei voluto vederla insieme a te, sentirti dire che era simpatica, che era carina. Guardarvi mentre vi conoscevate. Ma io non c'ero. Tu eri molto reticente circa questo argomento, parlavi poco di lei.
Poi hai compiuto diciotto anni. Al tuo compleanno, sono venuta col mio ragazzo, pensando ancora a te come al mio piccolo fratello. Qualcosa nel mio inconscio è scattato. Una parte di me si ricordava cosa mi ero promessa a quindici anni. Era buffo, una specie di favola, come la strega della Bella addormentata nel bosco, che promette di cercarla quando la principessa avrà sedici anni, e tutti cercano di proteggerla, ma una promessa è una promessa. Mi hai colpita. Come se solo in quel momento mi accorgessi nuovamente di ciò che eri. Ora eri alto un mentro e ottanta, il tuo viso era punto da una barba scura e corta. I tuoi occhi castano-verdi erano quelli di sempre, ma più impenetrabili, come se ora tu fossi più restio a farti conoscere dagli altri. La tua magrezza fiabesca diventava un pregio, la esibivi in quel tuo stile un po' dandy e un po' trasandato, i tuoi capelli erano cresciuti e il tuo tono di voce basso e calmo, vibrante, quasi spento.
Il tuo diciottesimo compleanno. Ti ho abbracciato, prima di andar via, e quel contatto ti ha imbarazzato. Ho percepito il tuo corpo irrigidirsi, e non sapermi rispondere. Qualche tempo prima eri venuto in discoteca con noi, e mi ero stupita del tuo adorabile pudore, del tuo spaesato stupore per l'altezza dei nostri tacchi, della tua tenera vergogna quando parlavamo fra noi di sesso. Sembravi piovuto da un altro mondo, eppure, mi dicevo, sta con quella ragazza da anni, eppure, mi dicevo, lei deve pur avergli insegnato qualcosa.
Ma poi, dopo il tuo compleanno, ho ricominciato a pensarti. La notte parlavo con te tramite il computer, mi parlavi dei viaggi che volevi fare, del tuo lavoro, e di lei, che era strana, pazza, a sentir te. Un giorno mi hai chiesto di venirti a sentire suonare in un locale. Dovevo passare dalla tua scuola per comprare le prevendite. Mi sono vestita con cura, truccata con cura. Quando sono arrivata mi hai sorriso, hai detto: "Come sei universitaria!" La tua compagnia mi aveva invaso di un tale piacere, da impedirmi di tornare a casa. Dovevo parlare di te con qualcuno. Ma non c'era nessuno a cui potessi spiegarlo. Nessuno a cui potessi spiegare quanto avessi bisogno di sentirti, di vederti, a cui spiegare che non ti desideravo fisicamente, che non ti desideravo come uomo, e che tuttavia ero morbosamente attaccata a te, che ti volevo mio, solo mio, che volevo guardare tutte le ragazze che passavano per la tua strada, degnarle di un sorrisetto dall'alto, guardarle venire e passare, mentre io, io, rimanevo accanto a te per sempre. Le ragazze passano, pensavo. A me non basta essere di passaggio. A me non basta essere amata un'ora, un mese, un anno. Io voglio essere più di una donna, più di un'amica. Al concerto, mi hai stordita con la tua presenza. La tua bellezza femminea e virile al contempo mi ha fatta sentire inadeguata e orribile. Non volevo tornare a casa. Bevevo gli attimi in cui passavi a salutarci. Ti vedevo fondamentalmente solo.
