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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: ANGE
Genere: Romantico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, Shounen Ai
Autore: tiluvien galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 20/06/2008 09:02:58

è una piccola loveStory ambientata in un ipotetico medioevo feudale... è tutto frutto della mia immaginazione, spero che piaccia almeno un pochino...
 
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- Capitolo 1° -

ANGE
Ange era seduto nella biblioteca del palazzo: studiava un antico volume che trattava di pratiche magico - curative, partendo dalle virtù dei vegetali. Era talmente concentrato da non considerare neanche più il fastidioso riverbero luminoso di un raggio di sole che si rifletteva sui suoi occhiali. Non si accorse nemmeno che nei corridoi serpeggiava l’agitazione dei servi, e quando uno di essi entrò nella sala sbattendo la porta, sobbalzò colto di sorpresa.
“Messer Ange, maestro, il conte richiede urgentemente la vostra presenza nella sala delle udienze!”
Ange si alzò controvoglia, ma non poteva opporsi agli ordini dell’uomo che lo aveva cresciuto come un figlio. Era stato abbandonato in una cesta appena nato, e la contessa lo aveva trovato passeggiando lungo le rive sabbiose del lago. Lei lo aveva salvato, portandolo a corte, ed il marito, mosso a commozione e incantato da quel piccolo visino armonioso circondato da ciocche bionde, le aveva permesso di educarlo insieme al loro ultimogenito, Henri Philippe, suo coetaneo, e lo aveva battezzato Ange, perché era apparso nelle loro vite inaspettatamente come un angelo. Lo avevano amato entrambi come se fosse un erede legittimo della contea, al pari dei loro cinque figli, ma non avevano potuto concedergli il privilegio del blasone Du Lac.
Non gli importava, tanto era amato e rispettato da tutti.
Quello che odiava veramente era essere stato costretto ad una vita di studi forzati dalla contessa che lo avrebbe voluto con sé per tutta la vita. I suoi figli, infatti, avevano il loro destino di nobili da seguire: il primo, Guillaume Du Lac, avrebbe ereditato la contea, ed ora era lontano, impegnato in qualche battaglia al confine. Il secondo, Philippe Antoine, aveva iniziato una brillante carriera militare e sarebbe diventato un importante ufficiale dell’esercito a servizio del fratello. Thomas aveva scelto la carriera ecclesiastica, e con tutti i soldi che il conte aveva lasciato in donazioni, era stato nominato cardinale, ed ora era tornato dal vaticano dopo l’investitura e provvisoriamente dimorava in un monastero vicino al confine. La sua gemella Marie Henriette era stata promessa sposa al figlio del conte confinante, Nicolas De La HauteChevre, e presto avrebbe abbandonato la casa paterna per quella coniugale. Henri Philippe, infine, appena ventenne sembrava voler ricalcare le orme militaresche dei fratelli, anche se aveva preteso di avere un maestro d’armi personale al castello, invece che mischiarsi ai soldati comuni figli di borghesi in accademia, scelta comprensibile per un nobile di sangue.
Camminando per i corridoi che lo separavano dalla sala delle udienze, Ange rifletteva sulla convocazione improvvisa. Durante i suoi vent’anni di vita non ne aveva mai ricevuta una, dato che non aveva mai combinato nulla di grave, dedicandosi anima e corpo ai libri. Si domandava cosa era accaduto per turbare quella tranquillità apparente e fremeva: in cuor suo sperava che finalmente anche lui avrebbe potuto viaggiare e conoscere il mondo al di fuori delle mura domestiche che considerava come una prigione.
Era così assorto in tali ragionamenti da non accorgersi che un ragazzo stava fermo in piedi davanti alla porta della sala del trono, e gli sbatté contro.
“Cosa fai lì impalato?” domandò, irritato per aver infranto il flusso dei suoi pensieri, credendo di avere a che fare con un servo incapace.
Il ragazzo si girò, e Ange si ritrovò due iridi corvine piantate nello smeraldo delle sue.
“Henri?!” esclamò riconoscendo il minore dei figli del conte “Che ci fai qui?”
