torna al menù Fanfic
torna indietro

MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Cavalieri dello Zodiaco, I (Saint Seiya)
Titolo Fanfic: GINESTRE
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: andromedashun galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 29/10/2005 02:37:03

due fratelli tormentati cercano di ritrovare sé stessi e la bellezza della vita...
 
Condividi su FacebookCondividi per Email
Salva nei Preferiti
   
CAPITOLO UNICO
- Capitolo 1° -

Ginestre-Istinto fraterno

[…]Anco ti vidi
de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna de’mortali un tempo,
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d’afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dell’impietrata lava,
che sotto i passi al peregrin risona;
dove s’annida e si contorce al sole
la serpe, e dove al noto
cavernoso covil torna il coniglio;
fur liete ville e colti,
e biondeggiar di spiche, e risonaro
di muggito d’armenti;
fur giardini e palagi,
agli ozi de’potenti
gradito ospizio, e fur città famose,
che coi torrenti suoi l’altero monte
dall’ignea bocca fulminando oppresse
con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
una ruina involve;
ove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola.[…]

(Da La ginestra, o il fiore del deserto, di G. Leopardi, ed. Mondatori, 1987)


“Non piangere… aspettami, io sono qui, non ti lascio solo, non ti lascerò mai più…”
Il bambino, inginocchiato nel centro di una pozza di sangue, tendeva verso di lui le manine minuscole, intrise anch’esse del liquido scarlatto che deturpava così ignominiosamente le sue membra innocenti; dagli occhi appena schiusi nascevano lacrime di puro cristallo che lasciavano strisce più chiare sul volto sporco e nonostante questo incredibilmente bello. Dalle labbra incrinate in una smorfia di dolore, sfuggivano singhiozzi disperati, assolutamente non equiparabili ai naturali capricci propri di un bambino; in quel pianto era celata l’essenza stessa del dolore nella sua forma più totalizzante.
Un’ombra discese sulla creatura indifesa, come a volerla soffocare; i singhiozzi si fecero più acuti, più atroci nella loro disperazione…

