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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Naruto
Titolo Fanfic: SCENES FROM THE NARCISSIST CAFÉ
Genere: Drammatico, Erotico, Dark, Introspettivo
Rating: Vietato Minori 18 anni
Avviso: OOC, AU, Lemon, Yaoi
Autore: rekishi galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 03/01/2008 13:31:36 (ultimo inserimento: 28/03/08)

«Mi piace.»«Ti piace, o è solo abitudine?»«Se una cosa diventa abitudine, è perché ci è gradita.»
 
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THIS UNIVERSE WE CANNOT CONTROL
- Capitolo 1° -

Dio. È un anno che non scrivo lemon e, come lo faccio, me ne esco con una cosa assurda.
Allora, tanto per precisare, i titoli sono tratti dalla LJ community, in ordine sparso.
Poi…gli avvisi.
Sasuke E’ maggiorenne: ha vent’anni suonati e non voglio sentire storie in merito.
La storia è…strana. Fondamentalmente si basa tutta su un rapporto strano col sesso da parte del protagonista. Non ho idea di come si svilupperà in seguito, né se sarà continuata.
AU e indiscutibilmente OOC, quindi il primo che viene a protestare viene automaticamente linciato: lo so che i caratteri non sono uguali agli originali, per quanto tenti di mantenerli il più possibile, e visto l’avviso, adesso lo sapete anche voi.

Il pairing.

[OroSasuOro] [ItaSasuIta (no lemon, ma solo accennato)] [SasuDei] [SasuNaru] [DeiSasoDei] FORSE [NaruSasu], e solo perchè non posso usare Kyuubi.

In ogni caso, sì: i personaggi sono gay. Sono reverse perché non ho voglia di stare a guardare la distinzione seme e uke tipica dello yaoi. Per una volta, voglio farli che se lo mettono in quel posto a vicenda.

Ergo, il linguaggio sarà terribilmente sboccato°-°.

Ora vi saluto e vi lascio alla storia.

Ah, dimenticavo le dediche.

Dedicata a:

Kodamy tou-san
Ross kaa-san
Mika nii-san


Insomma, alla famigliola Uchiha con cui ieri sono andata in pieno delirio OroSasu e che mi hanno fatto ritrovare l’ispirazione per le lemon.

A presto.




This Universe, we cannot control



Il battito del cuore continua a far rimbombare la sua lenta e ritmica percussione contro la cassa toracica.
Due mani, seguendo lenti e studiati movimenti, guidano le dita diafane a slacciare uno per uno i bottoni che chiudono i lembi della camicia candida; velo celatore di un altrettanto pallido torace.
Gli occhi famelici studiano quel languido spogliarsi: ogni gesto è compiuto con maestria, precisione e indubbia esperienza; tutte qualità che il ragazzo sa di possedere e non esita ad usare.
Lo sa anche l’uomo, che non riesce a distogliere lo sguardo; si concede il lusso di lasciarlo vagare sul giovane, d’assaporare con gli occhi quello che, presto, potrà gustare appieno con le carni.
Il collo si scopre; affusolato e perfetto come il torace tonico che, prontamente, lo segue.
Spalle larghe: il trapezio ben delineato e gli addominali che si contraggono lievemente nell’allargarsi delle braccia per sfilarsi l’indumento.
Con noncuranza, la lascia cadere: inutile pezzo di stoffa che ha svolto il suo compito; il suo sguardo lo segue nella caduta, esaminandolo con curiosa e indifferente attenzione.
Poi si scosta, calciandolo via dal piede su cui si è posato con movimento aggraziato. Non sembra notare l’uomo, ma sa che è lì al suo fianco; può percepire il suo respiro affannoso e, in quel momento, quasi gli diventa visibile l’erezione celata ancora dai pantaloni.
Ghigna, facendo apparire quella malevola smorfia come un sorriso malizioso: è bravo in questo: a fingere.
Lo ha sempre fatto e sempre continuerà a farlo: è un’abitudine che non ha intenzione di perdere.
Effettivamente, riflette, è utile.
Lascia che le dita scivolino lungo il bordo dei pantaloni; lascia che l’uomo anneghi nell’incertezza se quel giorno li toglierà o meno. Finora lo ha sempre fatto, ma sa che potrebbe arrivare il giorno in cui si rifiuterà di denudarsi e il suo corpo trema al pensiero di non poter più possedere quelle carni giovani e condiscendenti.
Poi i pantaloni calano e la paura dell’uomo sparisce.
Il ragazzo se li toglie con quella lentezza che prelude al languore; si china per sfilarli e li ripiega perfino, posandoli su una sedia.
Con la camicia non ha fatto lo stesso prima, ma ora la raccoglie e se la porta alle labbra, inspirando l’odore di agrumi che emana.
Riallaccia tutti i bottoni e la appoggia sulla stessa sedia dei pantaloni: un vecchio modello il cui schienale è intagliato con delicate decorazioni floreali. Storce appena il naso e si volta verso l’uomo.
Si è fatto impaziente.
Soppesa se è il caso di tirare ancora un poco la corda mentre fissa le dita che stringono frementi le coperte.
Di sicuro, ha resistenza. Un altro al suo posto si sarebbe masturbato.
Invece lui è lì, completamente vestito; non sa se perché attende che sia lui a compiergli quel servizio o, semplicemente, non vuole dargliela vinta.
Fatto sta che i pantaloni del completo gessato che indossa non riescono più a nascondere la voglia che, costretta nel rigido tessuto, preme per uscire.
Sorride. Un sorriso che sa di sicurezza e di soddisfazione. Gli piace sapere di essere lui a suscitare quella reazione; apprezza il potere che il suo corpo esercita sulle persone e, di questo, si compiace e appaga.
Con calma, si avvicina; ogni passo felpato fa sussultare l’uomo seduto sul letto sfatto di quello squallido albergo dove, di solito, si svolgono i loro amplessi.
Una pensioncina di periferia, nulla di pretenzioso. Scelta soltanto perché certi della pulizia delle stanze e della discrezione degli albergatori; i quali, in cambio di una lauta mancia che non mancavano mai di passar loro sotto banco, erano ben lieti di chiudere un occhio su un signore di mezz’età dall’aspetto distinto, accompagnato dal suo giovane amante.
Ragazzo che si siede a cavalcioni sopra le sue gambe; gli allaccia le braccia attorno al collo, preme una mano dietro la nuca, intrecciandola nei capelli soffici che, nonostante l’età, mantengono la loro corvina lucentezza, e porta le loro labbra a combaciare.
Non lo bacia; ne sfiora solo il contorno con la lingua. Tira leggermente indietro i suoi capelli, in modo da farlo staccare non appena tenta di approfondire.
Non gli piacciono i baci passionali. Non i suoi, almeno.
Con lui morde; azzanna il collo e inclina il proprio per lasciarsi dilaniare a sua volta; bruscamente, afferra la cravatta blu che cinge il collo dell’uomo.
La strattona, la slaccia; struscia il bacino contro la voglia turgida e, finalmente, la libera.
Compiaciuto, osserva il glande rosato e fremente; le labbra pallide si sollevano agli angoli in un quarto di sorriso che sa di fetente.
Le dita affusolate stringono l’erezione; può quasi sentire il sangue, pompato con forza dal cuore fino al basso ventre, scorrervi, rendendola dura.
Gli piace. Gli piace tenerla in mano, gli piace massaggiarla; gli piace sentire i gemiti che è in grado di provocare nell’uomo. Lo fanno star bene, come lo fa star bene il sesso in sé.
Gli piace anche condurre il gioco e l’uomo lo sa, come è consapevole che, alla fine, sarà il sedere sodo del ragazzo ad accogliere la sua voglia.
Non gli ha mai chiesto di fare il contrario.
In realtà, non gli ha mai chiesto niente: quello che vuole e desidera se lo prende. Punto e basta.
Allunga le mani per toccarlo. Gli permette di cingergli i fianchi; le dita, frenetiche, gli tolgono di malagrazia i boxer neri, mettendo a nudo il suo membro.
L’uomo sorride. Lo attira a sé e lo costringe a piegarsi sul letto. Nessuna protesta. Improvvisamente si è fatto docile e malleabile.
Lo esplora. Lascia le mani esperte a vagare sul torace glabro e tonico; carezza i fianchi fino a scivolare sul pube dove una sottile peluria scura funge da preludio al membro turgido del ragazzo.
È eccitato, ma si controlla. Come faccia, l’uomo non riesce a capirlo.
A vent’anni, dovrebbe essere pieno di ormoni, di voglia… Invece se ne resta lì, tra le lenzuola, a prendersi quelle carezze frenetiche e cariche di bisogno mal celato. Sorride, mellifluo e beffardo.
«Qualcosa non va?»
Chiede, con quella voce bassa che possiede sin da fanciullo.
L’uomo digrigna i denti, irritato; vuole vedere quel viso perdere, per un attimo, l’espressione trionfante e soddisfatta; vuole che gli chieda di prenderlo e non essere lui ad implorarlo, ancora una volta, di concedergli l’ingresso a quel corpo caldo e accogliente.
Lo costringe ad aprire le gambe che, docili, si schiudono sotto la lieve pressione esercitata dalle sue mani. Subito, la lingua dell’uomo stuzzica il prepuzio; carezza la punta, la mordicchia, ode dei piccoli mugugnanti suoni provenire dalle labbra del ragazzo.
Prende l’asta in bocca: è calda e il movimento lento del bacino segue il ritmo del suo movimento, lasciando trapelare la voglia del ragazzo.
Succhia, lecca e provoca, gustando appieno quel momento in cui è lui a giocare; attimo che non dura a lungo, perché si sente strattonare per la camicia che, ancora, indossa.
Un movimento brusco, violento: viene scaraventato sul letto e in breve il ragazzo gli è sopra. Non gli permette di finire di spogliarsi. Lo scruta con quei suoi occhi neri e indagatori e lo fa scivolare bruscamente dentro di sé, mordendosi appena il labbro inferiore.
L’uomo geme; i muscoli interni del ragazzo si contraggono mentre comincia a muoversi, assecondando le deboli spinte dell’amante che, a poco, a poco, si fanno più intense.
I corpi si stringono tra loro, ansimanti e sudati. Qualche gemito, urla strozzate e nomi masticati tra i denti, poi i fluidi si mischiano, i muscoli si rilassano e tutto è finito.