“Sono stato convocato, esattamente come te” rispose quello acidamente, aggiungendo “comunque, sarei io a dover dire a te di guardare dove metti i piedi. Non posso certo portarti in braccio.”
Ange stava per ribattere, come sempre. Non era mai stato in buoni rapporti col fratellastro se non da bambini, quando erano soliti giocare insieme e scappare di nascosto nel giardino del castello facendo finta di essere dei cavalieri in missione per sconfiggere pericolosi draghi, ma le loro strade si erano separate appena compiuti i dieci anni. Non fece in tempo a dire nulla perché la porta si aprì, e i due entrarono per scoprire cosa il destino aveva in serbo per loro.
* * *
Una carrozza si apprestava ad uscire dal castello. Trainata da purosangue dal manto niveo, riccamente decorata con inserti che brillavano come oro ai raggi solari di quella fresca mattinata, era pronta a sfidare la strada. Era circondata da un gruppo di uomini a cavallo capeggiati da due ragazzi giovani e di sangue nobile, elegantissimi negli abiti e nel portamento, con vistose spade dall’elsa finemente istoriata che dondolavano sui loro fianchi.
La ragazza all’interno della carrozza diede il segnale, e la compagnia partì.
I due giovani sembravano l’uno l’antitesi dell’altro: un bellissimo moro, magro ma muscoloso, abituato ad usare le armi, su un cavallo bianchissimo, ed un esile biondino dagli occhi smeraldo su un destriero scurissimo. Non si parlavano, non si guardavano nemmeno, ognuno chiuso nel proprio orgoglio.
“Ange! Henri!” chiamò una melodiosa voce dall’interno dell’abitacolo ed i due si avvicinarono alla giovane sfarzosamente vestita, seduta sul velluto rosso che foderava i sedili sporgendo il volto dal finestrino.
“Marie, che c’è? Siamo appena partiti…” sbuffò il moro, ed Ange ribattè “Henri, insomma, potresti anche essere più comprensivo. Tua sorella si sta per sposare...”
“E allora? È per colpa sua se devo sopportare la tua presenza durante tutto questo viaggio!”
Fra i due sarebbe certo nata un’ennesima lite se la ragazza non si fosse prontamente intromessa “Smettetela subito di fare i bambini! Ho voluto che foste voi due a scortarmi dal mio futuro marito per vari motivi, e sono contenta che nostro padre l’abbia permesso... va bene, va bene, non fate quelle facce! Se vi fa stare meglio dirò che ieri ve l’ha ordinato! Comunque, innanzi tutto serviva qualcuno della famiglia come ambasciatore per sancire l’accordo di pace fra le due contee, senza contare che non volevo essere sola il giorno delle nozze… Inoltre vi voglio molto bene, fratellini! Non potevo sopportare di andarmene senza aver trascorso con voi un po’ di tempo come facevamo quando eravamo piccoli! E poi… vabbè, l’altro motivo lo sapete meglio di me, vero?” aggiunse con un’espressione insolitamente maliziosa.
Fu tutto inutile, nonostante le insistenze dei due giovani, per la prima volta coalizzati verso lo stesso obiettivo, dalla bocca di Marie non uscì altro.
* * *
Il viaggio procedeva tranquillo, avevano stimato di arrivare a destinazione in una decina di giorni, ma se continuavano a quel passo, ci avrebbero messo anche meno.
Si erano fermati al monastero per salutare Thomas che aveva dato la sua benedizione alla futura sposa, ed erano ripartiti dopo aver trascorso la notte nelle umili celle.
L’unica cosa che poteva rallentare la marcia era il fatto che la deviazione al monastero li costringeva ad addentrarsi in una pericolosa terra di nessuno fra le due contee, una valle stretta e lunga circondata da ripide pareti rocciose, dove si riteneva che si nascondessero i rinomati feroci banditi, famosi per il loro odio verso tutti i nobili, ai quali tagliavano la testa se venivano catturati. Molte volte i corpi così mutilati venivano fatti recapitare alle famiglie, sotto il blasone nobiliare, ma le teste venivano tenute da loro come trofei e nessuna era stata mai ritrovata.