Gli occhi del ragazzo si spalancarono nell’oscurità, le labbra si aprirono a formulare un nome: “Shun!”; mentre un braccio si sollevava, come alla ricerca spasmodica di qualcosa, o qualcuno, che avrebbe dovuto trovarsi lì e invece non c’era.
L’attimo successivo, Ikki si mise seduto, stropicciandosi gli occhi, con un’esclamazione di disappunto; quel sogno lo tormentava da un anno ormai, da quando Hades aveva cercato di portargli via quanto aveva di più prezioso al mondo, da quando… si guardò le mani convulse e tremanti… da quando quelle stesse mani lo avevano colpito, quasi spaccandogli il cuore, per distruggere quella maledetta divinità.
“Sono diventato un debole” imprecò tra i denti, contro se stesso “Anzi, probabilmente lo sono sempre stato.”
Se avesse potuto, si sarebbe preso a sberle da solo, per imporsi di darsi una svegliata; come avrebbe potuto essere un sostegno per Shun in simili condizioni?
Di rimettersi a dormire, a quel punto, non se ne parlava proprio; aveva un assoluto bisogno di vederlo, benché ciò rasentasse l’autentica paranoia, di accertarsi che stesse bene. Così si alzò e, attraverso il corridoio, giunse davanti alla porta chiusa oltre la quale, almeno così sperava, Shun dormiva tranquillamente, ignaro degli assurdi tormenti che minavano la salute mentale del fratello maggiore.
Silenziosamente, in preda ad un’ansia che avrebbe voluto cacciare come un insetto molesto, socchiuse appena la porta e sbirciò oltre essa…
Il letto era vuoto…
Possibile che l’oscurità lo ingannasse e Shun, in realtà, dormisse in modo talmente tranquillo da fondersi del tutto con il giaciglio? No, non si sbagliava, era proprio vuoto.
Senza riflettere spalancò del tutto la porta, pronto a mettere in allarme tutta la villa se si fosse rivelato necessario; perché non era nel suo letto? Hades era forse tornato per riprenderselo e portarlo via con sé, questa volta definitivamente?
Si bloccò sulla soglia quando lo vide, una snella, gentile creatura stagliata sensualmente nelle ombre della notte, le linee dolci del suo corpo accarezzate dal materno raggio di una luna che, forse, avrebbe desiderato abbracciarlo; era appollaiato sul davanzale e guardava fuori, avvolto nel pigiama giallo, i piedi nudi raccolti sulla cornice inferiore del rettangolo aperto sull’oscurità. Era tale la malinconia emanata da quella creatura che avrebbe stretto il cuore al più gelido degli uomini… e di sicuro Ikki apparteneva a quella categoria… o meglio, così aveva sempre creduto; se in passato questa era stata un’illusione o se anche uno strato di ghiaccio e pietra aveva inaridito il suo petto, adesso non era certo che quello strato fosse ancora in piedi, non era neanche più certo che ci fosse una qualche illusione di esso. In realtà, in quel momento avrebbe voluto piangere.
“Shun…”
Il ragazzino non si mosse, neanche udendo la sua voce eppure, non appena Ikki si avvicinò, fin quasi ad accostarsi a lui, lo sentì parlare, come a sé stesso:
“E’ tutto così bello… non è vero, Niisan?”
Senza comprendere esattamente a cosa Shun si riferisse, il fratello maggiore portò il proprio sguardo oltre le sembianze del tenero adolescente e si perse nell’immenso disco lunare che si specchiava sulle foglie degli alberi, colorandole d’oro. La sensibilità di Shun era dunque rapita dalla limpida bellezza della natura? E allora perché sembrava tanto triste?
“Come può il mondo essere così bello e al tempo stesso orribile?”
