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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: LA CAMPANA
Genere: Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Autore: briareos galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 21/03/2004 00:31:26

ho fatto questa storia ispirandomi a ``moonligth shadow`` di mike oldfield.non è male,e non è troppo lunga.se la leggete,speditemi 2 righe in fp,ok?
 
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- Capitolo 1° -








La superficie era fredda, ruvida e incredibilmente dura. Era Pietra, nella sua più pura espressione, una pietra primordiale, nata dalla lava e scavata dagli inverni, che n’avevano screpolato la superficie. Ma non era stato sufficiente il tempo che l’aveva lasciata in attesa per millenni,e non riuscì il gelo a spaccarla, a piegarla, nonostante tornasse ogni giorno per lunghe stagioni. Fu per questo che gli uomini la scelsero tra tante altre e la strapparono dalla montagna, a costo delle loro stesse vite; lavorarono assiduamente per molti giorni, e la terra s’impregnò del loro sudore e del loro sangue, schiacciati dal peso della pietra. Fu come un vagito, o maledizione scagliata a coloro che nell’arroganza la separarono dalle sue sorelle. Gli uomini n’ebbero timore e rispetto, poiché l’impatto fu così violento che il sangue rimase impresso per sempre nella pietra e delle ossa non se ne trovarono traccia; alcuni di loro mormorarono in segreto che il granito possedesse una volontà propria. Con questa e molte altre pietre simili costruirono una chiesa, e il suo pavimento.
Passarono molti altri anni e nella chiesa si compirono cerimonie e offerte a deì maligni, frutto delle fantasie dei deboli in cerca di una guida, e come deboli quali erano si spaventarono facilmente di fronte alle avversità della natura. Iniziarono così ad accusarsi a vicenda. Quello stesso luogo fu adibito a tribunale, e molti innocenti subirono torture e atroci punizioni per reati inesistenti, così molto altro sangue nutrì quelle pietre ed ad esso vennero sommate le urla di odio verso i carnefici; odio che si accumulò fino a far stridere le pareti e a renderle gelide e pesanti. Con gli anni gli uomini se n’andarono e dimenticarono tutto, abbandonando il loro luogo di culto all’edera e alle piante, che la circondarono e l’avvolsero, assicurandogli il riposo. Mentre la pietra dormiva le travi e gli assi di legno marcirono e il tetto crollò, trascinando con sé parte delle mura; della forma che era stata decisa dagli uomini non v’è n’era più traccia, ad eccezione della torre che reggeva la campana. La campana stessa perdurò indenne attraverso gli elementi, e per molte generazioni non conobbe che il silenzio e le tenebre. Fino a qualche giorno fa.
Grim era schiacciato a terra, la guancia appoggiata al pavimento. Il freddo aveva intorpidito il suo corpo e aveva l’impressione di sentire il peso dei blocchi di pietra su cui era sdraiato. Si era appena destato da uno stato d’incoscienza, e si sentiva debole e confuso; stava così disteso fissando la propria mano sporca di un sangue che non era il suo. Non ricordava nulla, solo pochi particolari. Perché si trovava lì? Si alzò aggrappandosi alle macerie, la testa gli girava. I suoi vestiti erano sporchi e più là, vicino ad alcune rovine, vide una striscia di sangue che portava fin dentro l’ombra di una torre.