Marie fantasticava romanticamente. Cinguettava sognante parlando col fratello e con Ange, che si erano avvicinati alla carrozza con le cavalcature, e finalmente riuscivano a restare pacificamente uno a fianco all’altro.
“Pensate come sarebbe bello!” stava spiegando la ragazza “un rude bandito, un ragazzo alto, moro, muscoloso… costretto a quella vita da gravi motivi, tormentato interiormente, che assalta la carrozza e mi rapisce sperando in un lauto riscatto… ma appena mi guarda negli occhi scatta la scintilla, e tutto si ferma: ci innamoriamo in quell’istante, lui capisce che io sono la persona che lo redimerà e io sono completamente persa nel suo sguardo… poi ci baciamo intensamente, lui mi prende con forza e mi fa montare sul suo cavallo e scappiamo insieme, verso una nuova vita…”
“Smettila di sognare ad occhi aperti!” la redarguì il fratello “torna alla realtà: è molto più facile che quel tormentato bandito romantico ti faccia violentare da tutta la banda prima di tagliarti la testa.”
“Ma Henri!” sbottò lei, subito coadiuvata da Ange che disse “Già, Henri, che problema c’è se immagina un po’? non ha mai fatto male a nessuno inventare un mondo più bello di quello reale per un po’… Da quando sei diventato così cinico? Mi ricordo che, da piccoli, anche tu sognavi di diventare un eroe uccidendo draghi…”
“Cosa ne puoi sapere tu?” gridò irritato il moro “tu che te ne stai beato nella tua torre d’avorio, coi tuoi libri, senza mai uscire! Cosa ne sai di quant’è dura la vita nel mondo reale? Sempre con la spada impugnata, anche in periodi di pace, perché se non c’è proprio nessuno da uccidere devi allenarti fino allo sfinimento!”
“E tu credi che a me piaccia essere rinchiuso in quelle quattro mura? Io non ne posso più di studiare! Brucerei tutti quanti i codici, pur di scappare da lì! Ma la contessa mi tiene al guinzaglio. Non sai cosa darei per poter far scambio di vita con te solo per un giorno!” urlò Ange, esasperato dal comportamento ostile del giovane conte.
I due si guardarono in cagnesco, ma fra loro calò il silenzio. Si erano ormai rinfacciati tutto quello che avevano dentro, ma l’orgoglio impediva loro di capirsi e di conciliarsi.
Si allontanarono. Ange andò nelle retroguardie, pensieroso e triste, mentre Henri si gettò al galoppo in testa alla carovana, spronando il destriero per sentire il vento fra i capelli e per sfogare la rabbia, chiuso in un ostinato mutismo.
* * *
Cavalcarono fino a sera, quando decisero che sarebbe stato troppo rischioso avventurarsi nella valle dei banditi con il buio, perciò montarono l’accampamento prima dell’imbocco, dove una radura fiancheggiata da un fiumiciattolo permetteva loro di piantare le tende senza problemi.
Marie si lamentava un po’ della scomodità della sistemazione, ma era felice di poter dormire sola coi fratelli, cosa che non faceva più da anni. Inoltre l’aria frizzante della sera richiamava proprio quelle volte in cui da piccoli si rintanavano nel parco a giocare, assaporando un pizzico di libertà. Colse al volo l’occasione, sperava di riportare la pace fra i due ragazzi, così li coinvolse entrambi in uno di quei giochi infantili che avevano tanto amato e, sorprendentemente, entrambi accettarono di buon grado.
Si rincorsero, risero, si presero, si stancarono, ed infine caddero esausti sul prato sorridendo felici.
“Era da tantissimo che non mi divertivo in questo modo!” sospirò Henri
“Hai proprio ragione, Hefi” ribattè con un filo di voce Ange, e Marie, vedendo lo strano gioco di sguardi fra i due, decise di lasciarli soli, così si alzò e con la scusa della stanchezza si ritirò nella tenda. Li spiò fino a tardi, curiosa e speranzosa.
“Come mi hai chiamato?” sbottò il moro mentre la sorella si allontanava, sollevando un po’ il busto per guardare meglio l’altro.
Ange si ritrovò faccia a faccia col giovane e non potè fare a meno di arrossire: aveva da sempre avuto un debole per lui, un sentimento che andava ben oltre l’amicizia o la fratellanza, ed ora che si era fatto un ragazzo così sensuale, ritrovarselo a pochi centimetri dal viso gli suscitava molto imbarazzo…
Lo fissò. Non era particolarmente bello, soprattutto per il naso aquilino, ma aveva un grande fascino e si sentiva più che mai attratto da lui, contro ogni logica, contro ogni principio, contro natura.
Stava male al pensiero che lui lo disprezzasse per via della vita di studi che era costretto a fare, ma era meglio così, in fondo in tal modo non avrebbe dovuto rivelargli i propri sentimenti. Molte volte l’aveva spiato dalle finestre della biblioteca mentre col maestro d’armi si allenava in cortile: aveva osservato i muscoli del suo bellissimo corpo abbronzato tendersi per lo sforzo e poi rilassarsi, con le gocce di sudore che imperlavano le sue membra che brillavano al sole, ed aveva desiderato inebriarsi di lui. Ma sapeva che tutto ciò era impossibile. Tanto più che erano stati cresciuti come fratelli.
Con la voce rotta dall’imbarazzo, e con lo sguardo abbassato per coprire il rossore dipinto sulle sue gote, si decise a rispondere “Hefi… ti ricordi? Da piccolo non riuscivo a dire il tuo nome per intero, Henri Philippe, così ti chiamavo Hefi… Ora, giocando proprio come allora, mi è venuto spontaneo… ma se ti infastidisce, non userò più quel soprannome…”
“Sai Ange” iniziò il moro, che sollevò il volto dell’altro per far sì che i loro sguardi si unissero, sfiorandogli la guancia con una carezza leggera che provocò al biondino una cascata di brividi “Adoravo quel soprannome. Mi teneva legato a te…”
Un alito di vento s’insinuò fra di loro, muovendo le ciocche dei loro capelli, ed Ange ebbe un fremito per il freddo. Il moro se ne accorse, e dolcemente sciolse il legaccio del proprio mantello per metterlo sulle spalle dell’amico che abbassò nuovamente lo sguardo, sentendosi fragile e indifeso come una donnicciola.
“Sai perché in questi anni mi sono comportato freddamente con te?” iniziò Henri, intrecciando le dita con quelle diafane del biondino, in una stretta delicata “Ora te lo spiego. Non sopportavo l’idea di essere separato da te. Ti sembrerà strano, innaturale forse, ma io avrei voluto continuare a studiare insieme a te, in quella biblioteca… Ti confido un segreto: quando mi alleno, sbircio sempre con la coda dell’occhio verso quella finestra per vederti, e mi distraggo, così sbaglio e il maestro mi rimprovera. Io non volevo diventare un soldato, sono stato costretto da mio padre, perché lui ha capito subito quali erano i miei sentimenti per te, e mi ha obbligato alla carriera militare per diventare un ‘vero uomo’.”
Le ultime parole erano velate di disprezzo, ma Henri doveva continuare il suo discorso. Se si fosse fermato avrebbe perso il coraggio, così, continuando a stringere la mano di Ange nella sua, continuò “Odio questa vita, e la odio soprattutto perché mi fa stare lontano da te… Ma dall’alto di quella finestra, mi sembrava che a te non importasse nulla del tempo che avevamo trascorso insieme da piccoli, eri troppo concentrato su quei libri per accorgerti di me”
Ange rialzò lo sguardo per incontrare le iridi nere dell’altro, profonde come polle d’acqua tranquilla in una notte senza luna, incorniciate da un diffuso rossore sulle gote abbronzate.
“Ma cosa dici? Io ero a quella finestra solo per poterti vedere, almeno da lontano! Non ho mai smesso di pensare a te!”
