Sono una frana nei riassunti...mannaggia...cmq è per il concorso di scrittura a scuola...
Conclusa: Sì
Fanfiction pubblicata il 19/04/2007 22:38:38
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<i>Vabbè, io lo metto...è per il concorso di scrittura a scuola, mi hanno convint mio cugino, la Rospetta (sempre loro!!!) e la Lalla...speriamo in bene!!!!
Besos!!!</i>
Un tempo viveva un ragazzo, nato in una famiglia ricca ed importante, a cui era stata donata dalla natura una bellezza tanto grande quanto la stranezza del suo carattere. Il Ragazzo abitava in una grande villa, con un grande parco davanti al portone principale, un grande bosco alle sue spalle, una grande scuderia ricca di cavalli imponenti; la casa si strutturava in tre piani in stile vittoriano, e il Ragazzo vi dimorava da quando era nato, con la sua famiglia.
Era un giovane molto maturo per la sua età, dal carattere chiuso e a tratti complicato, ma anche capace di gradi slanci d'affetto come verso la sua tata. Tata si occupava di lui quando i genitori del Ragazzo erano occupati: il Padre era spesso via per affari, la Madre invece frequentava i più importanti salotti vittoriani del tempo; il Ragazzo passava le sue giornata a giocare con il suo cane nel bosco e si divertiva a fingere di cacciare i cervi che imperversavano nei territori del Padre.
Accadde che, in uno scuro giorno di pioggia giorno, il Ragazzo corse su per le scale che portavano nella sua stanza, per evitare di passare l'uggioso pomeriggio con le sue sorelle; ne aveva tre: la Sorella Maggiore era ormai in età da marito e lo superava di due anni, la Sorella Minore aveva appena finito l'infanzia, mentre la Sorella Ancora Più Minore doveva ancora cominciarla.
Il Ragazzo passò di fronte alla porta della sua camera, la Camera Azzurra, e continuò a correre senza rendersene conto, finchè non raggiunse la porta della soffitta; ai Bambini della Famiglia non era permesso entrare nella Soffitta, ma il Ragazzo entrò senza porsi il problema, richiudendosi silenziosamente il pesante uscio alle spalle: di fronte ai grandi occhi scuri del Ragazzo, spalancati per la meraviglia, si apriva un mondo inesplorato, che lui definì subito come il Suo Regno. Vecchi tavoli, vecchie sedie, vecchie lampade si impilavano ai suoi lati, formando lunghi corridoi polverosi e bui. Tende, coperte, poltrone, e ancora, mobili vari, credenze, armadi, ma anche cianfrusaglie, come cappelli sfondati e spiumati, abiti di altre epoche e specchi infranti in mille pezzi; il Ragazzo avanzò e giunse il una piccola area sgombra, giusto sotto a un lucernario sporco, e lì la vide per la prima volta.
Il suo quadro stava su un cavalletto, un po' in penombra, semicoperto da un drappo grigiastro; incuriosito, il Ragazzo scostò quasi rispettosamente la stoffa e rimase senza fiato di fronte al soggetto raffigurato nella tela.
La donna più bella che avesse mai visto nella sua giovane vita.
Lei stava lì, intrappolata nel quadro e nella sua cornice, con un'espressione assente e disinteressata, quasi insofferente sul volto pallido. Il Ragazzo la guardò a lungo, affascinato da una così singolare bellezza: non seguiva i canoni di bellezza del suo tempo, pensò il Ragazzo; teneva i lunghi capelli biondi, quasi bianchi, legati in un complesso nodo sulla nuca, ma una buona parte di questi cadeva sulle spalle, risaltando sul collo tutt'altra che pallido. Il Ragazzo pensò che potesse essere solo uno scherzo creato dalla luce e con una certa fatica spostò il cavalletto in modo che la scarsa luce proveniente dal piccolo lucernario colpisse in pieno la tela e ne rimase sconvolto: non si era sbagliato, no, la pelle era veramente così scura, così diversa dal pallore che contrastingueva i nobili vittoriani; la pelle di lei era di un delicato color miele, che creava uno strano contrasto con i capelli quasi bianchi.
Il Ragazzo non se ne rese conto, ma si era infatuato della Dama Del Dipinto.
Cominciò a passare con lei gran parte del suo tempo, fino a diventarne completamente assuefatto: non aveva alcuna intenzione di rivelare la presenza della Dama Del Dipinto al resto della Famiglia ne desiderava scoprire chi fosse; per lui era e restava la Dama Del Dipinto, e le parlava, parlava, parlava per tantissimo tempo, raccontandole tutto cioè che gli succedeva o che gli passava per la testa, era la sua confidente e la sua migliore amica.
Passarono i mesi, passarono gli anni, il Ragazzo non andava a scuola ma la scuola andava da lui tramite un tutore che gli insegnava tutte le materie che potevano servirgli; quando il Tutore se ne andava, il Ragazzo correva dalla sua Dama per informarla di cosa aveva fatto e cosa aveva imparato.
Presto la Sorella Maggiore venne promessa in sposa e si sposò in breve tempo, ma il Ragazzo non se ne accorse neppure: era troppo affascianto dalla Dama Del Dipinto e, col tempo, cominciò a provare un senso di profonda gelosia nei confronti di se stesso; il mondo non era degno di lui, che poteva godere della visione della Dama, e diventò sempre più solitario, nostalgico e brusco; si sposò anche la sorella Minore, e ancora lui quasi non se ne accorse; era divantato un uomo ormai, non era più il Ragazzo.
L' Uomo provò ad interessarsi ai suoi incarichi, quelli che erano anche del Padre e che sarebbero stati anche di suo figlio, ma non ne trovava alcuna gioia o interesse; la Madre gli rimproverò di stare troppo tempo nella Soffitta a pensare, senza curarsi della Famiglia: il Padre stava invecchiando, diceva lei, non ci sarebbe stato per sempre per provvedere alla Famiglia, e l'Uomo perdeva tempo in Soffitta. L' Uomo la maledì furioso, lei non poteva capire, ma le Sorelle si: loro sapevano della Dama, l'avevano visto parlare con lei più e più volte, quando l'avevano seguito incuriosite.
La Madre morì qualche giorno dopo cadendo dalle scale che portavano alla Soffitta, e l'Uomo credete quasi di vedere un sorriso soddisfatto sulle labbra pallide della Dama Del Dipinto. Nessuno poteva toglirle l'Uomo che passava con lei le sue giornate.
Al funerale della Madre, le Due Sorelle l'accusarono di essere la causa della morte della Madre: se tu non fossi sempre stato in quella dannata Soffitta, inveivano, a parlare con quel dannato Quadro...l'Uomo si sentì perduto: loro sapevano della Dama, loro, invidiose che solo lui potesse godere di tanta bellezza, gliel'avrebbero portata via. Fuggì dalla chiesa e del cimitero e si rifuggiò nella sua Soffitta, piangendo e invocando l'aiuto della sua Dama; entrambe le Sorelle morirono un paio di mesi dopo, la Sorella Ancora Più Minore prese i voti ed entrò in monastero nella speranze di fuggire alle maledizione che imperversava su quel Quadro. Non ci riuscì e, poco dopo aver rivisto il fratello che le aveva fatto visita, era caduta, come la Madre, dalle scale che portavano alla soffitta del monastero, nonostante le evitasse accuratamente.
Raggiunto dalla notizia della morte della Sorella Ancora Più Minore, l'Uomo la riferì alla Dama e nella sua mente confusa e ottenebrata della pazzia gli parve di rivedere il sorriso, stavolta ancora più largo; era così bella per lui che soffriva a vederla intrappolata nella sua cornice: deciso a darle vita, l'Uomo s'improvvisò pittore per dipingere altri quadri che la ritraessero nei luoghi più disparati, per farle conoscere un mondo a lei precluso. Sotto i suoi stessi occhi folli, il Pittore vide comporsi un'immagine dopo l'altra, di squisita fattura, disegni che sembravano sgorgare dalla sua mente per fissarsi sulla tela: se pensava la Dama in una qualsiasi situazione, nel giro di qualche giorno il Nuovo Quadro era di fronte a lui, e le macchie di colore sul suo abito e sulle sue mani provavano al Pittore che lui, proprio lui, era artefice di tanta bellezza.
Passarono altri anni di fervente lavoro artistico e il Pittore, che era stato l'Uomo, che era stato il Ragazzo, continuava a disinteressarsi delle faccende domestiche, finchè non giunse una notizia improvvisa e sconvolgente: doveva prender moglie, portare avanti il buon nome della Famiglia, anche se ormai questa si componeva solo di lui e del vecchio Padre, che era riuscito a superare il dolore per la perdita delle sua donne; doveva sposarsi, doveva portare in casa una donna che sicuramente si sarebbe intromessa tra lui e la sua Dama. Mai, mai, ami lo avrebbe permesso, ma il volere del Padre prevalse sul desiderio del Figlio d'indipendenza: avrebbe preso moglie entro tre mesi, che gli piacesse o meno. La donna scelta era piccola e tranquilla, rassegnata a dover sposare un uomo che non aveva mai visto e che non amava, rassegnata all'idea di dovergli dare dei figli che, sapeva, lui non avrebbe amato; fu una cerimonia semplice e breve, e la prima notte di nozze il Pittore la passò in Soffitta raccontando alla Dama Del Dipinto quanto trovasse ingiusto sposare una donna che non riteneva degna di lui.
La Moglie si adattò presto a non fare domande al Pittore e dedicò tutta la sua piccola percona alla cura del vecchio Padre che era suo suocero, accudendolo con la dolcezza e la bontà che avrebbe voluto dedicare a quello schivo e misterioso marito che si ritrovava. Cucinava il cibo che portava al marito in Soffitta, circondato dai pennelli e non domandava, aiutava l'ormai vecchia Tata e non domandava, curava il suo giardino e non domandava nulla riguardo alle misteriose morti che avevano coinvolto i membri femminili della famiglia; il Pittore non si accorgeva di tutto questo ne si accorgava del passare rapido del tempo; un giorno, buio e uggioso come quello in cui aveva incontrato la sua Dama per la prima volta, la Moglie si azzardò a bussare timidamente alla porta della Soffitta per dargli una notizia che lo sconvolse nel prondo: sarebbe presto arrivato un figlio. Il Pittore le sbattè la porta in faccia e andò dalla Dama piangendo, e raccontò a lei, l'unica che lo ascoltava, ora che anche Tata lo aveva lasciato, presa dalla Nera Signora, la terribile notizia dell'arrivo di un figlio; quasi si aspettava che la giovane Moglie morisse così come era morto chiunque avesse osato intromettersi tra lui e la Dama, ma la Moglie arrivò sana al parto, e lui si ritovò a sperare che morisse durante la nascita del piccolo, e il nuovo arrivato con lei; ma non fu così, e la bambina che venne alla luce era sana, così come la Moglie. Il Pittore cominciò a sentire un certo affetto per la creaturina, ma ben presto i suoi dipinti tornarono ad occupare le sue giornate come se non fosse cambiato niente: lui dipingeva, la Moglie non chiedeva, il Padre pian piano moriva e la Bambina cresceva. Nel giro di appena un anno arrivò un altro figlio, un maschio, e nel giro di altri tre si aggiunse alla Famiglia una Seconda Bambina, mentre il Padre, consumato dalla malattia abbandonava il mondo, lasciando al figlio Pittore il patrimonio della Famiglia.
Il Pittore non si curò minimamente degli affari familiari e ben presto cominciarono i problemi finanziari; preoccupata più per i Tre Figli che per se stessa o il marito, la Moglie lo affrontò coraggiosamente e gli disse in faccia che o si sarebbe dato da fare per risollevare la situazione familiare o lei avrebbe abbandonato il tetto coniugale, chiesto il divorzio e portato i Tre Figli lontano da lui: l'espressione truce e folle negli occhi di lui la spaventò, ma il Pittore si limitò a scrollare insofferente le spalle e a chiuderle un'altra volta la porta in faccia. Nonostante l'intervento della Moglie, la situazione non cambiò, anzi andò degenerando sempre più; lei prese i loro Tre Figli, che ormai considerava solo suoi e se ne andò portando con se quanto le apparteneva, tornò alla casa di famigliae qualce mese dopo spedì al Pittore i documenti del divorzio; insofferente, lui si limitò a firmarli e a rispedirli.
Ora la sua attenzione era tutta per la sua Dama Del Dipinto.
La ritrasse seduta, in piedi, al mare e in collina, Vestita di verde, di blu, di rosso e di nero, con sempre la stessa medesima espressione insofferente; sciolse i capelli, raccolse i capelli, li allungò e li accorciò, mentre ogni sngola immagine che vedeva quando si concedeva un po' di riposo per riposare gli occhi prendeva forma sulle sue tele, impregnate di sentimento.
Col tempo i sentimenti nascosti nei dipinti cambiarono drasticamente: dai primi lavori, contraddistinti da colori tendenti al calore, il rosso, il giallo, l'arancione della sua Giovinezza, il Pittore passò a delle opere cupe e sempre più angosciose, scure nell'idea e nella realizzazzione; ora imperversavano sulle tele e sulle sue mani, sugli abiti e sui pennelli, colori cupi e foschi come le atmosfere dei quadri: la Dama vi appariva vestita di scuro, nero, grigio, bordeaux, mentra passeggiava in boschi spogli e stilizzati, formati da lunghe striscie contorte di alberi deformi, o mentre camminava lungo banchise e moli deserti, avvolta in complessi abiti di pizzi e trine che le davano un aspetto terreno a dispetto dei capelli chiarissimi e della pelle color del miele. E sempre, sempre, ella era di profilo o semi - profilo, senza mai mostrare l'occhio destro, sempre velato da un ombra inconsistente. Il Pittore cominciò a sentirsi sempre più pesante: lui le stava dando l'animo, le aveva dato quanto aveva di più caro, la Famiglia, le già scarse Amicizie, il Denaro, la Casa, tutto per vedere nei suoi quadri un'insofferenza nei suoi confronti che lo deprimeva sempre più; sembrava che lei lo disprezzasse, che disprezzasse colui che le aveva dato tutto ciò che aveva di più caro. Il sorriso di lei s'accennava solo quando accadeva una qualche disgrazia che lo costringesse a parlarle, lei, l'unica che gli era rimasta.
Il Pittore dipinse ancora quadri, e ancora e ancora, finche la disperazione non lo colse dal più profondo dell'animo e realizzò cosa si era perso in quegli anni di febbrile lavoro: il rapporto con il Padre e con la Madre, l'amicizia e l'affetto delle Tre Sorelle, l'amore della Moglie e dei Tre Figli che ormai non sapeva più dove fossero, come stassero, aveva rinunciato a tutto per cercare di ottenere l'irraggiungibile, l'amore della Dama Del Dipinto, fredda ed insofferente nella sua strana bellezza. Ma lei era tutto ciò che gli era rimasto e per interi giorni continuò a cercare di dipingerla, senza riposare, mangiando e bevendo pochissimo, cercando di darle quella vita che le era sempre mancata, ma il risultato lo demoliva sempre di più: la Dama Del Dipinto era sempre bella, ma allo stesso tempo sempre più insofferente e disgustata, ritratta in luoghi bui e cupi, dai colori cupi e dall'atmosfere fosca, mentre i suoi abiti diventavano via via tutti neri e funerei.
Il Pittore guardò rattristato e sconfitto l'ultimo suo lavoro: l'aveva ritratta nuovamente in nero, con quella sua espressione d'insofferenza che l'aveva sempre caratterizzata; il Pittore scattò, travolto da un'ira improvvisa, prese uno dei coltelli che teneva nella sua cassetta degli attrezzi e si lanciò sulle sue stesse tele, squarciandole con rabbia, amore e odio per quella donna che l'aveva distrutto; tagliò i dipinti, li ridusse in brandelli e provò una gioia selvaggia nel liberarsi da tutte quelle immagini. Rovesciò i barattoli di colore, sparpagliò gli stracci in giro per la Soffitta e spaccò a pugni i cavalletti che avevano sorretto fino a poco prima tutti i quadri; vide il volto di lei in tutti i quadri e la sua mente annebbiata credette di riconoscere uno sguardoo di folle ira anche negli occhi di lei, come se fosse indignata dal suo comportamento irrazionale e passionale, lei così fredda e calcolata nella sua cornice d'ebano scuro intagliata a foglie d'acero, lei, dalla pelle color del miele e dai capelli bianchissimi, avvolta in un abito chiaro, eterea ed insensibile al dolore degli altri. Rivide il sorriso sottile che le si era disegnato su quelle labbra sottili quando erano morte prima la Madre, poi le Due Sorelle ed infine la Sorella Ancora Più Minore. Ora capiva cosa era successo: era stata lei, lei, lei...lei a spingere la Madre giù dalle scale, lei a causare l'incidente alla carrozza della Sorella Maggiore e della Sorella Minore in cui erano morte entrambe, lei a convincere la Sorella MInore a salire le scale del monastero, nonostante la Sorella Minore le evitasse sempre, e poi a farla cadere di sotto; era stata lei ad avvelenargli la mente contro la Moglie, i Tre Figli e il Padre; e ora lei non gli dava neanche il suo amore, solo quegli sguardi insofferenti e distaccati. Lui aveva fallito, aveva ceduto ai suoi ricordi quando doveva consacrarsi a lei; fallito, fallito, fallito, sembrava ripeterle sprezzante lei.
"Perchè non mi ami?" urlò al Quadro "Perchè, perchè, perchè? Ti ho dato l'animo, la vita, la mia Famiglia, le mie Sorelle, i miei Genitori, la mia Casa, il mio Denaro, perchè non mi ami?" l'indifferenza di lei lo ferì e lui continuò a squarciare le tele finchè non rimase solo la prima, quella che aveva visto quan'era ragazzina, preferendo la donna ritratta alla sua stessa Madre "Perchè...?"
Il Pittore alzò lo sguardo verso il lucernario che aveva fatto entrare la pallida luce grigiastra quel giorno e si portò le mani al ventre senza rendersene conto: il coltello penetrò con curiosa facilità fino all'elsa, senza che lui sentisse dolore. Si guardò il ventre con sguardo vago e assente e osservò di che bel rosso cupo si stavano tingendo le sue mani mentre coprivano la ferita: scorreva tra le dita, sporcandogli i polsini della camicia, infiltrandosi sotto le unghie. Cadde in ginocchio con un tonfo, incurante delle scheggie di legno che gli penetravano nella leggere stoffa dei pantaloni, graffiandogli le ginocchia, e puntò teatralmente, com'era vissuto, la mano contro la Dama Del Dipinto.
"Perchè non mi ami?" puntò ancora rabbiosamente il pugno contro di lei "Perchè?" il pavimento duro coperto dagli stracci accolse il corpo del Pittore, mentre lui teneva piantato lo sguardo davanti a lui, verso il lucernario, verso la luce grigia che osa si rendeva conto non aver mai notato veramente e sorrise; il capo si piegò di lato e il Pittore si ritrovò a guardare ancora una volta il volto ambrato della Dama Del Dipinto.
E vide una goccia rosso cupo scivolare lungo la guancia ambrata, tracciando una sottile linea rossastra; sembrava che lei mostrasse per la prima volta un'emozione tardiva, ma gli occhi spenti del Pittore non videro la prima e ultima traccia di dolore della Dama Del Dipinto per l'uomo che aveva rinunciato a tutto per lei.