Cominciasti ad essere più freddo. Conoscevo sempre meno la tua vita di giovane uomo. Avevo bisogno di parlare di te con qualcuno che potesse comprendere il mio stato d'animo. Finii sul blog della tua ragazza, con la quale, a tratti, non stavi più insieme, forse la vedevi solo per sesso, non era chiaro nè a te nè a lei. Lessi cose orribili sul tuo conto ed ebbi bisogno di scriverle. Le dissi solo che mi dispiaceva, che tu eri dolce, ma immaturo. Ancora avevi quelle crisi di rabbia con cui dilaniavi le persone che ti amano. Lei si arrabbiò per la mia indiscrezione. Mi credeva una delle tante ragazzine che si invaghivano della tua bellezza nei corridoi della scuola, io, che ti avevo conosciuto quando ancora eri un bambino che cantava salmi e leggeva fumetti. Le risposi parlandole di te, della tua rabbia che faceva male, che entrava nel midollo ed annebbiava il cervello. Fu stupita. Disse che nessuno, a parte lei stessa, aveva mai conosciuto quella parte di te. Volle darmi il suo contatto. Da quello che le dicevo, pensava ti amassi, magari in maniera platonica, ma troppo ossessiva e compita per essere l'amore di un'amica. Mi propose di incontrarci. Lo facemmo di nascosto, tu odiavi che lei uscisse con le persone che conoscevi. Ci facemmo del male a vicenda. Lei era gelosa del te stesso bambino che io conoscevo, dell'infanzia che lei non aveva condiviso con te; io ero gelosa del te stesso adulto, che lei conosceva e aveva inziato all'amore. Era così diversa da come l'avevo immaginata in tutti quegli anni. Eravamo totalmente sbagliate insieme, inconciliabili. Non ci piacemmo. Ci incontrammo ancora per caso. Lei mi studiò. Si sedette a pochi centimetri da me e, guardandomi negli occhi, mi raccontò di te, delle donne che avevi avuto, del sesso. Mentre mi parlava, studiava con la precisione di uno scienziato ogni mio battito di ciglia, ogni mia espressione; soppesava il tono delle mie risposte, controllava le frasi che mi facevano abbassare lo sguardo, esultava, quando notava un mio imbarazzo, o quello che riteneva un moto di gelosia. Mi sentii male. Sperai di non rivederla.
Ora sei strano. Le ultime due volte che ti ho incontrato, eri un uomo. Il tuo sguardo è cambiato. Cogli nei miei saluti sottotesti a me sconosciuti, che ti innervosiscono. Il mio senso di possesso mi scuote e mi strazia. Ti voglio solo mio, per tutta la vita. Ti voglio guardare mentre frequenti amici, amiche e amanti, non sono gelosa di chi ami. Ma voglio essere l'unica veramente importante. Voglio essere l'unica ad esserci sempre. Voglio essere l'unica che non può essere lasciata. Non sono attratta da te. Non voglio essere la tua donna. Sarebbe troppo effimero. Non mi basta. Il tuo rifiuto mi dilania, ti odio, ti odio perchè so di non aver nessun diritto su di te, ti odio perchè ti ostini a non capire quanto, quanto orribilmente ho bisogno di sapere di essere fondamentale per te. Ti odio per la tua irrequietezza che non mi include. Se tu fossi una donna, ti amerei nello stesso modo odioso. Non è, il mio, l'amore di una donna nei confronti di un uomo. è la tua persona, la tua essenza che bramo, a prescindere dal fatto che tu sia nato maschio. Questo è casuale. La tua anima non lo è. Mi distrugge, la tua indifferenza.
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Ho postato tutto questo per avere un parere. Il parere di altre persone. Vi chiedo un nome per battezzare il mio bisogno. Sono troppo assetata, troppo obnubilata, per chiamare il mio amore di amica. Sono troppo indifferente al sesso e ad una relazione, per chiamare il mio amore di donna. Mi porto dietro questa assurdità da nove anni. Vorrei un parere. Vorrei capire cosa diavolo mi succede. Grazie. |
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Da quanto ho letto mi pare che questa persona la ami più per ciò che ella è dentro che fuori.
NN so s t sb stato di grande aiuto..
Ma questa è solo una mia opinione, non sono certo una psicologa o quant'altro ^^'''