“Solo ora me ne rendo conto. E mi voglio scusare con te, perché non l’avevo capito. Io credevo che a te stesse bene quella distanza fra di noi, e stavo malissimo al solo pensiero. Ecco perché mi comportavo freddamente nei tuoi confronti! Mi dispiace… Sai cosa mi ha fatto aprire gli occhi? Quel soprannome. Già, tu mi hai chiamato dolcemente Hefi, come allora, ed ho capito che per te sono ancora importante. E non mi interessa più cosa può accadere, ma voglio confessarti che io non potrei vivere in un mondo dove non ci sei… perché sei nel mio cuore, in profondità. Sei la mia anima, Ange”
Ange era stupito. Cosa rappresentava quella confessione? Si sentiva tremendamente confuso, aveva paura di sperare perché se fraintendeva le parole di Henri poteva rimetterci tutto, poteva perdere per sempre l’affetto della persona che amava.
Imbambolato in questi pensieri, rimase rigido come una roccia quando il moro si avvicinò per sussurrargli all’orecchio “Non smettere mai di chiamarmi Hefi. Sei il mio angelo, e lo resterai qualunque cosa accada. Ti chiedo già scusa, ma devo almeno provarci…”
Il moro prese l’iniziativa, d’impulso, così in un magico istante le loro labbra si sfiorarono delicatamente, lasciando Ange senza parole: non poteva desiderare di più! Era come se il cielo avesse deciso di far avverare il suo desiderio più nascosto, dimenticando che il loro era un amore eretico per la società in cui vivevano. Non ricambiò quel bacio solo per lo stupore che l’aveva bloccato incredulo, ma Hefi fraintese.
“Non ti darò più fastidio” sussurrò alzandosi con lo sguardo basso e triste rivolto altrove, senza avere il coraggio di affrontare Ange un’altra volta. Gli voltò le spalle, per andarsene.
“Hefi…” solo il suo nome. Si sentì trattenere per la camicia e si voltò. Nel giro di un attimo si ritrovò sdraiato sull’erba, imprigionato dal corpo del suo angelo a cavalcioni sopra di lui.
“Ange? Ma che…?”
Non ebbe il tempo di dire altro perché il biondino, nella foga della passione, gli tappò la bocca con un bacio. Per la prima volta si esploravano con i sensi, assaggiavano l’uno il sapore dell’altro, insistendo con foga e desiderio sulle reciproche labbra e nelle reciproche bocche. Era come se le loro anime stessero iniziando ad unirsi profondamente in quell’intimo contatto.
Ma i baci non durano per sempre. Sopraffatti dalla necessità di respirare, si staccarono ansanti, e rimasero abbracciati a lungo, sdraiati su quel prato. Osservavano le stelle, felici e tranquilli, e Hefi notò una cometa.
“Dai, esprimi un desiderio!” lo esortò Ange
“Non ho nulla da chiedere al cielo. Tutto ciò che desidero è stare con te. Giurami che non mi lascerai più, anche se dovrai disubbidire a mia madre. Promettimi che starai per sempre con me, perché ti amo così tanto che non sopporterei più di essere separato da te… ne morirei!”
A quella dichiarazione così spontanea, così fragile, Ange non seppe resistere. Sorrise, e come risposta il moro ebbe un bacio.
“Per me tu sarai sempre il mio Hefi. Ti amo…”
Rimasero abbracciati tutta la notte, fino al mattino, cullati dai reciproci respiri nella magia della notte, circondati dall’amore e dalle lucciole.
Da lontano, Marie li aveva spiati. Non poteva credere ai propri occhi: Ange ed Henri che si scambiavano effusioni d’amore. Non poteva sperare di meglio! Erano più romantici del suo sogno ad occhi aperti del bandito innamorato… Da tanto tempo aveva capito che fra quei due c’era qualcosa di più dell’amicizia, così come lo aveva capito sua madre, che per questo aveva deciso di separarli col consenso del marito. Ma Marie era felice che ora si fossero dichiarati, il loro amore aveva saputo resistere alla lontananza e alle cattiverie della contessa, era più forte di qualunque altra cosa. Tuttavia la ragazza era consapevole del fatto che la loro relazione non avrebbe potuto avere futuro, sia perché omosessuale, sia perché incestuosa… anche se in effetti Ange non aveva nessun legame di sangue con lei e Hefi. Non importava, lei li avrebbe aiutati in qualunque modo pur di vederli felici. Avrebbe sfidato il mondo e le sue leggi, ma doveva fare in modo che la loro relazione non sarebbe stata ostacolata. Ci avrebbe pensato lei a difenderli dalla società.
* * *
Il viaggio verso la contea di HauteChevre proseguì tranquillo dato che i banditi decisero di non palesarsi, e la compagnia raggiunse il castello in pochi giorni.
Le nozze furono sfarzose, e Marie era radiosa. Formava davvero una bella coppia insieme al marito, che sembrava davvero innamorato di lei. Era un ragazzo di poco più grande di lei,muscoloso e allenato, dai bei capelli castani, ed aveva anche un ottimo carattere.
Marie gli aveva posto solo una condizione per il matrimonio, e lo aveva fatto in gran segreto: doveva liberare dalle prigioni il capo dei banditi della montagna facendola sembrare un’evasione, e doveva giustiziare due criminali della stessa corporatura di Ange ed Hefi. Al ragazzo era sembrata una cosa un po’ strana, ma per amore aveva accettato.
Non sapeva che lei poi aveva stretto un accordo col bandito, promettendogli di non organizzare più missioni per catturare e uccidere lui e la sua banda. Aveva infranto le leggi, e lo aveva fatto solo per garantire la felicità dei suoi due fratelli. Li aveva messi al corrente di tutto: li avrebbe fatti soggiornare nel castello fino a quando i banditi non si fossero organizzati, poi sarebbero ripartiti. Arrivati alla gola dove questi si nascondevano, sarebbe stato inscenato un tranello per trarre in inganno tutti quanti, così loro avrebbero potuto scappare e vivere insieme, lontano da quel mondo, la loro relazione.
All’inizio, i due si erano opposti, ma col passare dei giorni il loro amore si rafforzava sempre più e cominciarono a vedere nell’arguzia di Marie l’unica soluzione possibile per essere liberi.
Trascorrevano le lunghe giornate separati, Hefi allenandosi col genero ed Ange studiando preziosi e rari libri nella biblioteca, ma durante le notti troppo brevi stavano insieme, e per la prima volta cementarono la loro unione anche fisicamente, fondendosi l’uno nell’altro anima e corpo e sentendosi una cosa sola. Niente e nessuno sarebbe stato capace di separarli ora che avevano raggiunto un così alto grado di comunione mentale, spirituale e fisica. Ciò che provavano l’uno per l’altro era un sentimento così bello, così grande, così puro che non riuscivano a capire perché la società lo disprezzasse tanto. Loro si limitavano ad essere uniti dall’amore.
Ma nulla dura in eterno, e venne il giorno in cui dovettero salutare Marie per tornare alla casa paterna. Partirono una mattina fredda, nonostante il sole alto nel cielo, circondati dagli uomini armati dei DuLac che avevano condiviso con loro il viaggio d’andata.
Sapevano che in pochi giorni avrebbero raggiunto la gola dei banditi, e speravano che il piano della sorella andasse a buon fine. Iniziarono dunque il viaggio di ritorno agitati e frementi, perché da quella messinscena dipendeva il resto delle loro vite.
* * *
La battaglia nella gola infuriava. Gli uomini DuLac erano nettamente in minoranza rispetto ai banditi che parevano combattere guidati dalla mano del demonio: sorprendentemente conoscevano ogni loro punto debole e anticipavano ogni loro mossa.
I soldati si stavano stringendo in cerchio attorno ai due nobili ragazzi, per difenderli anche a costo delle loro vite, ma quelli scoppiavano di energie ed Hefi si gettò con la spada sguainata all’inseguimento di un gruppo di furfanti lungo un sentiero che conduceva nel folto del bosco, seguito immediatamente da Ange.