Torre…iniziava a ricordare ciò che era accaduto. Aveva scoperto questo posto mentre seguiva suo padre in una delle sue noiosissime battute di caccia, e n’era rimasto subito affascinato. Era raro trovare qualcosa d’interessante mentre vagava in quei boschi tutti uguali, spesso senza riuscire a portare a casa nulla. Suo padre continuava a dirgli che era uno sport e che doveva apprezzare le bellezze della natura, la caccia era piuttosto una scusa per poter passeggiare tra gli alberi. Era una cosa estremamente frustrante dover partire ogni domenica, di prima mattina e dover fingere di divertirsi per un’intera giornata, spesso accompagnato da altri cacciatori dal cervello stretto, ma in fondo suo padre non reclamava molto dal loro rapporto. Era una specie di patto non detto che i due avevano stipulato fra di loro: il padre non pretendeva che il figlio si confidasse con lui, e il figlio gli dedicava uno dei suoi giorni liberi. In una di queste occasioni, mentre erano in attesa del passaggio di un qualche tipo di selvaggina, il ragazzo vide delle rovine. All’inizio pensò che fossero dei semplici massi, ma quando s’avvicinò notò che la loro disposizione non poteva essere casuale. Ciò che lo entusiasmò fu la scoperta della torre, nascosta da delle querce che le erano cresciute intorno, senza mai toccarla né con le radici né con i rami. Era perfettamente integra, ad eccezione del tetto che probabilmente un tempo era di legno. Ispezionando il suolo intorno ad essa notò che la pavimentazione non scomparsa, ma solo coperta da della terra, che poteva facilmente rimuovere. Suo padre dette poco peso alla scoperta, e gli disse che probabilmente erano i resti di un vecchio mulino, o di un frantoio, ma questa spiegazione non convinse il ragazzo.
Quel posto aveva un’atmosfera particolare, Grim sentiva tornare in sé la voglia di magia di quando era bambino, quando ogni angolo nascosto conteneva un tesoro.
La torre e i suoi misteri divennero una sua passione, e ogniqualvolta che andava a caccia con suo padre si fermava lì a pulire i ruderi dalle piante e dalle erbacce, finché riportò ogni singolo masso alla luce. Tutto tranne l’entrata della torre. Le antichissime querce ne impedivano l’accesso, serrandola con i loro grandi tronchi. Si comportavano come guardiani, e questo stuzzicò ancora di più la curiosità del ragazzo, che non passava giorno che non fantasticasse sulle meraviglie che avrebbe trovato al suo interno. Arrivò l’estate, e con essa la fine della scuola. Le giornate si allungarono, e l’interesse verso i ruderi si trasformarono in un’ossessione; passava intere giornate nascosto nel bosco a fissare i tronchi, consumandosi l’anima per l’angoscia di non poter afferrare i loro segreti. Arrivò a mentire ai propri genitori inventando scuse sempre nuove per giustificare i suoi ritardi, che si prolungarono fino all’oscurità. I suoi amici cominciarono ad evitarlo, trovandolo troppo strano e Dora, la sua ragazza, iniziò a preoccuparsi del suo comportamento. Ad ogni domanda personale si faceva elusivo, e si rinchiudeva in sé stesso borbottando d’avere qualche piccolo scossone adolescenziale.Ma lo conosceva bene. Grim era sempre stato un ragazzo singolare, e forse faticava ad abbandonare la sua infanzia, ma non aveva mai avuto problemi. Invece era diventato scontroso, intrattabile e non si vedevano più spesso come un tempo, come se stesse cercando di sfuggirgli. Non gli parlava più, e spesso la evitava, Dora iniziò a pensare che avesse un’altra ragazza, e iniziò a pedinarlo. Lo vide sparire nei boschi e ritornare di notte, sempre con uno sguardo terribile, allucinato.
Un giorno, stanca di tutte queste stranezze decise di affrontarlo e gli sbarrò la strada. Grim continuava a non rispondere alle sue domande. Quando Dora cercò di trattenerlo fu respinta con una violenza inaudita, sbattuta a terra con una ferocia insensata per un attimo pensò che stesse per picchiarla, invece passò oltre a passo svelto, come fosse in ritardo ad un appuntamento.
La ragazza rimase lì a piangere, chiedendosi il perché di questo cambiamento, giurandosi che non avrebbe fatto più nulla per lui.
Grim era furioso, era stato distratto dai suoi pensieri per colpa di una sciocca; avrebbe trovato un altro giorno il tempo per lei, ora doveva fare qualcosa di infinitamente più importante: doveva trovare il modo di superarare quei maledetti tronchi.
Le sue notti iniziavano ad essere infestate da incubi terrificanti, con visioni di torture, di persone scorticate vive, di mutilazioni, di grida disperate e sangue, laghi di sangue in cui finiva sempre per annegare, risvegliandosi madido di sudore. Ogni notte aveva gli stessi incubi, e finì con l’aver paura di addormentarsi. Una notte mentre dormiva un sonno tormentato, ebbe una visione: vide la torre, libera dai suoi guardiani, illuminata dalla luce di un cielo livido e rossastro. Non pareva più una costruzione umana, ma un’escrescenza della terra, sviluppata dalle fondamenta come un albero, o un qualche tipo di reazione tumorale nato dal veleno della terra. Nella strana luce malata la torre appariva terrificante, e ad un tratto qualcosa dentro di lei esplose con un suono metallico. Prima uno scricchiolio stridulo, poi un suono simile ad un tuono, due montagne che si scontravano con una violenza inaudita; il ragazzo sentì i propri timpani scoppiare in un dolore lancinante, e si svegliò che si stava ancora premendo gli orecchi. Nella sua mente era ancora impressa l’immagine della Torre, e benché in preda al terrore si vestì e corse nel bosco, appena illuminato dalla luce dell’alba. Durante la notte c’era stato un temporale, ed un fulmine aveva distrutto le querce. I guardiani non c’erano più, e nonostante il terreno intorno fosse ancora fumante la Torre rimaneva là, indenne. Nelle sue mura le pietre erano arrossate, come macchiate dal vino, e nessuna pianta aveva osato crescere sulla sua superficie. L’arco che dava accesso al suo interno era completamente libero, e l’oscurità che vi si annidava al suo interno scrutava nell’anima del ragazzo. Il suo corpo s’irrigidì come stretto in una morsa e nella sua mente esplosero immagini di sangue e ancora degli schianti terribili e la luce di un sole morente. Appena riuscì a muoversi corse a perdifiato verso casa, graffiandosi, cadendo, strappandosi i vestiti, pieno di una paura di cui non avrebbe mai immaginato l’esistenza. I suoi genitori si allarmarono vedendolo arrivare in quello stato, ed egli raccontò d’esser uscito per una passeggiata e di essersi poi perso nel bosco. Per quanto improbabile fosse la scusa i genitori gli crederono, disinfettarono i suoi graffi e lo lasciarono dormire fino a pomeriggio inoltrato. Il ragazzo si svegliò che stava facendo sera, e si sentiva pervaso da una strana euforia; le sue mani tremavano d’impazienza e andava crescendo il lui un senso d’eccitazione: la coscienza di un compito che doveva svolgere quella sera stessa. Non sapeva cosa doveva fare, ma il suo corpo aveva in sé l’atteggiamento di un’abitudine, e lo stimolo di un richiamo. Fuggì di casa portando con sé il vecchio cane e si diresse nel bosco nonostante fosse ancora vivo il terrore che aveva provato quella mattina. Le sue gambe lo guidavano con decisione, e la sua voglia di scappare via era unita all’eccitazione dell’attesa. Arrivò davanti alla torre che era il crepuscolo e tutto apparve come nell’incubo. Dai suoi occhi sgorgavano lacrime di paura, ma il suo corpo continuava a muoversi con un’altra coscienza. Legò il cane ad un ramo e si mise a scavare sotto ad alcune macerie; non aveva idea di cosa stava facendo ma doveva trovare ciò che stava cercando a qualsiasi costo. Ad un tratto sfilò dalla terra un lungo pezzo di ferro contorto e rugginoso, scoperta che lo riempì d’orgoglio. Benedì lo stiletto al cielo e poi si diresse verso il cane. In cuor suo sapeva già cosa avrebbe fatto, e cercò in tutti i modi di fermarsi, ma inutilmente. La nuova coscienza che si muoveva nella sua personalità aveva bisogno di quel rituale, era lo scopo della sua esistenza e gioiva in quello che faceva. Il cane dormiva, senza porsi domande sul perché il suo padrone avesse deciso di portarlo in quel luogo; quando fu alzato per le zampe anteriori pensò che fosse un nuovo gioco e guaì festosamente cercando di leccargli la mano. Il dolore arrivò inaspettato e dirompente, un ruvido oggetto appuntito gli si conficcò nel ventre e risalì verso l’alto strappando la pelle. Un’agonia che si protrasse per ore, che scacciò gli uccelli e mise al silenzio i grilli, finché l’unico suono che echeggiava nell’oscurità era il lamento straziante di un dolore dato senza motivo e con infinita crudeltà. Il ragazzo godette del suo operato, e srotolò fuori le viscere della bestia mentre questa era ancora in vita. Infine, quando vide che il cane stava per morire ne prese il corpo e lo gettò all’entrata della torre, e aspettò. Non sapeva che cosa stava aspettando, la sua mente sconvolta gli ripeteva che doveva solamente avere pazienza. Ad un tratto le nuvole eclissarono la luna e le ombre si acuirono; nell’oscurità il ragazzo riuscì a scorgere che qualcosa stava fluendo lentamente al di fuori della torre, un grumo di tenebra che si muoveva come una moltitudine di serpenti. Una volta raggiunta la carcassa la afferrarono e la trascinarono avidamente all’interno, portandola nel segreto dell’ombra. Un sorriso piegò lo sguardo allucinato del ragazzo, nell’eccitazione del dono promesso.
L’attesa era finita.
La campana cigolò sui suoi cardini, come se si spezzasse, ed emise un unico rintocco metallico, privo d’eco. La sua mente esplose in una cascata di sensazioni, di ricordi, d’esperienze mai vissute. Il contenuto di decine di vite lo travolse come un fulmine, un lampo luminoso che riempiva ogni nicchia della sua ragione annichilendo ogni tentativo di resistenza; in una scheggia di tempo nacque e morì migliaia di volte, imparò a combattere da soldato e a dare alla luce i figli, conobbe il moto delle stelle e assaporò una fede incrollabile.
Il ragazzo svenne e si afflosciò su di sé come un sacco vuoto, mentre dentro di sé un gorgo impazzito continuava a risucchiare il tempo delle generazioni passate.
Ora ricordava.
Ora aveva la conoscenza e l’esperienza di centinaia d’adulti, era rinato. Si diresse a casa, mentre dentro di sé sapeva cosa avrebbe dovuto a fare nei prossimi mesi. Avrebbe saturato la sua essenza di conoscenze arcane, inimmaginabili, riti perduti e religioni distrutte. Non ci sarebbero stati segreti, i Perché si sarebbero dischiusi come fiori, il significato dell’esistenza sarebbe stato una banalità, così come gli avvenimenti futuri. Era impaziente.
In casa i genitori lo accolsero disperati, lo stavano cercando già da due giorni, tanto era durata la sua Trascendenza. Disse loro che si era risvegliato nel bosco, e che non ricordava nulla di quei due giorni. Sapeva che questo sarebbe bastato, nella sua memoria altri occhi avevano visto i suoi genitori da giovani, erano sempre stati mediocri e ingenui, incapaci di vedere oltre i propri occhi. Passarono alcuni giorni, e Grim si comportò com’era solito fare prima che incontrasse la Torre, riallacciò le amicizie con i suoi compagni, si comportò da buon figlio e smise di pellegrinare nei boschi. Soltanto Dora, la sua ragazza, continuava a trattarlo freddamente.
Dora era spaventata dai suoi cambiamenti. Era passato da un estremo all’altro inoltre aveva un atteggiamento falso, e qualcosa di maligno era germogliato in lui. Lo vedeva dai suoi occhi, così sicuri, così spietati… ma non riusciva ad immaginare cosa fosse successo.
Continuò ad evitarlo, nonostante gli mancasse tantissimo.
Le notti erano divenute folli, il ragazzo non aveva più bisogno di dormire, il suo spirito si cibava delle visioni che le tenebre gli mandavano. Sentiva il bisogno d’altre Trascendenze, e il bisogno aumentava notte dopo notte, in un crescendo. Ma la Torre non si sarebbe accontentata di un altro animale; maggiore l’offerta maggiore la ricompensa, è questa la lezione che aveva ricevuto. Sapeva già dove avrebbe trovato l’offerta, l’importante sarebbe stato muoversi con calma e precisione.
Programmò tutto con un’attenzione maniacale, calcolando minuti ed emozioni, sommando i tempi di reazione e cercando di immaginare ogni possibile ostacolo. Capì che doveva aspettare, essere cauto e freddo, insospettabile.
Il momento propizio venne verso la fine dell’estate, in Settembre, di domenica. La sua famiglia decise di fare una scampagnata all’aperto, per festeggiare la venuta di un nuovo ciclo lunare. Grim era disgustato da una tale tradizione, così primitiva, così inutile, ma era un’ottima occasione per allontanarli dal paese.
La mancanza di una nuova Trascendenza si faceva sentire con dolorosi spasmi, come se qualcuno lo stesse masticando dall’interno; faticava sempre più a mantenere la sua maschera di tranquillità, ed ormai non ricordava più l’ultima volta che aveva dormito. Nonostante tutto il suo corpo non mostrava nessun segno di questi turbamenti, e questo lo aiutava.
I suoi genitori notarono che il loro figlio era particolarmente allegro quel pomeriggio, forse era perché si ritrovavano insieme dopo molto tempo; si promisero che d’ora in poi avrebbero fatto più spesso cose simili, se lo facevano così felice. Il comportamento di grimmy era migliorato molto negli ultimi tempi, era più disponibile, più partecipe della loro vita; voleva sapere dove andavano, con chi andavano, quanto restavano, cosa dovevano fare…talvolta era insistente, probabilmente era un sentimento di protezione. Il padre lasciò che fosse il ragazzo a scegliere il luogo dove pranzare, e quando vide quella vecchia costruzione così ben pulita ed accogliente ne fu entusiasta.
Passarono un bellissimo pomeriggio, discutendo e scherzando, fino al brindisi di vino invecchiato in offerta ad un nuovo, prosperoso anno; grimmy stranamente non prese parte al gesto, dicendo che aveva mangiato troppo e che non voleva appesantire ulteriormente il fegato.

Grim era al limite. Da quando aveva fatto ritorno alla Torre i dolori s’erano moltiplicati su tutti i suoi muscoli. Una tortura incessante che gli faceva venire la pelle d’oca, e solo un’incredibile determinazione gli aveva permesso una recita impeccabile. Alla fine giunse il brindisi, a cui aveva aggiunto una particolare mistura d’erbe.
Si permise di rilassarsi un attimo, nonostante avesse poco tempo. Guardò la Torre, a cui nessuno aveva prestato attenzione, e si chiese se dovesse fare ciò che avrebbe dovuto fare. Riconosceva i suoi genitori solo come una delle migliaia di coppie che lo avevano allevato nelle sue molte vite, ma ancora si sentiva legato a loro. La Torre gli rispose: colpì il suo corpo in profondità, nell’anima, con la forza di una tremenda martellata. Grim si sentì andare in pezzi, e per un attimo pensò di morire, mentre alcune scintille di Trascendenza gli trapassarono il cranio, infettando la sua coscienza. Il suo stomaco vuotò ciò che aveva ingerito, cercando di sfogare l’orribile sensazione che aveva provato. Emise un urlo rauco, mentre gli acidi gastrici gli corrodevano la gola; si rialzò piangendo, e mise in atto il progetto che aveva scritto giorni fa.
Da tempo si era preparato, e prese una borsa di pelle che aveva nascosto in un angolo; questa volta non avrebbe agito con un pezzo di ruggine, non avrebbe improvvisato, si sarebbe mosso con ordine e minuziosità, con l’esperienza di un pratico chirurgo di guerra. Adagiò i corpi su un banco di pietra e li incatenò in modo che non si potessero muovere. Bloccò i movimenti della testa e li imbavagliò.
Poi attese.
Svegliandosi l’uomo pensò che quel vino era veramente forte. Non riusciva ad alzarsi, ed aveva la bocca piena di un grosso pezzo di stoffa che lo faceva a malapena respirare. La testa gli girava ancora, e non capiva se fosse sveglio o se stesse ancora dormendo; grimmy gli stava accanto sporco di vomito. Lo vide avvicinarsi con un coltello splendente, simile a quello che usano i medici, e pensò che stesse per liberarlo. La lama punzecchiò la mano, facendo scivolare alcune gocce di sangue, gesto che fece infuriare l’uomo, che cercò di divincolarsi.
Grim sorrise, vedendolo già così pimpante; era segno che il narcotico aveva cessato completamente il suo effetto.
Si mise al lavoro, con la mente colma di complessi dettagli anatomici.

Le sue mani si mossero velocemente, passando da uno strumento all’altro, aprendo, estraendo, sezionando, scavando, suturando, spellando…mentre la madre svenne più volte alla vista di quello scempio. Dopo alcune ore le mani si fermarono, solo per detergere gli strumenti.
Poi ripartirono dall’inizio, su un nuovo corpo
Grim gettò i suoi sacrifici in pasto alle tenebre, grondante di sudore. Nella notte la luna fece risplendere il sangue ancora fresco sul terreno, illuminando la scena di un rosso cupo. Un fiume nero irruppe dalla torre, precipitandosi sulle due carcasse, avvolgendo tutte le rovine con un abbraccio glaciale. Grim sentì il Male scorrergli sulla pelle, freddo, ostile, immenso. Nella sua ingordigia la Torre prosciugò il terreno e i vestiti del ragazzo riportando tutto al colore originale, come se in quel luogo non fosse accaduto nulla.
La campana regalò quattro rintocchi, che risuonarono fra gli alberi. Grim aspettò trepidante, ma non successe nulla. Iniziò a tremare. Era impossibile, era inconcepibile, era inaudito che non ricevesse nessuna Trascendenza, che la Torre non gli parlasse. Cos’altro voleva ancora da lui? Non gli era rimasto nulla, era solo al mondo, aveva dato tutto per la conoscenza, per l’Elevazione. Maledì con parole innominabili quel cumulo di pietre e vi si lanciò contro, colpendolo finché le dita e i polsi non si sbriciolarono.
Il ragazzo si guardò le mani divelte, con le ossa bianche che uscivano dalla pelle. Non provava alcun dolore. Nessuno. Provò a muovere le dita, e queste si ricomposero e tornarono immediatamente integre. Ansioso afferrò un coltello e si lacerò il braccio sinistro, seguendo la vena principale, e da essa non sgorgò alcun sangue. Dopo pochi secondi era come prima.
Si guardò attorno, e l’oscurità non gli sembrò mai così familiare, come se la sua capacità di percepire il giorno fosse divenuta distorta.
Era cambiato, rinato in una nuova forma, con poteri inimmaginabili.
Passò il resto della notte sperimentando le sue nuove capacità, volando tra gli alberi, trasformandosi in vari animali, sciogliendosi in nebbia, evocando venti, guardando la luna…
Quando l’alba arrivò fu colto alla sprovvista; la luce del sole lo investì in pieno, privandolo dei suoi giochi. Grim senti la propria pelle accartocciarsi come carta gettata sul fuoco, e si rifugiò nell’ombra. Ne fu spaventato, la Torre gli aveva regalato di una nuova vita, ma l’aveva privato per sempre della luce, ma in fondo, si disse, non era neanche più umano. Era oltre.
Rimase nascosto nell’ombra per tutta la giornata, odiando con tutto sé stesso quel globo luminoso che lo feriva dall’alto con la sua luce venefica. Perché ad una simile atrocità era permesso di splendere nel cielo? La luna era infinitamente più bella nel suo velluto nero, nella sua quiete, nei suoi ritmi…solo degli esseri abominevoli potevano gioire del veleno del giorno, saturo di morte e di decomposizione.
Grim iniziò ad odiare anche gli esseri umani, man mano che aspettava l’oscurità. Odiava le loro forme, la loro debolezza, i loro limiti. Erano le creature più inutili di tutte, incapaci di vivere se non aggrappandosi a vicenda; inoltre erano una moltitudine, si espandevano senza controlli, irrispettosi della natura che andava calpestando, distruttivi e inarrestabili come una massa di parassiti.
Quando il sole scomparve oltre l’orizzonte Grim aveva perso ogni ricordo della sua vita umana, come se non avesse fatto altro che sognare fino a quel giorno.
Un lungo, brutto sogno.
Nella sua nuova esistenza Grim era divenuto un predatore, cacciando come un lupo gli umani che di notte si attardavano a tornare a casa, rapendo e sacrificando bambini alla Torre, diventando sempre più potente. Nacquero numerose leggende su quei luoghi, e ben presto i boschi che costeggiavano le città presero il nome di “case del Diavolo” luoghi maledetti a cui nessuno osava più avvicinarsi. Ogni tanto qualche spedizione vi si avventurava all’interno con l’intento di giustiziare il Mostro, ma spesso non facevano ritorno. Coloro che erano scampati all’esperienza impazzirono, e passarono i loro giorni parlando d’ombre che divoravano la carne e di paludi fatte di sangue.
