2 NOVEMBRE - Capitolo 1° -
Attraversando la strada comune, percorrendo i viali, le case… Camminando tra i punti d’acqua in cui la terra sfiora il cielo, abbracciando il pavimento come una ballerina tra l’erba. Viaggiando con la mente tra i ricordi del passato e i sogni del presente. Stringendo il cappotto blu con un pallido nastro e poi posare le mani in tasca… Sentire i capelli bruni muoversi con il vento tra i raggi del sole opachi e camminare un passo svelto.
A cosa pensiamo quando andiamo a trovare una persona che ormai non c’è più?
Alla vita che ha lasciato, ai segni indelebili della sua presenza nel nostro cammino, a tutte quelle sensazioni che ha donato nel corso degli anni. Una leggera pioggia a ticchettare tra i “buongiorno” detti di fretta e la danza dei gigli adagiati al muro. A creare piccole onde di cristallo sul velo del vento. Tra le casette silenziose che custodiscono i ricordi del popolo ferma in ginocchio sui sassi ad attendere che tutto finisca in fretta accarezzando con la mano gelata il marmo altrettanto arido. Soffermando le dita sul sorriso della foto e posandovi con le altre una viva rosa. Rossa come quella speranza mai morta. Quasi in contrapposizione con il grigio del tetro giorno. L’ululato del vento tra gli alberi secchi d’autunno e i passi frettolosi della gente intenta a tornare al proprio quotidiano.
“mi manchi, lo sai?”
Una frase sussurrata in un momento di segreto e apparente contatto.
“adesso siete insieme, vero?”
Una lacrima estranea a confondersi con la pioggia e il freddo.
“il vostro si che era amore!”
E poi trovare un momento di fragilità tale da sentirsi costretti a ruotare lo sguardo verso altre direzioni pur di non piangere del tutto. Perché la forza di resistere manca.
“cosa fai signorina? Il passato non si può cancellare… però devi imparare a pensare ad altro.”
La voce di una saggia signora irrompe in quel silenzio.
“io ho perso mio figlio, vengo a trovarlo tutti i giorni… eppure so che lui è felice!”
Un sorriso antico tra le sue labbra. Un cenno di rispetto e comprensione tra le mie. Quanto potente può essere un abbraccio?! A volte così tanto da distruggere i confini della sofferenza in noi. Un abbraccio sincero, fatto di fretta. Un abbraccio di rispetto reciproco. Un abbraccio di speranza… e di collegamento tra due anime che provano lo stesso dolore. “sono andati via da poco…” Un pensiero veloce quanto innocente accompagnato dalla consapevolezza di quelle parole.
… il ricordo di un tempo immobile.
Un tempo che muore e si ferma, un lungo istante, quasi infinito in cui restando in silenzio di fronte alle insidie della vita vedi scorrere davanti ai tuoi occhi una bara e senti tutto gelare come se ti trovassi già in un freddo, oscuro inverno. E’ un tempo che non tornerà mai alla sua originaria presenza, né con il passaggio lento dei giorni, né degli anni. E’ un tempo che ti darà sempre disagio, al solo, immancabile ricordo nel più piccolo gesto. E’ un tempo che non riuscirai a cancellare per quanto, la tua forza, sia prorompente. E’ un tempo immobile ed è quello che è racchiuso in un cimitero. Un tempo in cui quei volti sofferenti, tanto numerosi da costituire un popolo hanno lasciato la vita. Ma nonostante tutto si impara a convivere con il desiderio di sopprimerlo… Un profumo di fiori, quasi candido e improvviso entra nel respiro e nell’anima e con esso riaffiora la speranza… E poi… Ancora pioggia…ma con essa un raggio di sole...
“adesso so che siete qui….”
Ma quando di un lontano passato non rimane più nulla, dopo la morte delle creature, dopo la distruzione delle cose, soli e più fragili ma più vivaci, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore permangono ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare- loro, goccioline quasi impalpabili- l’immenso edificio del ricordo. [Marcel Proust] |
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si si, sono i genitori...