I militari provarono a raggiungerli, ma i malviventi li circondarono, combattendo ferocemente e impedendo loro di abbandonare le proprie posizioni.
Nel frattempo, nel bosco, Hefi ed Ange avevano abbandonato le proprie cavalcature e si stavano spogliando: l’accordo con Marie e coi briganti prevedeva infatti che gli uomini DuLac li credessero morti, uccisi dai malviventi, e per far ciò dovevano far indossare gli abiti che avevano addosso ai due cadaveri decapitati che i criminali avevano provveduto a portare nel bosco.
Ange non era molto felice di dover indossare gli abiti di un cadavere, per di più di un balordo qualunque, e borbottava fra sé e sé, ma Hefi lo rassicurò “So che è un sacrificio, ma è l’unico modo che abbiamo per poter stare insieme. Non voglio, non posso perderti, ti amo troppo!”
Il biondino non sapeva mai come reagire a quelle dichiarazioni, si imbarazzava ogni volta, così, dopo aver sfiorato le labbra del moro con le sue con un gesto repentino, sospirò “Lo so... e sei tu quello che sta rinunciando ad un mondo di privilegi solo per me, per un amore eretico, e io sono fortunato ad essere amato da te. Spero di poterti fare felice almeno un po’…”
“Lo stai già facendo! Ma dobbiamo sbrigarci, o verrà scoperto l’inganno!”
I due vestirono i cadaveri velocemente, mentre indossavano gli abiti dei defunti malviventi, ed un brigante sgozzò una lepre per far sì che sembrasse che i corpi fossero stati decapitati da poco. Appena dato il segnale che tutto era stato compiuto, Ange ed Hefi montarono su due ronzini procurati loro dai criminali, dando l’addio ai loro nobili destrieri, e fuggirono insieme alla banda, finalmente felici, innamorati e liberi, pronti a condividere il resto delle loro vite l’un l’altro, ormai uniti indissolubilmente.
I soldati DuLac ci misero poco a trovare i due cadaveri, quando la masnada feroce fu abbastanza lontana, e li scambiarono per i due giovani. Senza le teste dovevano basarsi solo sull’abbigliamento.
I mesi seguenti furono segnati dal lutto nella contea, il dolore regnò sovrano, ed il conte inasprì le ricerche contro i banditi, senza l’aiuto militare del genero De La HauteChevre che mantenne la parola data a Marie, e nessuno dei malviventi fu mai trovato.
* * *
Ange era seduto a gambe incrociate davanti al fuoco in quella fresca sera. Hefi lo abbracciava da dietro, e lui si era lasciato completamente andare: la sua schiena a contatto col petto del moro, la testolina bionda poggiata sulla sua spalla, con lo sguardo assorto sulle fiamme, colmo di felicità.
Pier, il capo dei briganti, si avvicinò ai due. Ormai li aveva inseriti nella banda da settimane, erano bravi ragazzi e sapevano combattere, inoltre potevano suggerire molte strategie contro i nobili dato che lo erano stati. Sapeva che loro non lo avrebbero tradito, ma la diffidenza nei loro confronti tardava a venir meno e per questo erano spesso lasciati soli.
“Ragazzi” iniziò “Non vi ho mai chiesto nulla ed ho sempre fatto in modo che i miei uomini non si accanissero contro di voi, anche se non posso certo impedire loro di guardarvi con sospetto o di cercare risse con voi”
“Lo sappiamo, Pier e te ne siamo grati” lo interruppe Ange, rimanendo assorto e completamente abbandonato nell’abbraccio dell’amato, che annuì con un sorriso.
“Fatemi finire!” intimò l’uomo, abituato a non essere interrotto né contraddetto, con i suoi soliti modi rozzi e ineleganti, ma i due non vi fecero caso, né reagirono, perciò quello continuò “ A questo punto devo sapere perché avete scelto di tradire la vostra casata, il vostro blasone, per una vita da fuggiaschi e fuorilegge. Avevate tutto: soldi, privilegi, armi e donne. Non ha senso tale voltafaccia! Fra i miei uomini gira la voce che sia tutta una trappola, e che siate qui per spiarci e per consegnarci dritti nelle mani del boia”
“Pier” rispose Hefi con un tono severo ma calmo “Non siamo stati noi a chiedere di unirci a voi. Sei stato tu ad offrirci questa possibilità. Se ora non ci vuoi più, siamo pronti ad andarcene”
“No, non voglio questo. Mi servite: tu sai come tenere in mano un’arma e lo fai con una destrezza strabiliante. Nessuno dei miei è bravo quanto te! Invece tu, Ange se non ci fossi tu, che conosci le erbe, non saprei proprio come fare quando i miei vengono feriti! Ci serve un medico nella banda!” dopo un istante di silenzio, l’uomo aggiunse “Ho solo bisogno di capire”
“Vedi, Pier” iniziò il biondino, senza sciogliersi dalla stretta in cui lo imprigionava dolcemente il moro “Abbiamo tradito il nostro sangue nobiliare per amore. Ti sembra strano? Sai benissimo che io ed Hefi non siamo fratelli, siamo solo stati cresciuti insieme, dunque non c’è incesto. Siamo fuggiti perché io lo amo. E spero che lui ami me, dato che per me ha rinunciato alla sua vita nobiliare. Adesso non puoi lamentarti, hai chiesto tu di sapere la verità. Per te è cambiato qualcosa? Ti facciamo ribrezzo? A noi non interessa, perché ciò che conta per noi è stare insieme e continuare ad amarci. Non ci spaventa il mondo, non ci fa paura la società con la sua inquisizione, siamo disposti ad infrangere ogni regola ed ogni pregiudizio pur di continuare la nostra relazione. Come ti ha detto Hefi prima, noi possiamo andarcene anche subito”
Pier non sapeva cosa dire. Sapeva che i suoi uomini avevano origliato la conversazione, e non poteva rischiare una ribellione. A lui non importava se quei due stavano o no insieme, ma come avrebbero reagito gli altri?
La risposta venne da sé: da dietro le rocce, uscì la banda al completo. Un omone imponente, minaccioso prese la parola come portavoce e sembrava imbarazzato “Sentite, voi non ci state simpatici. Puzzate ancora troppo di nobiltà per i nostri gusti. Non avete paura di sporcarvi le mani, ma avete quell’atteggiamento irritante di falsa cortesia che ci fa venire voglia di prendervi a pugni. Tuttavia, se il capo dice che potete restare, noi siamo pronti ad accettarvi come compagni. Non ci interessa se vi piace sfogare i vostri istinti fra di voi, anzi, questo significa più donne per noi! In fondo tutti noi siamo derelitti, scarti della società, non fa differenza che voi lo siate in maniera diversa. Vi chiediamo solo una cosa: niente scenate da femminucce, niente frasi smielate, e soprattutto nessun atteggiamento equivoco di fronte a noi potremmo vomitare!”
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata. Smeraldi dentro abissi oscuri. La risata uscì spontanea, finalmente avevano trovato un posto da chiamare casa! Finalmente potevano essere liberi, con persone che non li giudicavano in base ai loro sentimenti reciproci!
Festeggiarono tutta notte, salutando definitivamente la nobiltà, la legge, la società, la religione, dimenticandosi perfino che nella contea DuLac vigeva ancora il lutto per la loro falsa morte.
Ange non poteva essere più felice, finalmente libero di amare, finalmente senza pregiudizi, finalmente completo con la sua metà.
In uno slancio incontrollabile, così lontano dalla freddezza con cui era solito comportarsi al castello fra i libri, si avvinghiò ad Hefi e lo baciò. Si baciarono a lungo, in verità, mentre i nuovi compagni li deridevano scherzosamente.
Erano briganti ora, semplici briganti.


 
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VOTO: (1 voto, 1 commento)
 
COMMENTI:
Trovato 1 commento
mayken - Voto: 17/10/08 22:10
interesante! carina! ambientazione ben riuscita! un salto nel tempo!invoglia alla lettura
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