Poco alla volta i paesi si spopolarono, solo poche famiglie si barricarono all’interno delle loro case, decise a non farsi scacciare da niente e nessuno; non avrebbero mai lasciato quei campi e quei luoghi a cui i loro antenati avevano dedicato così tanto tempo a creature di cui non riconoscevano l’esistenza. Ma vivevano nel terrore, pregando notte e giorno per la loro sopravvivenza, avvelenando le proprie vite con la paura delle ombre create dalle candele.
La paura si tramutò in rabbia, e quando ne furono saturi presero una decisone: avrebbero ucciso la bestia a costo delle loro stesse vite, fatto della la foresta un inferno di fuoco, distrutto le montagne per scovare la sua tana, avrebbero fatto qualsiasi cosa affinché su quelle terre ritornasse ancora la pace.
Così, mossi dalla disperazione s’incamminarono verso i boschi tenendo ognuno una fiaccola o una lanterna, in modo che i loro deboli spiriti si sentissero più forti, protetti da quelle ridicole luci.
Grim assaporava dal buio le loro paure, la loro ostilità che cresceva man mano che si avvicinavano ai boschi che tanto temevano. Li avrebbe uccisi, sventrati, sacrificati tutti all’onnipotente dio che riposava nella Torre. Sì, la Torre era la sua casa, e la Campana la sua voce e la sua volontà. Forse con queste ultime offerte Essa gli avrebbe permesso di essere al Suo pari, di dominare l’esistenza delle altre creature con il proprio arbitrio, la possibilità di creare e distruggere con un cenno della mano.
Attese pazientemente che quella vociante accozzaglia d’uomini e donne si spargesse tra gli alberi, e poi attaccò. Li rincorse eccitato tra i cespugli, giocando crudelmente con loro, azzannandoli alle gambe, ferendoli e chiudendo loro la fuga; affondò i suoi artigli nelle loro carni e li guardò morire dissanguati, con l’odio urlante negli occhi. Ogni volta che colpiva uno di loro faceva modo di trarne il maggior piacere possibile, ebbro dell’aria di morte che s’andava spargendo. Aveva appena raggiunto un’altra vittima, quando improvvisamente un suono paralizzò ogni suo movimento; la Campana gli stava parlando. Chiedeva un sacrificio, un ultimo sacrificio per raggiungere l’Onniscienza. Ma non doveva essere un essere umano qualsiasi, era stata ben chiara, era una delle donne che stavano cercando di fuggire dalla strage. Grim serpeggiò fra i rami degli alberi veloce come un fulmine, e in un attimo portò la prescelta al cospetto della Torre. Lì, si apprestò, folle d’eccitazione, all’ultima offerta, l’ultimo gesto prima d’essere superiore a tutto.
Decise di iniziare dal viso: una giovane donna provava sofferenze interminabili al sapere d’essere sfigurata per sempre, e la sofferenza avrebbe dato più valore al rito; le sue unghie d’acciaio, lorde di sangue, accarezzarono i lineamenti della ragazza. Era una gustosa voluttà saggiarne la delicatezza della carne prima di procedere allo scempio, come se stesse assaporando l’aroma di un vino pregiato. Ma qualcosa turbava il suo piacere. Grim s’ accorse lentamente che qualcosa stava riaffiorando in lui, un lontano ricordo dimenticato in un abisso di tenebre. Esitava, ma anche se fosse stato per pietà non ne era questa la ragione. Poi la sua mente s’illuminò.
Dora
Quella giovane donna a cui stava per provocare infinite sofferenze era Dora.
Questo non avrebbe dovuto essere di nessun’importanza, perché da tempo aveva rinnegato la sua vita umana, ma qualcosa piangeva in lui, incapace di compire l’ordine che la Campana stessa gli aveva richiesto. Era vicinissimo al suo obbiettivo, ma non riusciva ad afferrarlo.
Dora non capiva cosa stava succedendo; il mostro l’aveva rapita e portata fra queste macerie, ma non l’aveva ancora uccisa e di questo ringraziava il cielo. Un vento portò via le nuvole e la luna illuminò la scena; Dora vide per la prima volta la forma della bestia che aveva sbranato molti dei suoi amici. Aveva lineamenti confusi, il suo corpo era più scuro del buio che li circondava; un’ ombra senza corpo che ora la fissava senza fare nulla.
Grim indietreggiò, incapace di capire le proprie emozioni. Era ricolmo d’ira e pronto ad uccidere, ma il suo cuore tremava di fronte a quella ragazza, come fosse la cosa più preziosa al mondo; decise di assassinarla in un colpo solo, in modo da mettere fine a quello strano sortilegio, ma ancora una volta gli artigli si fermarono davanti a quel volto in lacrime. La sua anima esplose di ricordi fulgidi come il sole che odiava tanto, riportandolo al tempo in cui nuotava nel fiume in compagnia della sua ragazza, il tempo passato a guardare le stelle, la prima volta che si erano uniti nell’amore…la tenebra tentò di coprire tutto, ma fu scacciata via senza sforzo da altri, dolorosi ricordi. Grim si guardò le mani sporche di sangue e il suo corpo ormai privo di forma. La Torre non era un dio, era una parassita. In tutto questo tempo non l’aveva premiato dei suoi sforzi, si era nutrita della sua anima e di quella delle sue vittime, circondandolo d’illusioni e privandolo per sempre della luce. L’aveva usato, e alla fine l’avrebbe inglobato in sé stessa, una volta che fosse divenuto per sempre che un grumo di tenebra; nella Torre si nascondeva una creatura capace solo di crescere e consumare la vita che le sviluppava intorno. Grim urlò al cielo e si scagliò contro la Torre con la forza del suo nuovo corpo; le pietre si sgretolarono sotto la sua furia, e la Campana iniziò a risuonare come non aveva mai fatto, vere e proprie grida di dolore. L’Oscurità guizzò al di fuori della Torre e trafisse il mostro come una moltitudine di code di scorpione, strappandogli l’anima e inondandolo di purissimo buio che andò a riempire ogni sua fibra. Ma i colpi non si fermarono neppure per un attimo e le pietre rovinarono su sé stesse mentre la Campana risuonò fino al suo crollo. La Creatura che si nascondeva nell’ombra lottò disperatamente per prendere il corpo del Mostro; iniziò una furiosa lotta che li avvolse entrambi in uno scontro che non vedeva nessuno dei due predominare sull’altro.
La giovane donna assistette impietrita a quella scena; il mostro stava per ucciderla, quando ad un tratto s’era scagliato contro quella strana torre. N’era uscita un’altra forma, e i due avevano iniziato a combattere fra loro fino a che l’uno era diventato indistinguibile dall’altro.
L’alba sorse tiepida dall’orizzonte, mentre le due figure stavano ancora duellando. Appena la luce sfiorò la Creatura questa cercò immediatamente di divincolarsi, ma il Mostro la strinse a sé e la trascinò al di fuori del bosco, nei campi privi d’ombra.
Il sole del mattino inondò entrambi con la propria magnificenza, in una splendente pioggia di raggi dorati che corrosero impietosamente le due figure. Grim sentì il suo corpo evaporare, e mentre tratteneva la Creatura non poteva fare a meno di commuoversi alla vista di tanta bellezza; il sole stava mondando i suoi incubi con un’estatica ondata di calore, presto il dolore si tramutò in gratitudine, e la sua coscienza si dissolse come la rugiada.
L’ultimo suo pensiero fu un commosso ringraziamento per tutto ciò che aveva avuto.

Dora vide un’informe massa nera urlare sotto la luce, finché l’oscurità non si diradò trasformandosi in un’innocua nebbia che il vento si affrettò a disperdere. Allora un rintocco metallico risuonò dal bosco, come un richiamo. I sopravvissuti andarono a vedere cosa fosse e videro, al punto d’origine, una splendida campana d’ottone sepolta da delle pietre rossicce, circondata da una sfavillante distesa di fiori lussureggianti. Per celebrare la sconfitta del Demone decisero che da lì la campana avrebbe suonato ogni mattino allo spuntare del sole, affinché i loro figli non dimenticassero.




Presero le pietre che le erano sparse attorno e costruirono una chiesa, mettendo la Campana nella torre più alta che riuscirono a costruire.












 
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