torna al menù Fanfic
torna indietro

MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: LA GRANDE QUERCIA
Genere: Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Avviso: AU
Autore: nocci galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 01/10/2007 20:32:28 (ultimo inserimento: 21/06/13)

storia di una mezzelfa
 
Condividi su FacebookCondividi per Email
Salva nei Preferiti
   
LA GRANDE QUERCIA
- Capitolo 1° -

Gli alberi della foresta erano inondati dalla luce del sole appena sorto che faceva risplendere le gocce di rugiada sulle foglie. Il sottobosco ancora buio era perforato qua e là da lame di luce che riuscivano a penetrare dalla spessa cappa verde dando vita a un gioco di ombre surreali.
La quiete fu bruscamente interrotta da qualcuno che avanzava correndo e spaventando ogni creatura al suo passaggio: era una Mezzelfa e i suoi tratti individuavano la sua appartenenza a quel popolo.
Aveva profondi occhi blu che alcune volte si rabbuiavano, come se delle nuvole si addensassero nei suoi pensieri, le orecchie erano appuntite, il naso e il mento affilati e i capelli scarmigliati color del mare in tempesta con riflessi blu e verdi le sfioravano appena le spalle. La sua corporatura era minuta, ma i vestiti, che le lasciavano braccia e gambe scoperte, rivelavano muscoli agili e scattanti.
La Mezzelfa, con il respiro affannato per la corsa, rallentò fino a fermarsi per guardare le alte piante che la circondavano facendola sembrare ancora più piccola e indifesa di quanto non fosse.
Cercò di ricordare le istruzioni che il vecchio Nano le aveva dato per arrivare fin nel cuore della foresta, alla Grande Quercia; correndo sbadatamente rischiava di perdersi e maledisse la sua impulsività.
Riprese a camminare, muovendosi agilmente e senza far rumore tra le felci che le arrivavano alla vita, ormai doveva essere vicina, sempre che l’amico non le avesse fatto uno dei suoi soliti scherzi, ma quando le aveva parlato della Grande Quercia, aveva assunto una strana espressione seria, solitamente estranea al suo viso barbuto e amichevole, sempre pronto ad aprirsi in un sorriso.
Le aveva confidato con aria grave e un po’ complice di un grande albero al centro della foresta, una quercia centenaria che produceva ghiande d’oro in grado di proteggere chiunque ne possedesse una, e lei, per dimostrare a tutto il suo villaggio e ai suoi genitori adottivi di non essere solo una buona a nulla scansafatiche e lunatica, voleva procurarsene una a tutti i costi.
Era l’unica che osasse avventurasi da sola nella foresta che tutti dicevano stregata, ma lei si sentiva a casa sotto le fronde di quegli alberi e forse era per quello che la guardavano con aria torva e mormoravano alle sue spalle; erano persino arrivati ad accusarla di aver stretto un patto con gli spiriti malefici che abitavano quella distesa verde.
Camminando perse il senso dell’orientamento e non fece più caso a dove andava; i piedi la portarono ai margini di una radura e il mormorio di un ruscello la fece tornare in sé: come al solito si era lasciata andare alle fantasticherie e si era persa. Ora per ritrovare la via del ritorno avrebbe dovuto arrampicarsi su uno di quegli alberi altissimi per orientarsi da lassù.
Dopo qualche attimo di disappunto, si concesse di guardarsi attorno: non aveva mai visto quel posto. Si trovava in uno slargo erboso privo di alberi, quindi riusciva a vedere il cielo e il prato di un verde brillante era illuminato dalla calda luce del sole. Di fronte a lei c’era un laghetto limpido alimentato da una cascata piuttosto alta; si avvicinò alla sponda, poteva vedere i ciottoli del fondo, si sedette sulla riva e iniziò a gettare distrattamente dei sassolini sulla superficie liquida che provocavano delle piccole onde concentriche. Quel posto le piaceva molto e le sembrava stupendo, ma c’era qualcosa di strano: non c’era nessun segno di vita, né il cinguettio di un uccello, né un insetto che volasse nell’aria, né un pesce nell’acqua cristallina.
Si assopì cullata dal gorgoglio della cascata, ma il suo udito finissimo percepì sopra quel rumore incessante un leggero tramestio alle sue spalle e uno schiocco. Si svegliò giusto in tempo per correre lungo la riva e nascondersi dietro la parete liquida; non sapeva perché l’avesse fatto, le era venuto spontaneo, come se fosse la cosa più logica da fare, e per sua fortuna lì dietro si apriva una caverna. Ringraziò il suo istinto, ma si ripromise di pensare la prossima volta prima di agire. Dal suo nascondiglio riusciva a vedere ciò che accadeva nella radura; come per magia era apparso un essere allampanato, un Uomo probabilmente, che indossava un lungo pastrano nero e sembrava fluttuare a qualche centimetro da terra, aveva la testa coperta da una folta criniera rossa che incorniciava un viso pallido e scavato, ma erano gli occhi a conferire qualcosa di sinistro alla figura: erano grigi e penetranti ma imperscrutabili. Aveva maniere pacate e misurate e si muoveva con eleganza.