Sasuke Uchiha si rivestì più in fretta di quanto si era spogliato.
Appena terminato il rapporto con il suo amante, si era scrollato di dosso lenzuola e tutto e aveva infilato i jeans e la camicia. Frugando nella tasca della giacca, previdentemente appesa ad un attaccapanni tarlato, aveva riesumato un pacchetto di sigarette e un accendino.
Dritto alla finestra, si appoggiò al davanzale e si concesse una sottile dose di nicotina.
Lasciò vagare lo sguardo per la strada.
Poche persone lungo la via dinoccolata; una vecchia signora stendeva gli abiti appena lavati nel cortile della palazzina accanto, approfittando dei deboli raggi del pomeriggio invernale.
Orochimaru gli arrivò alle spalle; le braccia lo cinsero attorno alla vita, ma non diede alcun segno di essersene accorto. Si limitò ad inspirare un’altra boccata di fumo, prima di portare nuovamente il palmo a sostegno del capo.
«Fumi ancora quelle schifezze?»
Bisbigliò, scostando una ciocca di capelli scuri dall’orecchio del ventenne.
«Mi piace.»
«Ti piace, o è solo abitudine?»
Sasuke ghignò, rigirandosi nella stretta dell’uomo. Si portò nuovamente la sigaretta ormai finita alle labbra, per poi espirare.
La spense nel posacenere posato lì accanto; svariate cicche vi dimoravano; piccoli cadaveri post e pre sesso, semplici segnali dello squallore del luogo.
«Se una cosa diventa abitudine, è perché ci è gradita.»
Sussurrò con tono pacato. Non era sua consuetudine sprecare parole.
Lanciò un’occhiata distratta al paesaggio.
Il sole delle quattordici tinteggiava i palazzi di una luce viva, quasi bianca. In quella chiarezza, le crepe sembravano acquisire maggior risalto; un rampicante si era fatto arduamente strada lungo le pareti di cemento; piccola macchia verde in un mondo grigio.
«Devo andare.»
Si scostò bruscamente Orochimaru di dosso. Afferrò la giacca scura dal taglio inglese e la indossò.
«Prossimo incontro?»
«Mi farò sentire.»
Rispose. Ed uscì.


 
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