Le orecchie del ragazzo più grande si tesero ed ogni sua attenzione, nuovamente, si concentrò sul fratellino, chiedendosi dove fosse finita quell’incrollabile forza d’animo che mai lo aveva fatto dubitare su quanto la Terra fosse meravigliosa, quanto degna di essere protetta da lui, degna di ogni suo sacrificio; da quando erano tornati dall’Ade, l’anima di Shun sembrava affogare unicamente nel fango e nelle brutture, isola di pace e bellezza in mezzo ad un oceano di nefasta malvagità. Le esperienze orribili che aveva dovuto affrontare, lo avevano dunque segnato a tal punto? Perché, dopo tanto tempo, un tale, improvviso cambiamento, un tale pessimismo ad oscurare un così nobile spirito?
La Terra e i suoi abitanti non lo meritavano, la razza umana non meritava di perdere un maestro di vita come Shun; se così fosse stato, se lo stesso Shun si fosse smarrito in quell’insopportabile male di vivere, ogni speranza residua per il mondo si sarebbe smarrita, per non ritornare mai più.
“Cosa stai dicendo, otooto-kun? Mi fai preoccupare, lì seduto, a guardare fuori e a pensare cose simili, quando dovresti essere nel mondo dei sogni.”
“Sognare” il viso di Shun rimaneva testardamente voltato verso l’esterno e la posizione ancora immutata “Sarebbe bello riuscire ancora a sognare, se il sonno portasse immagini piacevoli, quei sogni che ti suggeriscono quanto la vita è bella… ma come posso ancora pensare che la vita è bella, dopo che l’ho conosciuta fino in fondo? Dopo che io stesso ho perpetrato tanto male, dopo che tanti occhi, morenti per mia mano, hanno incontrato il mio sguardo? Come posso trovare una qualche bellezza in tutto questo?”
Con lentezza estrema, finalmente il viso accennò un movimento, le mani si sollevarono; gli occhi del ragazzino fissarono lungamente i palmi rivolti verso l’alto, con un qualcosa di insano che spaventò terribilmente Ikki.
“Sono… sporche di sangue… perché non riesco a pulirle, perché non riesco a mandar via questo sangue dalle mie mani?”
Le terribili parole contrastavano nettamente con il tono da uccellino che le pronunciò e l’angoscia di Ikki crebbe, impedendogli di muoversi, quando invece avrebbe desiderato afferrarlo e stringerlo tra le sue braccia, anche prenderlo a schiaffi, per imporgli di smetterla con quelle atroci sciocchezze.
“Shun…”
Fu tutto quello che la voce gli permise, il nome del fratello pronunciato come un lamento talmente sottile che il ragazzino non poté udirlo, preso com’era dalle proprie farneticazioni folli ed insensate. La testa bionda del giovane si sollevò di scatto, gli occhi sbarrati si guardarono freneticamente intorno:
“E’ tutto intorno a me, sto affogando, è tutto il sangue che invade la Terra, il sangue che io stesso ho versato e continua ad aumentare!”
Era come un animale in gabbia, senza via d’uscita e, lasciandosi guidare dall’istinto, un Ikki più terrorizzato di lui tese le braccia, colto dall’improvvisa paura di vedere il fratellino cadere oltre la finestra aperta. In risposta a quel gesto, Shun fece un balzo, aggrappandosi convulsamente alle maniche del pigiama azzurro indossato da Ikki:
“Aiutami Niisan! Ho paura, non ce la faccio più!”
Sarebbe crollato al suolo se Ikki non l’avesse tenuto stretto, come da sempre l’istinto di protezione del fratello maggiore gli aveva insegnato, come la prima volta in cui la loro mamma glielo aveva mostrato, chiedendogli di amarlo profondamente; allora Ikki aveva promesso, come aveva promesso alla donna, consapevole del proprio destino segnato, che, anche se loro due, bambini, fossero rimasti soli, lui che era il maggiore, due anni appena, lo avrebbe protetto sempre da ogni minaccia.
Si trattava di proteggerlo da sé stesso ora, ed era l’impresa più difficile che mai gli fosse capitata; Ikki non era mai stato capace di difendersi da se stesso, come avrebbe potuto insegnare ad un’altra persona a farlo? Con quale cognizione di causa? Eppure, per suo fratello era disposto ad imparare, a mettersi alla prova, a cambiare interiormente, cosa che già in parte era accaduta… solo per amor suo, perché Shun potesse essere fiero di lui, per sentirsi sempre più degno dell’incondizionata adorazione che Shun gli riservava… troppa strada doveva ancora percorrere per raggiungere quella perfezione che il suo prezioso fratello avrebbe meritato ma, da quando le battaglie si erano concluse, questo era diventato il suo scopo principale.
Lui, che aveva sempre odiato il mondo e mai nel mondo aveva riposto fiducia e trovato qualcosa per cui gioire, adesso quel qualcosa doveva trovarlo, perché Shun non si spegnesse e non perdesse egli stesso ciò che lo rendeva tanto bello e forte dentro. Non sarebbe stata la prima volta per Ikki, uno sforzo del genere lo aveva già compiuto in passato, benché mai la situazione, per Shun, fosse sembrata grave come in quel momento. Come aveva fatto, in passato, quando Shun, troppo emotivo, generoso e modesto per accettare pienamente il proprio ruolo di giustiziere, perdeva, nei momenti critici, la fiducia nei propri ideali? Cercava di pensare a qualcosa di bello, a qualcosa per la quale valesse la pena vivere e continuare a lottare, perché tutti, anche chi, come Ikki, tendeva ad affogare nel proprio disincanto, se sanno ascoltarsi senza le interferenze di una mente smarrita nel confuso cinismo, scorgono, nel profondo della propria anima, qualcosa che vale, che merita la lotta, che merita una speranza sempre viva e pulsante. Una tale risposta Ikki l’aveva trovata in Shun, nell’esistenza stessa del suo fratellino e per questo, pur di sottrarlo ai momenti di debolezza, lui stesso si sforzava di amare quel mondo che il ragazzino gentile amava con tutto sé stesso e di spronarlo, per questo, a conservare ben saldi dentro il proprio cuore gli ideali d’amore nati con lui.
Questa volta era difficile, vedere Shun in quello stato gli provocava una reazione del tutto opposta, lo spingeva ad odiare il mondo, la vita, tutto ciò che la sua unica stella in un cielo di tenebra aveva dovuto sopportare e subire, niente di positivo si insinuava nel suo cuore a suggerirgli come comportarsi per sollevare il fratellino da un simile peso… forse perché anche lui si sentiva esausto, spossato, privo di ogni motivazione, ora che le guerre erano finite, ora che dovevano combattere contro la quotidianità e contro un’esistenza che, in realtà, alla fiera Fenice non era mai appartenuta…
Trovare una motivazione, per spronarlo ancora una volta, per costringerlo a vivere e, in funzione di tale scopo, trovare tale motivazione innanzitutto in sé stesso… ma com’era possibile se quella maledetta voce della coscienza gli suggeriva che Shun aveva ragione a stare così male e che le loro battaglie, in realtà, non erano servite a nulla? Chi era stato il primo ad insinuare quell’incubo nella mente di Shun? Un musico triste che aveva dimora tra i ghiacci leggendari di Asgard, un cuore colmo di dubbi che, per combattere una persona straordinaria come Shun, aveva usato l’arma che aveva sconvolto lui stesso: il dubbio, quel tarlo che si insinua e cancella ogni traccia di lucidità, uccidendo gli ideali e la speranza.