Poco dopo, dietro di lui, arrivò un drappello di Orchi armati fino ai denti e molto rumorosi che l’uomo zittì con uno sguardo; quelle pupille dovevano avere qualche potere soprannaturale.
La Mezzelfa era spaventata e tremante e si lasciò sfuggire un gemito soffocato.
L’Uomo percepì qualcosa e iniziò a fiutare l’aria e scrutare ovunque, cercando di capire da dove fosse arrivato quel sottile rumore.
Dopo aver girato lo sguardo tutto intorno, lo fissò sulla cascata e piantò i suoi occhi in quelli della Mezzelfa. Lei si sentì raggelare, era stata scoperta, ma non riusciva a muoversi o distogliere lo sguardo. Intanto quell’individuo avanzava inesorabilmente verso di lei attraversando il laghetto senza nemmeno sfiorarne la superficie e la fissava sempre più intensamente, era in trappola.
L’Uomo si avvicinava sempre di più, fino a che si trovarono faccia a faccia, divisi soltanto da una sottile lastra d’acqua, poi lui allungò un braccio e l’afferrò per la spalla, lei avrebbe voluto gridare, ma la voce le morì in gola. Quando venne presa, contrariamente al dolore che si aspettava, fu pervasa da un piacevolissimo senso di calma, e scivolò in uno stato di semi-incoscienza, il tempo pareva essersi fermato: gli Orchi erano ancora immobili e silenziosi come pietre ai bordi del prato, esistevano solo lei, l’uomo e una pace infinita che derivava dal tocco delicato di quelle mani adunche e gelide sulla sua spalla.
Poi un rumore assordante la scosse e la riportò alla realtà mentre un gruppo di strani esseri nerboruti si riversava con fragore nella radura, distraendo per un attimo l’Uomo che la tratteneva saldamente, che quindi la lasciò andare. Quel distacco le provocò un dolore insopportabile e la Mezzelfa fu presa dal terrore.
Quelli che erano appena arrivati creando grande scompiglio erano esseri molto bizzarri, avrebbero quasi potuto ispirare fiducia e simpatia, se non fosse stato per la luce malsana e inquietante che brillava nei loro profondi occhi di un bellissimo verde cupo.
Erano completamente vestiti di felci, a tracolla portavano archi e faretre piene di frecce le cui alette erano foglie d’alloro e in mano avevano agili spade lucenti con l’elsa d’oro in cui erano incastonate gocce di rugiada; la testa era coperta da un elaborato elmo di foglie scure e coriacee. Il viso color carne era delicato e i tratti raffinati: naso piccolo, labbra sottili e mento appuntito.
L’Uomo dai capelli rossi si rivolse alla Mezzelfa, frastornata per quell’irruzione improvvisa, e guardandola intensamente con occhi vitrei le disse in tono pacato e perentorio “Vieni”. Lei guardò quegli esseri che la spaventavano, poi afferrò la mano che l’Uomo le tendeva senza troppi ripensamenti; da quel contatto trasse nuovamente serenità e tranquillità, niente la preoccupava più.
Vide un lampo azzurro colpire i nuovi venuti e immobilizzarli temporaneamente in un involucro di ghiaccio, che impedì loro i movimenti per quel tanto che bastava ad allontanarsi, poi le loro spade divennero incandescenti e sciolsero la lamina che li bloccava, ma ormai la radura era deserta.
La Mezzelfa tornò in sé, si trovava ai piedi di un grande albero e, quando una ghianda dorata le cadde vicino, capì di trovarsi sotto la Grande Quercia.
Lì vicino riusciva a vedere l’Uomo che l’aveva portata con sé: stava osservando gli Orchi della sua scorta che si affaccendavano intorno a una pietra nerissima e lucente come vetro perfettamente sferica e levigata; se il sole arrivava a colpirla con un raggio dorato, mandava bagliori sanguigni.
Nessuno badava a lei, così decise di arrampicarsi furtivamente sull’albero che le offriva un nascondiglio perfetto con i suoi rami frondosi tra i quali si trovava perfettamente a suo agio.
Il giorno seguente fu svegliata da un raggio di sole che le sfiorava delicatamente una guancia, dei suoi compagni non c’era nessuna traccia, solo la grande pietra nera era ancora adagiata su di un soffice giaciglio di muschio.
Quando si guardò le mani inorridì: erano verdastre e le unghie erano diventate lucenti foglie di quercia, non riusciva a spiegarselo, così scese dall’albero sperando che fosse solo l’effetto del riflesso della chioma sotto i raggi del sole, ma non era così.
La Grande Quercia aveva finalmente trovato qualcuno che avrebbe potuto sostituirla quando la linfa avrebbe smesso di scorrere dentro di lei.
 
Continua nel capitolo:


 
  » Segnala questa fanfic se non rispetta il regolamento del sito
 


VOTO: (0 voti, 0 commenti)
 
COMMENTI:
NON CI SONO ANCORA COMMENTI, SCRIVI IL PRIMO! ^__-
 
SCRIVI IL TUO COMMENTO:

Utente:
Password:
Registrati -Password dimenticata?
Solo su questo capitolo Generale sulla Fanfic
Commento:
Il tuo voto: