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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Videogiochi
Dalla Serie: Oblivion
Titolo Fanfic: L 'ASSALTO ALLA TORRE
Genere: Azione, Avventura, Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: briareos galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 26/08/2007 17:42:22

Breve one shot d'azione a sfondo fantasy
 
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- Capitolo 1° -

Premessa.

Questa è una dedica che faccio ad un videogioco straordinario. Si tratta di una specie di gdr (gioco di ruolo) , in cui bisogna svolgere una serie di missioni a colpi d'arma e scudo.
l'ambientazione è un fantasy contaminato da diversi fattori, in cui vivino diverse razze, dagli Imperiali ai selvaggi Kaji e un piccolo corollario di sottorazze.
parlando concretamente, quello che subito salta all'occhio è l'immensa mole grafica che perme al'intero gioco. L 'ambientazione esterna è immensa, con alberi, erba e piante, pioggia, tormente di neve e infiniti giorni estivi.
l'immedesimazione è totale, e sono certo che nessuno è rimasto indifferente all'arrivo delle albe e dei tramonti.
Ognuno differente dall'altro, con il sole che va a calare in un fiammeggiare di viola e blu e celeste sul riflesso dell' acqua, uno spettacolo che personalmente non ho idea di come sia stato realizzato.
E i "dungeon" interni, labirinti ciclopici infestati di misteri e mostri, grotte, laghi sotterranei o mistioriose rovine millenarie, sature di trappole e tesori.
Il gioco Oblivion non è un qualcosa che inizia e finisce, la libertà è totale, da quella di camminare per ore tra le foreste selvagge o comprarsi un cavallo, e sopratutto decidere per sè e la propria morale.
Si può fare essere un' emissario del Dio della vita o gettare alle ortiche tutto quanto e darci alla criminalità, con furti, spionaggi e assasinii. Nei mercati, nei negozi, se il commerciante non ci permette di comprare un'oggetto che desideriamo, possiamo afferrare la spada e abbatterlo con immensa facilità. Salvo poi venire assaliti da una trentina di guardie imperiali in armatura pesante.
Dunque, la storia è questa:

L'impero di Tamariel è sotto l'attacco di una forza sconosciuta, demoni mai visti vengono vomitati continuamente fuori dai Portali Exdradimensionali di Oblivion, invadendo e distruggendo tutto ciò che incontrano. Non si sa perchè e chi ha aperto questi portali, e il nostro compito è affrontare la minaccia come crediamo meglio.
Il problema è questi portali infestano completamente il mondo si trovano ovunque e l'unico modo di chiuderli è entrare dentro di essi e toglire la Pietra del sigillo dall'altare della torre, il manufatto che tiene ancorate queste due realtà insieme. Una volta tolto il portale si spenge, e ci ritrova alla sua entrata in un cratere fumante.

C'è una precisazione importante da fare:
Oblivion è "moddabile" cioè si può compiere modifiche all'interno del suo progamma e creare nuove armi, nuovi nemici, nuove storie e altro.
Ma se, come me non si è in grado di capire codici e strumenti di progammazione, basta andare su in forum di internet, dove una vastissima comunità crea un numero infinito di variabaili che possono essere montate già fatte e utilizzabili all'interno del gioco, senza problemi.
Dunque, se ti sta stretto l'ambientazione fantasy puoi andare in giro con una moto da corsa, oppure utilizzare falci e armi nuove, alcune fatte in maniera davvero professionale.
Se invece sei un patito di Final fantasy 7 puoi scaricare il magnifico spadone di Cloud, o la Masamune di Sephirot, oppure la mitica Ammazzadraghi di Gatsu.
Impossibile elencare tutte le variabili, ma ce n'è per tutti.

il gioco originale è piuttosto tranquillo, non offre sfide particolari, perciò ho montato alcuni progammi per renderlo più affine alla mia visione di gioco.
tra cui una smodata iperviolenza e la relativa facilità del dare o ricevere la morte.
Questo racconto esprime l'emozione che ho provato quando mi gettai nel folle progetto di abbattere TUTTI i portali aperti nel mondo di Tamriel, che credo non siano meno di 50.
Per quanto romanzata, è una storia vera.
("luminus " è il nome del personaggio che ho creato io, è un' Imperiale con i capelli bianchi.)


fine premessa.



Luminus.


Luminus cavalcava tetro nella la distesa di ghiaia e sassi che era la Black Road nei pressi della cittadella di Chorrol. Chiunque l'avesse visto l'avrebbe riconosciuto, ormai la sua era una faccia nota.
Era l'eroe di Kvatch colui che venendo dal nulla, si era unito alla guardia cittadina e aveva riguadagnato la città e salvato i pochi sopravissuti che si erano rifugiati nella Cattedrale. Luminus ricordava quei momenti terribili.
Era successo non più di tre mesi fa, ma pareva fossero passati secoli; era per la strada, quando aveva visto la nube di cenere levarsi dalle mura annerite della città. Corse a perdifiato fuori dalla strada, direttamente verso la collina scavalcando massi, fra i rovi e gli alberi di quella zona, per poi vedere l'accampamento dei sopravvissuti.
Di tutti gli abitanti di quella città non erano rimasti che un pugno di persone terrorizzate che si scaldavano al fuoco, coperti di quello che erano riusciti a salvare. Un sacerdote gli disse che si era spalancato l' inferno su di loro, che aveva divorato tutto.
Luminus arrivò alle porte della città, e il mondo si frantumò.
Il cielo iniziò a scorrorrere come impazzito, velocissimo, e sopra di questo s'intravedevano costellazioni conosciute, in un balenare di fulmini sanguigni che esplodevano tra quelle strane nuvole. Tutt'intorno un vento sconvolgeva i poveri tronchi degli alberi che erano sopravvisuti al fuoco.
E di fronte a lui, vide il suo primo portale di Oblivion.
Un'arco di ossidiana nero, irto di uncini che bruciava in un fuoco che non aveva origine, e divampava in lingue incandescenti come un'esplosione perpetua. Da questa bocca spalancata uscivano creature aliene, viste solo nei peggiori incubi.
Fiamme a forma di donna che danzavano nella cenere, piccole bestie dai piedi di capra e altre strane forme che non riuscì a concepire, perso nella morsa del terrore.
Il panico lo aveva immobilizzato, e la voce del Capitano della Guardia gli arrivò lontano.
lo intimava ad andarsene, ma Luminus aveva un compito da portare a termine. Lì fra i sopravvissuti che si erano rifugiati nella Cattedrale stava il figlio segreto dell'imperatore, colui che con il suo sangue avrebbe messo fine all'incubo.
Luminus strinse a sè la patetica spada di ferro che si portava dietro, e spronò sè stesso e gli altri soldati in battaglia, mossi più dall 'incoscienza che dal coraggio.
Ricorda ancora le bruciature, gli urli e le grida, i corpi carbonizzati...il capitano entrò dentro il portale per chiuderlo, e lui lo seguì.

Il mondo dall'altra parte di quella piaga incandescente poteva portare alla follia. Era un deserto di lava e rovine, la pietra fusa riluceva nel suo borbottio continuo, e più là c'erano ponti distrutti, torrioni e corpi torturati appesi nei giunti di un gigantesco cancello che si stagliava di fronte a loro. Un soldato si avvicinò ad una strana pianta e questa lo aggredì con ferocia, con un colpo del suo fusto. Non era un luogo che potesse esistere nel mondo reale, era un qualcosa che solo i più arditi mistici avevano intravisto nelle loro visioni.
Passo dopo passo combattè, fianco a fianco ai soldati che cadevano infilzati nelle lame o nelle trappole, spalla a spalla con il Capitano, che si muoveva instancabile sempre un passo davanti a tutti.
Luminus subì ferite atroci, era troppo inesperto per una simile battaglia, ma con la fortuna e con l'audacia era riuscito a compiere un miracolo, afferrando il sigillo mentre intorno a lui le lame mulinavano, facendo a pezzi gli ultimi soldati che erano arrivati fin lì.
D'un tratto fu fuori.
Di tutti coloro che erano entrati erano sopravvissuti solo lui e il Capitano.


Solo ora, alle porte di Chorrol comprendeva che quello che aveva compiuto era solo un'ingenua azione contro le forze che stavano al di là del Portale. I portali di Oblivion erano comparsi ovunque, innumerevoli e nessuno più si avventurava fuori dalle città.
Fra le mura, i cittadini mormoravano che era giunta la loro fine. Avevano perso la speranza, vivendo in un 'impero senza imperatore nè eredi, inconsapevoli che l'ultimo figlio era al tempio della fortezza delle nuvole, protetto da un'esercito di spadaccini pronti a morire per lui.
E poi...c'era Luminus. Lui stesso era consapevole che la propria presenza non era casuale; era sotto la protezione di un destino speciale, che non poneva confini alle sue capacità. La sua volontà piegava in poco tempo i complessi studi magici, e in un breve periodo era stato accettato all 'università arcana. Un'impresa in cui un uomo comune mette anni e anni.
All' Arena spadroneggiava senza difficoltà con i più potenti guarrierieri, come se non fossero "loro" i suoi veri nemici.
Così accettò il percoso che il destino gli aveva mostrato, e decise di consolidare la sua esistenza alla chiusura di ogni singolo portale di Oblivion che infestasse l'impero.
E imparò a sue spese quanto fosse stata facile la battaglia che aveva sostenuto al cancello di Kvatch.
Gli altri portali erano gremiti di mostri di ogni tipo, che lo assalivano senza pietà, e non c'era armatura o scudo che reggesse sotto i loro colpi.
Le spade s'infrangevano o gli venivano strappate di mano, gli incantesimi si dissipavano e non c'era magia che potesse soggiogare quelle creature.
Poteva solo contare sul suo coraggio.
Ora aveva puntato un portale, lo guardava eruttare mostri che ne stavano a guardia.
Luminus era pronto. Ogni componente della sua armatura era stato incantato personalmente da lui stesso, agli altari dell'univerità arcana. Aveva utilizzato Anime che aveva raccolto lui stesso dalle creature più potenti e si trascinava appresso una varietà di frecce e armi.
Il suo arco aveva la capacità d'instillare nelle sue frecce il potere d' avvelenare la carne.
Fra le sue spade alcune potevano succhiare via la vita dai corpi su cui i abbattevano, e imprigionare le loro anime dentro alle gemme.
Fra le magie che poteva enunciare ce n'erano alcune che tramutavano i nemici in pietra, o altre che rendevano invisbili o donavano la capacità di vedere al buio.
Pozioni che centuplicavano le forze per giorni interi.
Scudi che ritorcevano indietro il colpo che subivano.
Ma tutto questo non sarebbe bastato, alla fine sarebbe stata la sua volontà a sorreggerlo e spingerlo in avanti.
Era notte.
Davanti a lui, in lontananza, fiammeggiava inquieto il Portale.
Sopra di lui brillava la costellazione del Rituale, che lo benediceva sin dalla sua nascita.

Scese dal cavallo e lo mandò via.
Bevve una pozione rinvigorente e fece scattare le sue gambe in avanti, balzando sulle rocce mentre i suoi occhi distinguevano distintamente i nemici che gli davano le spalle. Con l'impeto della sua carica afferrò lo spadone e schiantò contro il primo essere, che volò via accendendosi come una torcia.
Le fiamme che vivevano nella sua arma non perdonavano. Continuò a roteare con precisone l'acciaio magico, e nell'oscurità si andarono accendendosi piccole esplosioni che rimanevano a terra.
Luminus si mise in posizione di difesa, con l' elsa all'atezza del petto, ed entrò nel portale.
L' interno gli era ormai familiare, fiamme e rovine non lo turbavano più.
Un grido di allarme, e gli furono addoso.
Dremora.
Più che vederli li sentì arrivare tutt'intorno a lui. Come elfi dalla pelle bruciata e cosparsa di corna, vestivano armature come roveti incandescenti. Luminus si lanciò da un lato, rotolando su un fianco e attaccandoli con fendenti pesanti cercando di non farsi accerchiare. Le fiamme non attecchivano su quelle armature, ma facevano comunque un gran danno.
Rese cadaveri due assalitori con una sola rotazione, e finì gli altri con tecniche miste.
In poco tempo ne uscì illeso.
Luminus ricaricò l'arma trasmutando una gemma all'interno della lama, rinvigorendo le fiamme che andavano assottigliandosi.
Era iniziata bene.

Iniziò la marcia verso la Torre, là dove stava il sigillo. L'aria era tetra e velonosa come al solito, e l'architettura malata che viveva in quel mondo dava la nausea; ma era sempre affascinante osservare quella natura così solida di quel mondo. Non se ne conosceva l'origine, e neppure dei suoi abitanti. Nei libri era scritto che il Mundus era la patria degli Deì benefici, quando un giorno un dio ribelle creò la vita, e con esso il regno di Tamriel. Gli dei, infuriati, lo fecero a pezzi e dai loro corpo naquero le razze Originali, che di generazione in genaerazione divennero il popolo di Tamriel. Si narra che il popolo di Dwermer, capaci di tecnologie grandiose , compissero atti di blasfemia nei confronti degli dei. Erano irrispettosi, e l'unica cosa di cui avevano fede era la loro scienza; un giorno costruirono un' enorme macchinario da guerra, e utilizzarono come motore il Cuore del dio ribelle. Da lì in poi la loro civiltà svanì, lasciando enigmatiche costruzioni, fra cui lo spettacolare Planetario Imperiale, in grado di mostrare olograficamente le costellazioni.
Ma è solo una delle innumerevoli leggende che animano le notti dell' impero, leggende che rimangono affascinanti nonostante la loro infondatezza: si mormora infatti, che il Messia dei Dunmer, il Nevarine, fosse arrivato a Morrowind come prigioniero.
Luminus si ridestò dai suoi pensieri, e avvertì una vibrazione nell'aria.
Era la percezione di armi e corazze magiche in abbondanza; salì cauto un'altopiano di roccia annerita e guardò giù.

Cinquanta, forse sessanta Dremora in armatura pesante che stavano accampati. Aspettavano, calmi, che qualche nemico attraversasse quel tratto di strada, o forse stavano aspettando proprio lui.
Ormai aveva distrutto più di dieci portali, e in qualche modo si aspettavano la sua venuta.
E lui non li tradì.
Bevve una pozione che gli potenziasse la vista e la fortuna, e prese mano all'arco che si era portato dietro. Uno strumento d'attacco a lungo raggio che lo aveva portato a scavare fin negli abissi più profondi delle rovine antiche, o nei mercati, corrompendo, costringendo per mettere mano ai pezzi. Un' antica arma Dwermer, unica al mondo, fatta di bronzo e oro, avvolta di bizzarri avvolgimenti in ottone. Composta da più di sei parti differenti, avvelenava e intesseva di maledizioni la freccia all'atto dello scocco, e il dardo colpiva con la potenza di un giavellotto.
Il primo cadde a terra senza un suono, poi gli altri lo videro e furono un' onda rabbiosa su di lui.
Luminus colpiva con calma e precisione, mirando alle teste al petto, alle gambe, ovunque le freccie saettavano portavano un veleno che non dava speranze. La posizione rialzata gli permise di abbatterne una ventina, senza sbagliare un colpo, ma già questi non facevano in tempo a cadere che venivano calpestati a morte da quelli che li seguivano.
Esseri senza paura, demoni che non provano dolore.
Alcuni gli lanciavono piccoli fulmini, o sfere infuocate, altri rispondevano con i propri archi, ma la struttura dell'armatura di Luminus era impenetrabile. Quando furono a tre metri di distanza si affidò alla lama e si lanciò nel centro dell'orda, come una nave rompighiaccio divise in due tronconi la folla. Le spade annerite e incandescenti dei Dremora erano su di lui e cozzavano contro la sua armatura mandando scintille dorate, mentre lo spadone si schiantava da un corpo all'altro, affrontando parate, finte o deviazioni, colpendo, sbattendo e scaraventando al suolo i corpi, fino a quando una contromossa ben eseguita distaccò l'arma dal suo padrone, e si perse da qualche parte sul terreno.
Luminus sorrise e si equipaggiò con scudo e spada corta.
La spada era una meravigliosa opera d'artigianato, d'argento e carica di Mana. Ad ogni fendete caricava di peso il braccio dell'avversario, e rinvigoriva il suo portatore. Lo scudo era invece di cristallo, leggero e compatto ma benedetto dalla tecnica dell' Alterazione.
Era indistruttibile.
Danzando in una grandinata di fendenti la scherma di Luminus ebbe la meglio sulla ferocia dei Dremora che continuavano ad incalzarlo. Colpo dopo colpo divenivano sempre più stanchi e aggiungevano ferite ai loro corpi, mentre il loro oppositore non dava segni di cedimento.
Poco alla volta i corpi andarono aumentando di numero uno sopra gli altri e l' ultimo cadde stremato a terra. Luminus lo guardò rialzarsi, beffardo, poi lo spinse nella lava con un colpo di scudo.

Era ansante, ma vittorioso. Una grandiosa battaglia, il suo equipaggiamento era il migliore che avesse mai creato. Forse troppo buono...ormai non era più una sfida, era un massacro a senso unico. Controllò i segni della lotta, e vide che la spada era già incrinata e quasi scarica. Avrebbe potuto ripararla, ma non aveva voglia, per cui la gettò semplicemte via.
un tempo avrebbe fatto carte false per avere un'arma simile, eppure ora se ne sbarazzava così. Ma i "septim", la moneta dell'imperatore, non danno alcun aiuto in battaglia. E dello spadone non pensò nemmeno a cercarlo in quella catasta di corpi.
Prese un'altra arma ancora dal suo corredo, un'esotica katana, un'arma destinata ad essere brandita solamente dal' elitè della guardia imperiale. Luminus l'aveva rubata dall'armeria in una delle sue esplorazioni. Non si era mai sentito in colpa.
Come le altre, anche questa era incantata. La lama squarciava armatura e pelle come fossero carta.

La torre era poco lontana, incontrò altri piccoli gruppi di avversari che caddero senza neppure rallentarlo.
Di solito Luminus concedeva un pò di tempo all'esplorazione di quel mondo così violento, per soldi o per curiosità. Ma quel giorno voleva semplicemnte godersi la sua superiorità.
Un bisogno primario, visto che talvolta era dovuto fuggire a gambe levate per portare a casa la pelle.
La torre era il punto cardine di Oblivion, alimentata da un flusso di lava che veniva risucchiata dal Sigillo posto a trenta metri d'altezza. Bisognava procedere a spirale verso l'alto, superando stanzoni saturi di trappole e Dremora maghi, evocatori e guarrieri scelti.
E fra di loro stavano gli Atronach, golem di fulmine fatti di granito che una lama non abbatteva facilmente.


Il grande portone della torre era davanti a lui, ai lati stavano corpi e teste impalati lasciate a putrefare. Sguainò la lama ed entrò senza indugiare in preparazioni.
L'interno era come tutte le altre torri che aveva distrutto...solo che il numero di guardiani era folle. Luminus non riusciva a contarlo, quel luogo grande quanto la piazza di un paese era gremita come un formicaio.
Si rese immediatamente invisibile e corse verso una porta che conduceva verso l'alto. l'obbiettivo era arrivare al Sigillo più in fretta possibile.
Camminò cauto tra il respiro ringhiante dei Dremora, passo dopo passo.
Erano veramente troppi per chiunque, e già si pentiva di non aver fatto marcia indietro, così continuò verso la porta, che ormai era poco distante da lui. Era sul punto di farcela quando la porta si aprì e un Dremora mago gli andò a sbattere addosso, vedendolo.
Luminus bevve immediatamente una delle sue poche pozioni da battaglia e si preparò a difendersi.
Lanciò una serie velocissima di tagli con la katana, che riluceva dell'oscuro potere della disgregazione, cercando disperatamente di creare uno spazio utile tra lui e loro.
Un colpo di mazza sulla schiena lo mandò a sbattere contro un muro.
Guardò tramortito la morte spalancata in innumerevoli bocche e lanciò fulmineo una moltitudine di pergamene da battaglia.
Tutt' intorno a lui si creò un'esercito di soldati scheletrici, che fecero muro ai suoi assalitori. Non avrebbero retto che pochi secondi, così cercò di aprirsi un varco verso l'uscita, ma ormai non la vedeva nemmeno più, mentre anche l'ultimo degli scheletri divenne polvere sotto i colpi di un Dremora.
La lama vorticava furiosa, spazzando ciò che trovava davanti, ma i colpi arrivavano da ogni punto, e l'armatura era ormai in procinto di spezzarsi, lo sentiva dallo scricchiolìo che faceva.
Poi sarebbe stato come nudo, ad un passo dalla fine.
Per quanti ne uccidesse ne arrivavano dietro altri, come svuotare un lago con un cucchiaino, e ogniqualvolta cercava di parare con lo scudo veniva tramortito o spinto da qualche parte.
Erano troppo forti, erano inarrivabili. Ma non poteva cedere, così rallentò il tempo stesso con una delle sue magie più potenti e si sentì svuotato dallla sua scorta di Mana, mentre intorno a lui tutto si muoveva al rallentatore. Spazzò via tutti coloro che trovava di fronte, che cadevano come fili d'erba sotto i colpi di una falce, dilianiando armature e corpi che cadevano uni sugli altri privi di peso.
Luminus stava dando fondo alle gemme dell'anima che si era portato dietro, caricando costantemente la lama ogniqualvolta sentiva venire meno il suo potere.
Non vedeva più nulla, davanti a lui, diretro e intorno solo una vastità di Dremora e più in là, ANCORA altri Dremora file su file.
Poi il tempo riprese la sua forma e lui fu solo. La sua spada si spezzò e lo lasciò disarmato, lo scudo si frantumò e rimase con i suoi guanti corazzati, a respingere, a deviare, mentre cercava il tempo per afferrare l'ultima arma che si era portato dietro.
Era una lama nera e cerchiata da arabeschi dorati, che predava la vita e le anime su cui veniva scagliata.
Con un fendente liberò la strada verso una delle porte che davano verso il piano superiore.
Non c'era modo di uscire, se non con il Sigillo in mano, per cui vi si precipitò, senza contare gli innumerevoli corpi che lasciava al suo passaggio. Oltre questa salì velocissimo una scalinata, evitando le enormi ghigliottine che cadevano dall'alto. Qualcuno o qualcosa lo colpì, rendendogli inutilizzabile l'armatura, un Atronach lo investì con un masso di granito che quasi lo uccise non fosse che la spada riversava a lui la vita che sottraeva ai nemici.
Era un corpo sanguinante che attraversava i corridoi, lasciando dietro di sè una scia di cadaveri, mentre le sue ossa e la sua pelle andavano via via riformandosi.
Ma poteva farcela, se non avesse rallentato avrebbe potuto raccontarlo.
Arrivò al penultimo piano quando fu accolto da un reggimento di Dremora maghi, e l'aria divenne un balenare incessante di incantesimi, che Luminus cercava disperatamente di evitare.
Incantesimi di Distruzione basati sul fuoco, ghiaccio o fulmine non gli procuravano un gran danno, visto che venivano in gran parte dissolti dai suoi anelli magici, ma quei bastardi sembrava lo sapessero, e lo stavano borbandando con maledizioni che minavano il suo fisico, piegandolo, togliendogli forza e agilità, spezzando la sua concentrazione e confondendolo. Non riusciva più a muoversi, gli mancava il fiato.
Al riparo provvisorio d'una colonna fu costretto a togliersi l 'armatura e gettarla via, poichè non aveva più la forza per sostenerne il peso.
In quell 'attimo di incertezza fu raggiunto anche dai suoi assalitori che lo stavano braccando sin dall'entrata della Torre, e tutt'intorno a lui fu un'apocalisse di incantesimi e grida e armi e frecce che cercavano di finirlo, mentre Luminus correva e saltava qua e là con i suoi pantaloni di tela preso da una furia incessante.
I Dremora maghi non badavano a chi finisse fra i loro incantesimi, così tutta quella confusione giocava a beneficio di quella spada folle che turbivana impazzita tra i corpi.
Usò alcune fiale di veleno, pozioni rinforzanti, oggetti mistici, pietre, gemme, prergamente da battaglia, protezioni , incantesimi monouso, talismani e fece addirittura appello allla costellazione del Rituale che lo strappò dalla morte ancora una volta, guarendolo.
Ma non aveva speranze, se non quella di cadere insieme a centinaia dei suoi nemici.
La lama si spezzò, lasciandolo vulnerabile come un taglio di carne di macelleria. Pietrificò un paio di avversari, poi cercò disperatamente un'ultima arma, qualsiasi essa fosse, ma le sue scorte erano finite. Rimaneva una bizzarra spada a forma di piuma che aveva trovate in uno scavo. Non aveva lama, ed così leggera che sembrava che all'interno fosse cava.
Non aveva forme riconducibili a nessuna cultura, ed era priva della luminescenza tipica delle armi incantate. Era un'oggetto cerimoniale finito nel posto sbagliato.
L'afferrò e si costrise ad usarla, e spiccò un balzo su i suoi assalitori, sovrastandoli con un urlo terrificante, di disperazione e di odio.
Ci fu un boato, e una tempesta di fulmini illuminò la stanza, lasciando sul terreno mezza dozzina di tizzoni bruciati.
La spada ancora dava scariche irrequiete di forza inespressa.
Luminus non volle capire cosa fosse successo, ma non importava, provò e riprovò ancora quel miracolo, quell'arma portentosa aveva un raggio d'azione esagerato, e ad ogni colpo che scaricava era come se un mago avesse lanciato la magia di distruzione per eccellenza, la Finger Of The Mountain. Forse qualcuno aveva fatto sì che maghi e guarrieri avessrero qualcosa in comune, ma ora non importava.
La sala era silenziosa e sgombra, come fosse sempre stato un'enorme obitorio.

Salì le scale all'ultimo piano e vide l'enorme cupola della torre.
Il Sigillo, legato con ciclopiche catene alla struttura della pietra era su un balcone fatto di pelle umana.
Luminus fu una freccia sulle guardie rimaste, scatenando su di loro tutta la sua furia. Ma l'arma fu respinta da uno scudo.
Era incredibile, era assurdo, anche quell'arma dall' ascensione divina non sovrastava la forza di un singolo Elite Dremora.
Scagliò colpi e parò ,ferendosi, ma con uno scatto laterale lo mandò a sbattere contro la colonna di fuoco che alimentava il Sigillo, che lo disintegrò vivo.
Poi ne arrivò un'altro, e un'altro ancora, Luminus distrutto e sfinito colpì senza forza quelle corazze fitte d'uncini , e in roteare di lame il Dremora gli spazzò via la lama dallla mano.
Luminus rimanè stupito nel constare che l'arma gli rimaneva attaccata alle dita anche quando non stringeva a pugno l'elsa. Era come se fosse una parte di sè.
Approfittò dell'attimo di smarrimento del Dremora e lo finì. Da quando era entrato nel portale sarà stato il deucentocinquantesimo che abbatteva.

Tolse il Sigillo dall'altare e guardò la torre che collassava al suo interno, e poi fu fuori.

La luce del giorno colpiva con i suoi raggi le sue palpebre, più in là un fiume scorreva traquillo, e una coppia di caprioli vi si abbeverava.


Guardando in lontananza poteva scorgere le fiamme viperine di un'altro portale nascosto tra i boschi.


 
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