“Perché non riesco ad essere forte come allora?” si rimproverò mentalmente Ikki, mentre Shun ancora singhiozzava, avvinghiato a lui come se staccarsi avesse significato perdere l’unico appiglio in un oceano in tempesta.
Non poté fare altro che chiamarlo nuovamente, con tono sofferto, palesando la paura che lui stesso provava e non riusciva, questa volta, ad arginare; come se il solo sentir pronunciare il suo nome in tal modo fosse per Shun una prova troppo dura da sopportare, il ragazzino staccò il viso dal petto di Ikki e lo sollevò:
“Niisan…”
In quell’invocazione erano celati, in singolare armonia, la supplica angosciosa di chi chiede disperatamente aiuto e il desiderio di fare coraggio, pur sapendo di non riuscirci e rendendo in tal modo la situazione ancor più drammatica; tuttavia, nel momento stesso in cui quelle pozze di smeraldo, lucide e congestionate, eppure integre nella loro limpida purezza, incontrarono il suo sguardo, qualcosa nell’animo di Ikki si sciolse, la pellicola della memoria si riavvolse e il ragazzo udì, dentro di sé, una vocetta infantile ma che riconobbe inequivocabilmente come la sua di parecchi anni prima:
“Te lo giuro, mamma, lo proteggerò e proteggerò il suo cuore puro.”
Era stato l’inizio di tutto; altri momenti si dipanarono, le promesse fatte a sé stesso e al fratello.
“Tornerò e staremo sempre insieme…”
“Un giorno saremo felici anche noi…”
“Possiamo combattere il destino, tu puoi reagire al tuo destino, Shun, hai dentro di te la forza per farlo…”
“Ci sarà la luce al di là della tenebra ed insieme la troveremo…”
Trovare insieme la luce… eccola la risposta! Erano insieme, loro due, fratelli, separati per troppo tempo dal fato e dalla debolezza di Ikki, avevano ottenuto almeno quella vittoria, la luce che avevano cercato tanto a lungo, un frammento almeno di quella luce, l’avevano conquistato; come potevano pensare che tutto fosse orribile al mondo, che non ci fosse speranza, se avevano ottenuto una così grande vittoria? Il loro legame fraterno, la loro vicinanza, non apparteneva forse a quel genere di bellezza che rendeva il mondo migliore e la vita degna di essere vissuta? Era solo il primo passo, la bellezza cominciava dai loro cuori schiusi al reciproco amore e bellezza era il cuore che batteva nel petto di Shun. Non ne aveva mai dubitato, ciò che gli era mancato era stata la risoluzione necessaria per aiutare anche il fratellino ad aprire gli occhi, nuovamente, sulla vita e su sé stesso.
Non era completamente conscio di ciò che avrebbe fatto e detto ma l’istinto di fratello lo prese per mano e, l’istante successivo, dopo aver portato un braccio dietro le ginocchia di Shun, lo sollevò da terra, con un tale impeto che il ragazzino, colto alla sprovvista, si aggrappò per qualche istante alle sue spalle, prima di abbandonarsi totalmente, lasciandosi cullare da quel contatto grazie al quale gli sembrava di tornare un bambino. Non gli dispiaceva, non lo umiliava, non in quel momento, perché era proprio ciò di cui aveva bisogno.
Non diede segno di spavento o stupore quando Ikki scavalcò la finestra e spiccò un balzo, saltando tra i rami di un albero prima di raggiungere il suolo.
“Dove andiamo, Niisan?” si limitò a chiedere, come se in realtà non fosse davvero importante e ciò che contasse era restare così, stretti l’uno all’altro, desiderando che non finisse mai.



***


L’alba era prossima; due figure, fuse l’una nell’altra come una singola creatura, si aggiravano per strade solitarie, sospesi in una dimensione onirica appartenente solo a loro; la più grande di quelle due figure avanzava, solenne ed eretta, reggendo la più piccola che, ad una prima occhiata, al confronto, appariva ancora caratterizzata dalle fattezze minuscole dell’infanzia.
Non vi era autentico errore in quella prima, superficiale considerazione: si trattava in effetti di due ragazzini, benché il maggiore sembrasse tanto più grande ed adulto; eppure, quei due fratelli che procedevano in perfetta solitudine, i loro contorni quasi irreali nei primi spruzzi di sole, quasi fossero, essi stessi, frammenti di sogni sfuggiti dal sonno di qualcuno durante la notte appena trascorsa, avevano solo due anni di differenza, ed erano appena adolescenti, attori involontari di una storia che aveva radici nel mito.
Anche il paesaggio che li circondava, a quell’ora, in quelle particolari condizioni di luce, non aveva nulla di reale, era difficile credere che, poco distante, la caotica Tokyo proseguisse imperterrita la propria esistenza metropolitana, in un dipanarsi del tempo che non conosceva distinzione tra il giorno e la notte.
Intorno ai due ragazzi si stagliavano guglie e torrioni di rocce, come un castello eretto a proteggerli dalle contaminazioni della soffocante modernità; un solo suono risuonava, come un’eco lontana, forse il fruscio monotono delle onde del mare, eppure anch’esso sembrava appartenere ad un’altra realtà, forse vicina ma non tangibile. Erano fuori dal mondo, in quel momento, i due fratelli, e solo loro esistevano, loro e quel paesaggio che gli occhi riuscivano a scorgere: rocce, rocce e rocce, tanto da risultare opprimente.
Il più piccolo dei due, i cui occhi erano rimasti chiusi, il volto nascosto sul petto del fratello, come se non gli importasse di altro, si decise, allorché il più grande si fermò, a sollevare il viso e a schiudere le palpebre, per guardarsi intorno.
“Non c’è… proprio niente qui…” sussurrò sottilmente, il cinguettio tenue di un uccellino implume “Sento il mare, ma non i gabbiani… vedo solo rocce ma nessuno di quegli animaletti che scorazzano, di solito, sulle scogliere in riva all’oceano…”
Si fermò, deglutendo un grumo di saliva che gli ostruiva la gola, indice di un’emozione profonda, non avrebbe saputo dire se di origine negativa o positiva, quindi concluse, con voce ancora più bassa:
“Non c’è assolutamente vita…”
“Ne sei sicuro, Shun?”
La voce calma e profonda del fratello, spinse il ragazzino a scrutarlo, inclinando leggermente il capo da una parte, come un cucciolo curioso che cerca di capire qualcosa di troppo misterioso per lui.
“Guarda attentamente sopra alla roccia più alta” proseguì il ragazzo più grande che, nel frattempo, nonostante fossero fermi, non si decideva a rimetterlo a terra, come se questo avesse significato spezzare un incanto.
Come sempre, il ragazzino non poté impedirsi di obbedire ad una richiesta del fratello maggiore e, resistendo ai bagliori già accecanti di un giorno che stava nascendo, sollevò il volto, scrutando il promontorio roccioso davanti a loro, così imponente che quasi si perdeva in alto, tra i raggi luminosi dell’alba. Eppure, nonostante il caotico gioco di luci, Shun vide qualcosa che attirò la sua attenzione: una macchia gialla che sembrava nutrirsi della pioggia di sole, avidamente, una macchia di gioia che inneggiava alla vita.
“Una ginestra…” mormorò Shun, completamente rapito, gli occhi semiaperti, sempre più avvezzi ormai alla luce troppo forte e sempre più avidi di dissetarsi in quella fonte di vita.
“Il fiore del deserto” confermò il fratello “la ginestra maestra di vita…”
“Cosa intendi, Ikki-Niisan?”
“Che lei ti assomiglia, Shun…”
Il ragazzino sussultò tra le sue braccia e Ikki accentuò la stretta, come se improvvisamente avesse temuto di farlo cadere.
“Niisan… io non ho niente di bello dentro… non sono neanche forte…”
Come ti sbagli fratellino, avrebbe voluto urlare il fratello maggiore, invece si impose la calma; arrabbiarsi non sarebbe servito a nulla, ogni reazione inconsulta e troppo emotiva avrebbe rovinato i suoi intenti. Invece si raccolse in sé stesso e cominciò a parlare, lasciandosi guidare unicamente dall’immenso amore, ammirazione e rispetto che nutriva nei confronti di quel fiore tenero che giaceva tra le sue braccia e che nulla aveva da invidiare alla piantina abbarbicata lassù, simbolo di forza e tenacia.
“Riesci a comprendere ciò che quella piccola ginestra desidera dirti Shun?”
Gli occhi grandi del fratellino tremolarono, mentre in essi si rifletteva quel fiore, quasi volesse entrare dentro di lui, per farsi meglio capire, per trasmettergli tutto il suo ottimismo e la sua gioia di vivere.
“Ascolta attentamente il tuo cuore, perché è ad esso che lei sta parlando; sono in profonda sintonia, sai?”
Le palpebre di Shun si serrarono e il suo viso assunse un’espressione assorta; prendeva molto seriamente la lezione del fratello e davvero desiderava sentire quella voce dentro di sé.
Fu ancora la voce di Ikki che parlò ma, nell’animo di Shun, essa si fuse con la voce del fiore; gli occhi chiusi, vedeva la ginestra ondeggiare nel vento e resistere alle intemperie, amando con tutta sé stessa quel luogo apparentemente privo di vita che aveva scelto a propria dimora:
“L’ha scelto proprio per il suo gran desiderio di donare ad esso la vita; lei è la sola fiammella di vita esistente in questo luogo, eppure… eppure lei è sufficiente a renderlo molto più bello e degno, non credi Shun?”
Sì era vero, neanche Shun poteva metterlo in dubbio.
“Inoltre, con la sua sola presenza, anche ciò che è brutto e arido, conquista in tal modo la possibilità di diventare bello, la speranza di migliorare, non importa quanto tempo impiegherà a farlo…”
Shun annuì, la qual cosa incoraggiò Ikki a proseguire ancora:
“Non basta tutta la bruttezza e la crudeltà che c’è nel mondo ad oscurare anche la più piccola cosa bella… tutto ciò che muore non può offuscare la gioia di una sola creatura che nasce, la sporcizia che inquina, la cattiveria che distrugge, non tolgono valore all’innocenza di chi cerca di rendere il mondo migliore, al sorriso di un bambino, a un cucciolo che gioca felice ed ignaro del male… Le grida di dolore e di morte, il sangue che scorre, non rendono meno prezioso un fiore che sboccia…”
A quel punto, Shun non era più riuscito a trattenere le lacrime ma non singhiozzava, piangeva in silenzio, ansioso di ascoltare ancora.
E le sue aspettative non rimasero deluse:
“Una sola cosa bella, anche se fosse l’unica sopravvissuta in un mondo in cui regnano unicamente cattiveria e terrore, basterebbe per riscattare il nostro intero pianeta; ogni cosa bella è un miracolo… e non c’è nulla di più miracoloso e bello di una creatura che, attraversando dolore e sofferenza senza sosta, cresce e si mantiene forte e pura in mezzo alle brutture che la vita impone… questa cosa forte e pura è la speranza del nostro mondo e proprio per questo deve mantenersi tale, ugualmente forte, ugualmente bella ed integra nella sua purezza… per il bene della Terra e della vita, essa non può permettersi di crollare, proprio come quella piccola ginestra, lieta nonostante tutto del proprio destino…”
A questo punto, come se i loro sguardi si attraessero alla stregua di una calamita, i loro occhi si incontrarono, proprio sulle ultime parole di Ikki:
“E questa cosa bella, pura e miracolosa, si chiama Shun…”
lasciandosi sfuggire un singhiozzo acuto, il ragazzino più piccolo nascose nuovamente il volto sul petto del fratello.
“Ti prego, mio Shun… non tradire la vita… non abbandonarla mai, perché lei ha bisogno di te… non tradire la Terra, perché lei vuole la tua bellezza e la tua purezza per sé, non tradire gli uomini che ancora conservano la speranza, perché da te loro vogliono imparare a cambiare, a crescere e a diventare migliori…”
Non giunse nessuna riposta, non ce n’era bisogno; lì, tra quelle rocce, vegliati da un fiore giallo che sembrava sorridere di felicità per loro, tra i due fratelli era accaduto qualcosa… qualcosa di bello e di miracoloso…
Su quel paesaggio fuori del tempo, il sole ormai era sorto e quella mattina il loro amato mondo, sommerso dalla luce, appariva bello come mai prima d’ora.



[…] E tu, lenta ginestra,
che di selve odorate
queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco,
che ritornando al loco
già noto, stenderà l’avaro lembo
su tue molli foreste. E piegherai
sotto il fascio mortal non renitente
il tuo capo innocente:
ma non piegato insino allora indarno
codardamente supplicando innanzi
al futuro oppressor; ma non eretto
con forsennato orgoglio inver le stelle,
né sul deserto, dove
e la sede e i natali
non per voler ma per fortuna avesti;
ma più saggia, ma tanto
men inferma dell’uom, quanto le frali
tue stirpi non credesti
o dal fato o da te fatte immortali.

(Da La ginestra, o il fiore del deserto, di G. Leopardi, ed. Mondatori, 1987)



 
  » Segnala questa fanfic se non rispetta il regolamento del sito
 


VOTO: (0 voti, 0 commenti)
 
COMMENTI:
NON CI SONO ANCORA COMMENTI, SCRIVI IL PRIMO! ^__-
 
SCRIVI IL TUO COMMENTO:

Utente:
Password:
Registrati -Password dimenticata?
Solo su questo capitolo Generale sulla Fanfic
Commento:
Il tuo voto: