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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Rocky Joe 2 (Ashita no Joe 2)
Titolo Fanfic: NON SPEGNERE QUELLA FIAMMA
Genere: Drammatico, Avventura, Soprannaturale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: E se...
Autore: andromeda80 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 16/02/2010 09:12:18 (ultimo inserimento: 04/12/11)

"Non spegnere quella fiamma, la tua voglia di vivere e di combattere. E' la cosa più preziosa che hai."
 
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PAURA SUL RING
- Capitolo 1° -

CAPITOLO UNO - PAURA SUL RING

20 gennaio 1973, ore 23

Al Nippon Budokan di Tokyo, il palazzetto dello sport nel parco delle arti marziali di Kitanomaru, l'incontro fra il campione del mondo di pugilato per la categoria dei pesi gallo, Jose Mendoza, e il suo giovane sfidante, il beniamino di casa Joe Yabuki, é ormai alle battute conclusive.

Un incontro magnifico.

"Sarà un incontro memorabile" avevano dichiarato i due pugili nella conferenza stampa tenutasi alcune settimane prima, a sigillo dell'accordo avvenuto fra i rispettivi manager.

Jose Mendoza, il pugile perfetto, aveva dimostrato fin dall'inizio la sua classe e la sua esperienza, imbrigliando la boxe generosa e aggressiva del suo giovane sfidante con tecniche di alto livello, come il temibile pugno a cavatappi e la difesa minima, che i cronisti locali, prendendo spunto dal kendo, avevano accostato al "mikiri", che consisteva nello schivare i colpi dell'avversario con brevi spostamenti del corpo.

Ma nel quarto round, la boxe generosa e tenace di Joe Yabuki comincia a sortire i primi effetti; un offuscamento della vista all'occhio destro, frutto di un vigoroso attacco di Mendoza, anziché indebolire lo sfidante gli dà lo spunto per aggirare la difesa minima del campione, a causa della prospettiva sbagliata che fa sballare tutte le previsioni fatte dal messicano sulla traiettoria dei colpi. Si assiste così alla riscossa del giovane Yabuki, che nel giro di pochi round riesce a mettere al tappeto l'avversario per ben quattro volte, mettendo in seria difficoltà Jose Mendoza e facendo pendere l'ago della bilancia dalla parte di Yabuki per la vittoria finale.

E' una fiammata intensa che tuttavia dura poche riprese. Già alla settima l'azione di Yabuki scema di intensità e precisione, il campione ha compreso il motivo per cui Yabuki riusciva a prendersi gioco della sua difesa, e reagisce di conseguenza, ora la cecità all'occhio destro di Yabuki non é più un vantaggio e comincia invece a penalizzarlo. Mendoza torna a dominare nettamente l'incontro, Joe Yabuki continua a combattere spinto dalla sua proverbiale tenacia, che gli ha permesso di raddrizzare numerosi incontri che parevano segnati.

Questa tenacia fuori dal comune sorprende il campione, che, seppur dominando, non riesce a chiudere per KO l'incontro, come era successo fino ad allora. Al tredicesimo round Mendoza comincia a colpire in maniera scorretta lo sfidante, fino a mandarlo al tappeto. Yabuki pareva un fantasma, incassava i colpi, andava al tappeto e si rialzava incessantemente, senza la minima intenzione di cedere, e questa insistenza aveva fatto perdere al campione il suo proverbiale autocontrollo.

L'incontro arriva così alla quindicesima e ultima ripresa. Una ripresa estremamente combattuta, dove i due pugili tentano di raggiungere il loro obbiettivo. Joe Yabuki spera ancora di mettere KO l'avversario e vincere, ai punti sarebbe una sicura sconfitta. Jose Mendoza invece cerca di arrivare in piedi al suono dell'ultimo gong, cercando di arginare l'ultimo assalto del suo più irriducibile rivale.

Difatti mette subito al tappeto il suo avversario per fiaccarne le poche energie rimaste. Ma é tutto inutile: nonostante la stanchezza e i colpi subiti durante tutto l'incontro, Joe Yabuki ha ancora la forza per reagire e per partire all'attacco. Tira fuori dal cilindro i suoi cavalli di battaglia, che gli hanno permesso di vincere tanti incontri, e che ora può sfoderare, visto che l'incontro non é più una questione di tecnica ma di coraggio e istinto. Il colpo di incontro incrociato, arma vincente dei suoi primissimi incontri, si abbatte impietoso sul campione, che si rialza e continua a combattere, incredulo di tali risorse ancora celate nel corpo e nello spirito del suo stanco ma lucido avversario.

Yabuki replica con il suo secondo asso nella manica, il colpo d'incontro triplo, variante del colpo di incontro incrociato, che gli aveva permesso di battere Wolf Kanagushi, e lo aveva costretto al ritiro con la mascella fratturata. Il colpo é devastante, e Mendoza si alza a fatica, é stordito, Joe coglie il momento per attaccare per mettere al tappeto l'avversario per la terza volta, per ottenere la sua vittoria più incredibile e prestigiosa, fare felici tutti coloro che lo avevano accompagnato nella sua breve ma esaltate carriera, realizzare il sogno di una vita del suo vecchio allenatore, vendicare Carlos Rivera, incredulo tifoso al suo angolo, la cui carriera era stata stroncata proprio da Jose, e onorare la memoria del suo più grande rivale ed amico, Tooru Rikishi.

Ma parimenti Jose non vuole cedere la corona, anche se il suo avversario si é mostrato veramente alla sua altezza, ha deciso di terminare con quell'incontro la sua gloriosa carriera ufficiale, e vuole concludere mantenendo il titolo. Argina come può la furia di un avversario ancora misteriosamente rapido, preciso e vigoroso, appoggiato alle corde per non crollare, anche se le ginocchia gli tremano e i secondi che lo separano dal gong di fine incontro gli paiono secoli....

2.

E il suono del gong infine arriva, inesorabile. Prima un colpo secco, poi una sequenza di rintocchi in rapida successione. Il frastuono del pubblico, che aveva accompagnato come colonna sonora tutto l'incontro, si innalza di volume per omaggiare i due pugili, l'esperto campione e il suo tenace e intraprendente rivale, che hanno dato vita a una bellissima e combattuta sfida. I due allenatori, Francisco Cabarello e Danpei Tange, salgono sul ring per riportare all'angolo i rispettivi pugili, che ora, svanito l'effetto dell'adrenalina, della concentrazione e dell'agonismo che li ha accompagnati e spesso sorretti durante il lunghissimo incontro, sta per svanire, facendo emergere gli effetti della stanchezza e dei colpi subiti.

E difetti Jose Mendoza crolla di botto, afferrato appena in tempo dal suo allenatore, che lo porta all'angolo per riposarsi e riprendersi un poco in attesa del verdetto. Joe rimane in piedi, fissa il suo avversario; é sfinito ma fiero di essere arrivato fino in fondo, di non essersi fatto piegare dal pugile più forte del mondo. Danpei lo sorregge, percepisce lo sforzo che Joe sta profondendo per rimanere fieramente in piedi, poi insieme vanno al loro angolo.

Sono attimi di attesa quelli che separano i due pugili coi rispettivi staff, dal verdetto dell'arbitro. Danpei si volta quando Joe, con voce debole e stanca, lo chiama e gli chiede di levargli il guantoni. Danpei lo fa quasi meccanicamente, la tensione per l'esito dell'incontro é più forte. Si accorge a malapena del viso stanco ma sereno del suo ragazzo.

JOSE MENDOZA, declama l'arbitro dopo aver letto i cartellini degli altri giudici a bordo ring.

Verdetto giustissimo, anche se i tifosi e lo staff del giovane sfidante avevano sperato in un verdetto a favore del loro pugile. La delusione si mischia all'orgoglio per la prestazione di Joe Yabuki, che come sempre aveva disputato un incontro emozionante e spettacolare. Il giovane, appena ventenne, aveva messo in seria difficoltà il campione, mettendolo al tappeto per ben sei volte, e costringendolo alla vittoria ai punti. Era una mezza vittoria, visto che il campione raramente disputava più di sei round, e non era mai andato al tappeto. Poi l'attenzione del pubblico é tutta rivolta verso il campione, ora al centro del ring per la premiazione e la riconferma del titolo. E sono tutti esterrefatti nel vederne l'aspetto che ha acquisito probabilmente a seguito del duro incontro. I capelli spruzzati di bianco, le rughe, il volto sfatto, pare quasi che gli manchino dei denti. Aveva l'aspetto di un vecchio.

Anche Danpei assiste con rassegnazione la cerimonia di premiazione. Era arrivato ad un passo dal suo sogno...si volta a guardare con orgoglio l'autore di questo miracolo sfiorato, che ora sta riposando al suo angolo, prima di scendere dal ring. Era un lupo che si stava prendendo il suo meritato riposo dopo una dura ed interminabile battaglia. Le membra erano completamente rilassate, gli avambracci appoggiati pigramente sulle cosce, le mani piccole e affusolate ancora bendate pendevano nello spazio lasciato dalle gambe lievemente divaricate, il capo era mollemente chinato verso destra, gli occhi erano chiusi e un sorriso soddisfatto aleggiava sul suo viso gonfio e affilato. Pareva stesse dormendo. Danpei continuava a fissarlo con tenerezza ed orgoglio. Volle fargli percepire i suoi sentimenti. Lo prese per le spalle e gli comunicò tutto il suo orgoglio, mascherando la delusione.

"Joe, é un peccato che sia finita così, ma...non posso dirti niente altro. Tu sei stato grande...veramente grande...Per me sei tu il campione...."

Danpei non c'aveva fatto caso, ma mentre stava dicendo le ultime parole, si accorse che il corpo di Joe era troppo pallido e rilassato per essersi semplicemente appisolato. Il battito era debolissimo, si percepiva a malapena.

"E' svenuto, probabilmente." immaginò Danpei, ricordando come, al termine del duro incontro con Tooru Rikishi, Joe fosse svenuto dopo il ko incassato quasi allo scadere dell'ottavo e ultimo round. Ricordava come si era lanciato a rotta di collo sul ring, preoccupato per il suo ragazzo, e chiamando subito il medico. Il medico, forse é meglio chiamarlo anche adesso, ricordare l'incontro fa Joe e Rikishi gli aveva fatto pensare allo svenimento di Rikishi da cui poi era passato alla morte alcuni minuti dopo. Questa inquieta sensazione era avvalorata dalla durezza dell'incontro appena terminato, i colpi terribili che aveva incassato il suo ragazzo, lo sguardo perso nel vuoto dopo averli incassati. Joe aveva subito un'emorragia celebrale, quasi sicuramente, così come era successo a Rikishi, e bisognava intervenire subito per evitare il peggio.

"Nishi, chiama il dottore. Joe é svenuto, ma non si é ancora ripreso." si rivolse al suo ex pugile e fedele secondo.

Il corpulento assistente obbedì senza fiatare, anche lui era inquieto per le condizioni del suo migliore amico. Gli altri componenti dell'angolo di Joe, i tre giovani allievi della palestra Tange, Kono, il pupillo di Joe; Kanda e Matsumoto, osservavano preoccupati la piega che stava prendendo la situazione. All'angolo si avvicinò anche la ricca ereditiera Yoko Shiraki, che spesso aveva aiutato la palestra Tange nei momenti più difficili della loro gestione. Lei aveva vissuto in prima persona il dramma della morte di Rikishi, e temeva che Joe avesse attuato alla lettera quello che gli aveva detto per scrollarlo, dopo la morte del suo avversario:

"Per Wolf Kanagushi e Tooru Rikishi sei un uomo che deve MORIRE sul ring!"

Poi, come non cancellare la sensazione di inquietudine provata quando Joe e Mendoza si erano confrontati faccia a faccia la prima volta, ad una festa mondana della Kanto TV, nel febbraio dell'anno precedente. Gliene aveva parlato, trascinandolo fuori dalla festa mentre Danpei era impegnato a chiacchierare con gli ospiti, emozionato e orgoglioso della popolarità raggiunta dal suo pupillo.

"Non so perché Jose Mendoza sia venuto da te, ma in quel momento ho sentito come un brivido. Mi é sembrato un dio della morte venuto per portarti via lontano. "

Lui aveva minimizzato ironicamente facendo notare che "dio della morte" era il suo soprannome, come poteva essere portato via da un dio della morte? Ma Yoko non si era fatta contagiare dalla battuta di Joe ed aveva rincarato: "Quando ti guardo mi sembra di vedere una belva ferita che, consapevole della fine vicina, vagabonda in cerca di un luogo per morire. Ho paura, tanta..." Lui aveva ribattuto facendogli notare che il suo discorso era l'opposto di quello fattogli alla morte di Rikishi, e lei in quel momento si era resa conto che Joe voleva prendere sul serio quella strada, e si sentiva in colpa per quello.

Poi fu organizzato l'incontro con Ryuhi Kim per il titolo asiatico, e Joe, che era nel pieno sviluppo e stava aumentando naturalmente di peso, aveva dovuto intraprendere una dieta durissima ed era arrivato al match in regola ma debilitato fisicamente contro una sorta di computer vivente. Anche lì la ragazza gli aveva confidato le sue preoccupazioni, temeva che si ripetesse la vicenda di Rikishi, visto che anche il vecchio rivale di Joe, per battersi contro di lui, aveva intrapreso anch'egli una dieta durissima, e il fisico debilitato era stata una delle cause della sua morte.
Preoccupazioni accentuate durante l'incontro: Joe pareva Rikishi, pelle e ossa e con una riserva di energia limitata. Yoko aveva anche cercato di fermarlo, prima che avvenisse l'irreparabile, nella pausa fra la quinta e la sesta ripresa, ma per tutta risposta Joe gli aveva rovesciato addosso l'acqua dei risciacqui e intimato di non intromettersi. Poi per fortuna tutto si era risolto per il meglio, Joe aveva battuto Kim dopo una miracolosa riscossa.

Ma il timore era rimasto, e Yoko, dopo aver scoperto che Joe cominciava a soffrire i sintomi della tipica encefalopatia del pugile, aveva cercato di controllare la situazione prendendo l'esclusiva dei diritti per l'incontro con Mendoza, e cercando un modo per impedire a Joe di fare una brutta fine, invalido a vita come Carlos Rivera, o morto come Rikishi ed Harold Gomez. Ma era stato tutto inutile, Joe era irremovibile, voleva battersi con Mendoza, quello era il luogo che Joe, come la belva ferita, aveva scelto per morire.

L'ultimo ma vano disperato tentativo di fermarlo era avvenuto negli spogliatoi prima dell'incontro. Si era persino dichiarata a lui, come ultima carta, nella speranza che per amore suo desistesse dal suo proposito, ma Joe aveva capito tutto, e andò avanti per la sua strada.

Yoko capì poi il suo errore, il vero amore consisteva nella fiducia reciproca, il suo era solo un egoistico senso di colpa. Per dimostrare la serietà del suo sentimento, doveva invece appoggiare la sua decisione, incoraggiarlo a raggiungere il suo obbiettivo...

Lo aveva fatto nell'intervallo fra la dodicesima e la tredicesima ripresa, quando Danpei aveva minacciato Joe che avrebbe gettato la spugna se il ragazzo avesse continuato a subire i colpi dell'avversario. Joe per tutta risposta aveva lanciato il telo di spugna fuori dal ring, Yoko l'aveva raccolto ma poi lasciato andare impedendo al vecchio allenatore di riprenderlo. Poi aveva incoraggiato Joe a lottare con tutte le sue forze, per non avere dei rimpianti. Joe la aveva fissata, incredulo e contento del suo cambiamento.

Al termine dell'incontro, mentre tutti aspettavano il verdetto dell'arbitro, si era fatto togliere i guantoni dal suo allenatore e glieli aveva donati, ancora grondanti di sudore e sangue, un ricordo prezioso per tutto quello che aveva fatto per lui. Yoko in quel momento aveva cominciato a temere che quello fosse il suo addio, poiché aveva parlato al passato. "Erano tutta la mia vita".
Li aveva stretti a se, accanto al cuore, preoccupata ed inquieta.

Ora osservava tutto quello che stava accadendo all'angolo di Joe, col cuore in gola. Accanto a lei vi erano Carlos Rivera e il dottor Rudolph Kininski, il medico sportivo che aveva confermato la malattia di Joe intuita dalla ragazza. Anche il pubblico aveva percepito che qualcosa non andava, ma stava in silenzio, in attesa di notizie positive.

C'é sempre un equipe medica presente agli incontri, e non poteva mancare in una importante occasione ufficiale come quella. Un medico e due infermieri della Clinica Medico-Chirurgica Yoshida, il cui ospedale era relativamente il più vicino al Nippon Budokan, si avvicinarono subito, appena Nishi li avvertì della situazione all'angolo di Joe. Il medico, il dottor Taneda, visitò in silenzio e con gesti esperti il giovane pugile. Ascoltò il cuore con lo stetoscopio, visionò le pupille, verificò la reattività del suo paziente. Tutto faceva pensare ad uno stato di profonda incoscienza dovuto ad una emorragia celebrale. Quando ad un certo punto il battito sembrò cessare, e il corpo del ragazzo cominciare a diventare freddo, il medico capì che non c'era un solo istante da perdere. Prese dalla sua borsa una siringa e una fiala di adrenalina. Con gesti rapidi, ma calmi e precisi ruppe la fiala, tolse la siringa dal suo involucro sterile, prelevò la quantità di liquido necessaria per l'iniezione e poi introdusse l'ago nel braccio del ragazzo.

Danpei osservava attentamente le mosse del medico, sapeva che era la cosa migliore da fare in questi casi. Anche quando Rikishi morì si era tentato di rianimarlo con l'adrenalina, una sostanza molto utilizzata in casi di arresto cardiaco e shock anafilattico, ma anche in ambito pugilistico come emostatico, ovvero per fermare il sangue in caso di ferite, come soluzione cloro idrata o anche mischiata alla vaselina. La mente di Danpei andò subito in quei momenti di sconcerto ed incredulità, quando, saputa della morte di Rikishi dai giornalisti, andò nello spogliatoio di Rikishi per vedere con i suoi occhi l'accaduto. E aveva visto chiaramente sul tavolo, accanto al medico, una siringa su di un panno, e accanto dei flaconcini di medicinali, fra cui anche una fiala di adrenalina.

"Rikishi" pregò mentre il medico faceva l'iniezione al suo ragazzo. "tu hai sempre avuto tanta influenza su Joe, lo sai che é testardo, ma sai anche che se gli dai un motivo per vivere lui tornerà su suoi passi, é questo di cui ha bisogno. Convincilo a tornare fra noi, ti prego."

A bordo ring anche Yoko stava rivolgendo lo stesso accorato appello al defunto amico e rivale di Joe. Aveva vissuto un altra volta quei momenti, quando Tooru si era accasciato al tappeto mentre stava per stringere la mano al suo rivale che aveva accettato sportivamente la sconfitta. Il medico, che fino a poco prima si occupava di Joe che era svenuto, corse a visitare Rikishi, tuttavia a causa della confusione e della calca attorno a lui, non era riuscito a visitarlo e aveva scelto di portarlo rapidamente nello spogliatoio.

Si era perso del tempo prezioso, e le condizioni già critiche avevano reso vana ogni possibilità di rianimarla. Joe in questo senso era stato fortunato, poiché il pubblico rimaneva in silenzio e immobile. Il gruppetto di piccoli e fedeli amici, Sachi, Kinoko, Chukichi e Tonkichi, si strinsero intorno a Taro, che dopo Joe era il loro secondo capo banda. Noriko, amica di Joe e fresca sposa del suo fedele compagno di avventure Nishi, pregava anch'essa per Joe, mentre il padre osservava inquieto.

I giornalisti erano tutti corsi dietro a Mendoza, una legge non scritta intimava il rispetto per lo sconfitto, e forse grazie a questo Joe poteva ancora salvarsi. Ad un certo punto guardò il medico, per scrutare eventuali reazioni. Da uno sguardo cupo aveva intuito la situazione disperata, ma dopo che ebbe fatto l'iniezione e controllato il battito cardiaco, parve sorridere leggermente. La fissò un attimo, e con quegli occhi castano scuri vivaci e intelligenti e il sorriso sereno, pareva quasi Rikishi, quasi come se si fosse trasferito per un istante nel corpo del medico e la volesse rassicurare sulla sorte di Joe.

Pochi istanti dopo l'iniezione infatti, l'adrenalina andò in circolo, stimolando il battito cardiaco, dilatando le coronarie, i vasi dei bronchi, stimolando muscoli e nervo ottico. Joe ebbe quasi un sussulto, gli occhi si aprirono di scatto, e una pallida fiammella pareva essersi riaccesa nei suoi occhi castano scuri, mentre le mani quasi si strinsero a pugno. Danpei e Yoko alzarono gli occhi al cielo, muto ringraziamento al defunto amico e rivale di Joe, che doveva aver ascoltato la loro supplica.

"Momentaneamente é fuori pericolo, ma dobbiamo portarlo subito all'ospedale. Portate la barella e preparate l'ambulanza a partire immediatamente." disse il dottor Taneda, con voce soddisfatta e sicura, ai due infermieri. Joe aveva avuto una debole ripresa, e quasi subito chiuse gli occhi e svenne nuovamente. Tuttavia il suo cuore batteva e per qualche istante anche il suo petto si era espanso a prendere una boccata d'aria inattesa.

Danpei aiutò il medico a sdraiare sul tappeto il corpo del ragazzo, mentre la barella era già celermente arrivata. Il medico tolse un respiratore manuale dalla borsa, ed applicò la mascherina sopra la bocca e il naso di Joe. Danpei gli adagiò sopra la sua vestaglia bianca e rossa con le scritte nere, e aiutò il medico a portare fuori dal ring la barella. L'ultima volta che Joe era uscito in questo modo dal ring era coinciso col momento più duro della sua carriera, cui però era tenacemente e coraggiosamente riuscito a superare.

Danpei prese questo come un buon auspicio per l'avvenire. La strada da percorrere era ancora lunga, ma Joe aveva compiuto coraggiosamente il primo passo. Il pubblico si alzò in piedi e proruppe in un lungo e caloroso applauso, mentre la barella prendeva la strada del retro dell’edificio, e seguita da Danpei, che non lasciava un solo secondo il suo ragazzo, mentre il medico era affianco ad essa e pompava aria nei polmoni di Joe con il respiratore manuale.

3.

Era stanchissimo, sfinito. Fiero e soddisfatto, ma esausto. Aveva dato tutto quello che aveva per tenere testa al suo rivale, racimolando ogni genere di risorsa, fisica, mentale e nervosa. Aveva tenuto fede al suo proposito iniziale, quello di combattere senza calcoli ne strategie particolari, questo era il suo ultimo incontro, e voleva lasciare un bel ricordo a tutti. Poco importa se poi il prezzo da pagare era la morte. Joe aveva paura di finire invalido, o di finire nell'oblio che avvolgeva molti suoi colleghi dopo il ritiro. Nel suo amico Carlos Rivera aveva visto per l'ennesima volta quello spettro...era come essere prigionieri del proprio corpo, era perdere quella libertà per cui si era sempre battuto, l'aveva difesa con le unghie e con i denti, anche a costo di morire. Preferiva morire piuttosto che vivere il resto della sua vita in una prigione, un inferno in terra.

Perché era il rischio che correva. Era bastato un solo micidiale colpo a cavatappi di Mendoza per rendere invalido Carlos. E lui era già malato, lo aveva capito con chiarezza proprio quando rincontrò Carlos, dopo l'incontro con il malese Harimao. Per la verità le avvisaglie della tipica encefalopatia del pugile le aveva già percepite già da qualche tempo. Dal viaggio alle Hawaii, il maggio dell'anno precedente. Mendoza, infuriato e deluso dalle sue provocazioni, lo aveva freddamente steso con uno dei suoi micidiali pugni a cavatappi. Da quel giorno, aveva provato dei leggeri giramenti di testa, soprattutto quando era molto stanco. Nessuno pareva essersene accorto, no, si sbagliava. Yoko. Yoko che in una passeggiata al chiaro di luna sulla spiaggia si era accorta che lui aveva qualcosa.

Lei era passata al contrattacco. Per proteggerlo da Mendoza, per cercare di curarlo, per evitare una fine tragica di cui si sarebbe sentita in colpa, come per Rikishi, come per Rivera, aveva acquistato i diritti dell'incontro fra lui e il campione. Aveva cercato di dilatare il più possibile il tempo che separava Joe dall'incontro, facendo combattere Joe con uno sfidante per il titolo asiatico, e imponendo a Joe quell'incontro come unica possibilità per battersi con Mendoza. Joe si era arrabbiato, detestava che qualcuno decidesse per lui, voleva essere lui l'unico a decidere cosa fare della sua esistenza. Era arrabbiato perché Yoko SAPEVA, e invece Joe voleva che nessuno sapesse. Poi con uno stratagemma, Yoko fece in modo che Harimao ferisse il suo orgoglio davanti a tutti. Era all'aeroporto di Tokyo, e stava andando a Città del Messico per parlare col campione, era stufo di dover rendere conto a Yoko. Harimao l'aveva colto di sorpresa. L'aveva atterrato davanti a tutti, con un pugno in pieno viso a mani nude. La cosa era finita su tutti i giornali, e Joe era stato costretto ad incontrarlo, ne andava di mezzo la sua dignità. Com'era successo con Rikishi, così come aveva fatto per costringere Wolf Kanagushi a battersi con lui. Aveva fatto un allenamento speciale, Goromaki Gondo, gorilla di un clan mafioso, aveva portato un gruppo dei suoi uomini per permettere a Joe di simulare una sorta di rissa sul ring, in modo da ritrovare le qualità che lo contraddistinguevano all'inizio, e che forse la popolarità e una discreta agiatezza economica avevano appannato. Goromaki aveva poi detto, e fu un altro campanello d'allarme, "se io ti sono sembrato forte, forse sono le tue forze che stanno diminuendo"

Poi aveva combattuto con Harimao, ed era stato un incontro molto impegnativo, ma grazie all'allenamento speciale, Joe aveva recuperato quello che gli mancava, ed aveva battuto la belva malese sul suo stesso campo. Fu al termine di quell'incontro, che la sua malattia cominciò a farsi evidente anche agli occhi di coloro che gli stavano più vicino. Per la prima volta ebbe un mancamento della vista, e mentre cercava di abbottonare la camicia a Carlos, le mani avevano cominciato a tremare. E questo davanti a Yoko e al vecchio Danpei. Da quel momento incominciò fra lui e Yoko una lotta di nervi, Yoko cominciò a perseguitarlo perché rinunciasse all'incontro, viste le sue condizioni. Aveva intuito le sue intenzioni, fino dalla prima volta in cui lui e Mendoza si erano incontrati. Lo chiamava, rimaneva ad aspettarlo fuori dalla palestra. Oltre all'insistenza di Yoko doveva tenere a bada il vecchio che cominciava a subodorare pure lui qualcosa. Lo aveva pure messo alla prova, con esercizi di equilibrio e precisione. Joe era riuscito a dissimulare bene tutto, anche se due episodi inequivocabili erano accaduti. In uno era scivolato scendendo dalle scale, nell'altro era svenuto, e per una trentina di secondi aveva avuto la vista annebbiata. Sapeva bene il perché. Aveva una piccola emorragia celebrale, e quando era particolarmente stanco o affaticato, gli veniva un forte mal di testa e gli si annebbiava la vista, perché aumentava la pressione del sangue nel cervello.

Nonostante tutti questi segnali preoccupanti, era riuscito comunque ad arrivare a quell'incontro, respingendo l'ultimo e disperato assalto di Yoko. Aveva cominciato l'incontro all'attacco, apparentemente allo sbaraglio, ma in realtà con lo scopo di costringere Mendoza a scoprirsi. Aveva incassato i primi devastanti colpi a cavatappi nella seconda ripresa. Uno in particolare al fianco era stato dolorosissimo.

Temette quasi di essersi rotto o incrinato una costola. i colpi alla testa avevano aumentato la sua emorragia celebrale, sentiva un dolore forte alla tempia, vicino all'orecchio. Pensò a quella radiografia del cranio di Carlos, che Yoko gli aveva mandato per convincerlo a non disputare l'incontro e per comunicargli quello che già sapeva. Alla tempia destra sopra l'orecchio c'era un autentico buco come se fosse stato trapanato, circondato da crepe che si propagavano tutto intorno. Avendo l'intenzione di combattere tutte e quindici le riprese, ne avrebbe incassati parecchi di quei colpi. Ed era quello il suo obbiettivo: prenderle così tante da rendere irreparabile i danni alla testa e morire al termine dell'incontro.

Per molti round dissimulò bene questo suo intento, facendolo passare per la sua solita tenacia folle con cui disputava tutti i suoi incontri. Non aveva speranza di vittoria, lo sapeva bene. Non era al meglio, anche perché non era riuscito ad allenarsi come voleva, e Jose Mendoza era formidabile. Combatté per rendere il suo incontro memorabile, per renderlo impresso nella memoria di tutti, il suo ultimo ricordo.

Dopo il settimo round, Danpei incominciò a subodorare qualcosa. Ma Joe dissimulò con la spiegazione che voleva battersi fino in fondo, fino a quando non sarebbero rimaste altro che le bianche ceneri. Poi al termine della dodicesima Danpei gli intimò che avrebbe gettato la spugna se lo avesse visto continuare a prenderle. Joe, che ormai dalla nona stava combattendo solo per arrivare alla fine dell'incontro, ed era sorretto solo dalle sue energie nervose e mentali, prese il telo e lo gettò fuori. Yoko lo prese e stava per darlo a Danpei, poi lo lasciò andare e lo incoraggiò. "Io sono qui, accanto a te. Colpisci con tutta la tue energia, combatti con tutte le tue forze, in modo da non avere dei rimpianti. Coraggio, Joe. Io rimarrò a guardarti".

Joe la guardò per alcuni istanti, sorpreso, e soddisfatto. Yoko comprendeva i suoi sentimenti, il suo grande amore per la boxe e per la libertà più forte di tutto, anche della morte. Yoko, pur sapendo cosa aspettava Joe, non si opponeva più. Anche Danpei ora era impotente. Joe quando voleva raggiungere qualcosa, era praticamente impossibile fermarlo, era un fiume in piena che travolgeva tutto.

L'appoggio e il sostegno di Yoko e la muta rassegnazione di Danpei gli dettero energie inaspettate, anche se il fisico era a pezzi, si reggeva a fatica, non ci vedeva più all'occhio destro, dopo una raffica di colpi incassati alla quarta ripresa, grazie al quale però era riuscito a mettere in difficoltà Mendoza. Percepiva il sostegno del pubblico, che credeva in lui, in una sua miracolosa vittoria, lui che anche nella crisi più nera non mollava mai. Anche per loro continuò a dare battaglia, ad attaccare, a cercare di colpire un Mendoza che cominciava ad essere stanco e inquieto.

Forse fu la determinazione ferrea nel voler combattere fino alla morte che vide nei suoi occhi a fargli perdere il controllo quando cominciò a colpirlo con gomitate e a farlo volare quasi con una mossa di judo....

All'ultima ripresa non ci vedeva più, la testa gli scoppiava, faceva fatica a stare in piedi, e solo le ultime residue forze dovute al pensiero che mancava pochissimo alla fine, e come una candela che brilla più intensamente prima di spegnersi, dette il massimo di se, guidato dall'istinto. Mendoza lo colpiva senza più alcuna cautela, voleva piegarlo, annichilirlo, quasi per dimostrare a se stesso che era lui il più forte. Allora Joe ricordò il suo primo incontro, al riformatorio speciale, quando Rikishi lo attaccava alla stessa maniera per rifarsi della scommessa persa nei suoi confronti, quello di batterlo in un minuto. Joe aveva fatto finta di essere finito, e Rikishi per dargli il colpo di grazia aveva sparato un diretto di sinistro.

Così successe anche con Mendoza, e come con Rikishi, Joe incrociò il suo destro sopra il sinistro dell'avversario, e lo colpì di incontro. Il colpo di incontro incrociato, arma vincente dei suoi primi incontri.

Jose era incredulo, e continuò ad attaccarlo, ormai aveva perso la sua freddezza, e anziché coprirsi per evitare altri colpi occasionali, continuò ad attaccare. Tuttavia doveva essersi ricordato di questa sua tecnica, perché come fece Wolf Kanagushi nel neutralizzare il suo colpo, quando sparò il sinistro un altra volta, e Joe prontamente ne approfittò, anziché affondare, deviò il braccio destro di Joe facendo leva sul gomito e poi decise di rifilargli un destro d'incontro. Joe però si ricordò dello stratagemma di Kanagushi, e con una prontezza di riflessi incredibile, incrociò il suo sinistro sul destro di Mendoza, azzeccando i tempi pur senza aver mai fatto prove.

Anche se debole e stanco, il pugno di Joe era sempre molto pesante e preciso, e Mendoza finì al tappeto, sempre più incredulo delle infinite risorse di quel ragazzo. Joe partì all'attacco, per mettere in difficoltà Mendoza, per cercare fino all'ultimo la vittoria, aveva visto un barlume di possibilità, Mendoza non aveva più forze, si difendeva con una guardia strettissima e disperata.

4.

Concentrato nel suo ultimo attacco, Joe non sentì il gong, come non aveva sentito il gong di inizio del suo primo incontro. Ma l'addetto al gong fece seguire al primo colpo secco una sequenza di rintocchi, e solo quando l'arbitro li separò Joe riemerse dalla sua trance agonistica.

L'incontro era finito, e Joe sapeva bene che il suo avversario avrebbe vinto ai punti, era lui il più forte, non c'era alcun dubbio, Joe era comunque soddisfatto. Aveva raggiunto il suo obbiettivo, aveva dato tutto, e come aveva detto Yoko, non aveva affatto rimpianti. Mendoza crollò un attimo prima che il suo secondo Cabarello arrivasse accanto a lui, aveva vinto ma Joe lo aveva impegnato come nessun altro avversario prima. Joe invece cercò con tutte le sue forze di rimanere in piedi, sentiva le membra pesanti, e le gambe quasi tremavano nello sforzo. Sentì appena le mani di Danpei che lo sorreggevano, e lo aiutavano a raggiungere il suo angolo dove Nishi, amico inseparabile e fedele, aveva già posto lo sgabello.

Joe non vedeva quasi più, non sentiva più le sensazioni del suo corpo da quando era sfinito e svuotato.

Che sollievo finalmente potersi sedere e far riposare le membra stanche....Tutti erano concentrati sul verdetto dei giudici, Joe non ci pensava affatto, lo sapeva ma poco gli importava. Volle lasciare un ricordo a Yoko per avergli dato la forza di combattere le ultime massacranti riprese. Guardò i guantoni, che ai suoi occhi stanchi erano una macchia rossa sui suoi pantaloncini azzurri e bianchi. Forse non era il dono più adatto ad una signorina, anche se così particolare come era Yoko, ma quei guantoni avevano per lui un valore incalcolabile, erano stati parte di lui in quegli ultimi quattro anni e mezzo, erano il suo grande amore, tutta la sua vita.

Chiamò il suo allenatore, ma ci vollero due, tre richiami prima che Danpei si voltasse. Joe percepì la sua preoccupazione per il verdetto dai suoi movimenti distratti mentre glieli toglieva. Poi chiamò Yoko, la sapeva vicina al suo angolo, gliel'aveva promesso.

E lei rispose subito: "eccomi, sono qui, accanto a te".

Joe sollevò i guantoni per i lacci, con tutta la forza che gli rimaneva, li tenne sollevati per qualche istante, facendo gocciolare le gocce di sangue e sudore che vi erano sopra, e poi aspettò che la ricca ereditiera li prendesse. Solo quando non li sentì più in sospeso li lasciò andare. Poi le sorrise e si voltò. Le palpebre stanche si abbassarono, e Joe non vide più nulla, non sentì più nulla. Buio completo. La fine era dunque giunta? Bene. La sua anima avrebbe lasciato per sempre quel corpo, che d'ora in avanti sarebbe stato una autentica prigione per il suo spirito ribelle e indipendente. E sorrise.

Dopo un periodo di quiete ed oscurità, Joe fu colpito da una luce che proveniva da dietro le palpebre. Cos'era? Tutto intorno a lui era silenzio totale. Era ancora la luce dei riflettori, era ancora nel mondo dei vivi, o era nell'altro, in una sorta di limbo dove secondo la tradizione buddista, si trascorrevano i quarantanove giorni prima di assurgere al vero mondo ultraterreno o di reincarnarsi?

Joe aprì gli occhi. Era seduto su di una sorta davanzale di pietra, e addossato a una parete dello stesso duro e freddo materiale. Si guardò intorno. Era in una specie di anfratto di roccia, e la luce entrava dall'imboccatura, che non era davanti a lui, ma un po' spostata sulla sinistra. Stranamente non sentiva più la stanchezza, e ci vedeva benissimo.

Si alzò abbastanza agilmente, e si diresse verso l'apertura. Era curioso, voleva sapere dov'era. La sete di avventura e di eccitazione per l'ignoto lo avvolse e lo spinse fuori colmo di aspettative. All'inizio fu deluso. Era un paesaggio brullo, sassoso, con qualche arbusto. Fece una piccola perlustrazione intorno all'anfratto da cui era uscito. Proprio dietro l'anfratto, quasi una caverna o un rifugio, si ergeva una montagna piuttosto elevata, di cui non vedeva la vetta, avvolta fra le nubi. Proprio dall'ingresso della grotta partiva una stradina strettissima, appena un sentiero, di cui vedeva l'inizio ma non la fine. Che razza di posto é questo? Dietro di lui una distesa di roccia brulla, qualche albero piegato dal vento, davanti una montagna. Gli fece ricordare la sua infanzia, e in particolare un episodio che aveva raccontato a Danpei la notte prima dell'incontro, di come aspettava con ansia le gite che a volte l'orfanotrofio organizzava, e che erano l'occasione più ghiotta per scappare. Raccontò al vecchio, che era sorpreso di sentire Joe parlare del suo passato, lui così chiuso e riservato sui suoi ricordi personali, che ogni qualvolta che scappava, si dirigeva verso la montagna più vicina che vedeva, e cercava di scalarla, convinto che in cima avrebbe visto il più bel paesaggio del mondo. Tuttavia il più delle volte era rimasto deluso, i paesaggi non avevano quella bellezza che lui si aspettava di trovare. Ma lui non demordeva, e insisteva sempre. E anche ora non si fece scoraggiare dalla stradina impervia o dall'altezza. Chissà, essendo molto alta, il paesaggio sarebbe stato superbo.

Camminò senza mai fermarsi, anche quando le gambe incominciarono a sembrare di piombo, anche quando rocce o pietre aguzze lo ferivano ai piedi o alle mani, strappavano lembi del suo vestito e lo graffiavano. Era vestito come sempre, col suo inseparabile completo, spolverino e pantaloni beige, la maglia rossa e il suo berretto arancio. La strada pareva avere lunghezza infinita, faceva strani giri, che a volte lo portavano quasi dentro la montagna, e anche quando pareva costeggiarla con mulattiere che si perdevano nel vuoto, non vedeva niente del paesaggio, c'era una fitta nebbia.

Quando era molto prossimo alla vetta, la nebbia lo avvolse completamente. Ma così non vedrò niente...si disse. Ecco, lo sapevo, l'ennesima delusione. Andiamo avanti, magari la cima é sgombra da nuvole. E così fece. Andò a tentoni. Ad un certo punto parve di essere arrivato, poiché la strada non saliva più. Andò avanti, magari scendendo uscirò dalla nebbia e si vedrà qualcosa.

E difatti, percorsa un poco di strada in discesa, con massima prudenza per evitare ruzzoloni, la nebbia si diradò lentamente. E il paesaggio paradisiaco che tanto sognava si stagliò maestosamente davanti ai suoi occhi. Poco sotto di lui cominciava una fitta foresta che copriva tutta la parete della montagna, e si apriva giusto alle pendici. Che differenza con l'altro versante! Poi una pianura, abbastanza estesa, verdissima, fertile, con un fiume che pareva sbucare dalla foresta e che la percorreva interamente.

C'erano dei cavalli selvaggi che correvano vivacemente su di un prato. Campi coltivati a grano, viti ed ulivi. La pianura era punteggiata da piccoli casolari.

E poi, la cosa che gli fece aprire occhi, bocca e cuore. Il mare. Una distesa infinita, luccicante, punteggiate di barche e navigli che andavano e venivano maestosamente. E al termine della pianura, una città, ridente, luminosa, con strade larghe, fontane nelle piazze, un vivace mercato nella più grande e centrale. Eccolo, il paradisiaco paesaggio che aveva sempre sperato di vedere oltre la montagna. Ispirava pace, bellezza, libertà, tutte cose a cui il suo spirito stanco dei dolori della vita anelava.

Ma c'era ancora un poco di strada da fare. Poco male. A vedere la sua meta gli erano ritornate le forze in un sol botto.

Riprese la strada, che all'inizio si avvinghiava alle rocce, ancora stretta e impervia, poi entrò nella foresta. C'erano soprattutto betulle, frassini, che lasciavano passare la luce del sole. Il terreno era sassoso e coperto di sottobosco e foglie secche, come d'autunno. Joe andava zigzagando cercando i passaggi meno scoscesi, ma cercava di mantenere una linea retta. Proprio davanti a lui aveva visto, prima di immergersi nella foresta, una stradina che vi usciva, e che portava dritta dritta alla città, pur con le sue serpentine che costeggiavano i campi e per un certo tratto il fiume. Aveva un passo svelto ma sicuro. Dopo un poco di strada, incontrò uno spazio aperto, dove finiva il bosco di betulle e frassini. Il sole era a picco sopra di lui. Erano passate sicuramente alcune ore da quando si era ripreso nella grotta. Tuttavia il suo fisico non era stanco, ancora lo sosteneva il desiderio di arrivare alla sua meta.

Il secondo tratto di foresta che si aprì di fronte a lui era molto più fitta: querce, castagni, lecci, che quasi subito nascosero il cielo da sopra la testa. Ora l'orizzonte era maggiormente avvolto dall'oscurità. Il terreno era sempre in pendenza, con le radici che uscivano fuori dal terreno costringendolo a serpentine più accentuate per evitare ruzzoloni. La foresta era silente, solo qualche fremito delle fronde mosse dal vento, in alto, che facevano trasparire qualche barlume di luce. Joe cominciava ad essere stanco di questo paesaggio monotono e immutabile. Ma quanto é estesa? Da quanto sono qui dentro? Il sole, suo orologio, non poteva rispondere. A peggiorare ancora la situazione, e a farlo precipitare in uno stato di ansioso sconforto, sopraggiunse la nebbia. Non vedeva più ad un palmo di naso. Dall'orizzonte, ora latente, fu costretto a guardare il suolo, per evitare trappole ora più minacciose.

Schivava alberi, gradini di roccia, radici esposte, man mano che si presentavano. Era esasperante. Ma che razza di posto é questo? E' un incubo? Mi sono forse perso? Ritornò alla mente una situazione simile. Era con la tournée dei pugili dilettanti, dopo essere stato costretto a lasciare il ring professionistico. Avevano ottenuto dal loro capo una giornata di licenza. Si erano fermati alla stazione di Ononiimachi, a Onomachi, un piccolo paesino di campagna nella regione di Tanuma, prefettura di Fukishima, nel nord-est del Giappone. Joe volle subito sgranchirsi le gambe e farsi una passeggiata, l'aria aperta della campagna lo faceva stare bene. Convinse un suo compagno, quello con cui aveva stretto un ottimo rapporto, dovuto anche al fatto che Kumetaro Inaba somigliava al suo defunto amico e rivale Rikishi, a seguirlo nella sua scampagnata. Joe aveva sempre energia e vitalità da vendere, e non sentiva la stanchezza. Inaba era un poco fuori allenamento, e gli stava dietro a fatica. Si riposarono nei pressi di un ruscello, dove Joe si divertì come un bambino a saltare fra i sassi, mentre Inaba si rinfrescava esausto. Poi un riposino in una piccola valle più avanti, dove vi era una splendida vista del mare e della campagna sottostante. Joe stava come in un paradiso, felice come non mai, si sentiva parte di quel paesaggio. Svegliato da una coccinella adagiata sulla guancia, si divertì come un bambino a fare l'eco. Poi gli occhi si posero alla meta successiva, una cima di media altezza alla sua sinistra, un piccolo cocuzzolo di roccia ammantato di verde. Inaba era un poco titubante, avevano fatto così tanta strada, non era soddisfatto della bellezza di quel paesaggio, della distanza che avevano messo fra il punto dov'erano e quello in cui erano partiti? Ma Joe continuava ad insistere con lo sguardo, che passava alternativamente da lui all'altura. Ed infine lo convinse. Ma presto si pentì di non aver dato ascolto. Si erano persi nella foresta di quel cocuzzolo, e a complicare le cose era calata prima la nebbia e poi le luci della sera, e stava sopraggiungendo minacciosa la notte. Joe, sentendosi in colpa per aver messo lui e Inaba in quella situazione, aveva cercato una via d'uscita.

Devo buttarmi, pazienza se mi farò male ruzzolando, devo uscire da qua il prima possibile. E così fece, senza pensare, senza far caso alla direzione. Sbatté sugli alberi, fece dei capitomboli buttandosi dai gradini rocciosi, si prese botte, graffi, si strappò i vestiti. Quando si fermava, tornava a lanciarsi a capofitto senza neanche vedere i danni subiti dalla precedente. Sarò un pazzo, ma quante volte mi sarò gettato in imprese impossibili e rischiosissime senza pensare alle conseguenze? Mi affido al mio istinto, prima o poi uscirò di qua.

Il terreno cominciò ad essere meno impervio e a declinare con più dolcezza. La nebbia, improvvisamente, sparì. Joe, pesto e malconcio, esultò. Forse ci sono quasi. E difatti in fondo alla foresta, si vedeva una luce. Ecco l'uscita. Dopo dovrò solo fare un poco di strada a piedi, ma non importa, sono abituato a camminare da una vita.

Si buttò verso la luce. Le forze gli erano di nuovo tornate, non pensò alle contusioni, ai graffi, agli abiti strappati. Si gettò verso la luce come una freccia scoccata da un arco va verso il suo bersaglio, rapida, precisa, sicura. Tuttavia, quando arrivò alla luce, essa era così abbagliante da non fargli vedere più niente.

Fece un esitante passo in avanti....e non sentì più la terra sotto i piedi. Un volo verticale, come, quando uscito dalla foresta nei pressi di Onomachi, non aveva visto lo strapiombo che si apriva ai margini della foresta, e che lui, vedendo la luce dell'uscita, si era gettato incontro ad essa senza riflettere.

E ora? Dove finirò? Si chiese inquieto in quella infinita caduta.

Atterrò pesantemente su di un suolo melmoso e puzzolente. La luce accecante si dissolse rivelando il luogo dell'atterraggio. Già dal tanfo avrebbe dovuto capirlo. In una stalla dei maiali, stipata da enormi e rosei suini. Il rumore dei grugniti era assordante. Gli animali erano spaventati. Joe si guardò intorno. Il luogo gli era familiare, e lo riportava indietro nel tempo al periodo del Riformatorio Speciale Toko, quando il primo giorno fu costretto dai suoi compagni a raccogliere il letame dei suini assieme al suo amico e a quei tempi compagno di sventura Nishi. Che diavolo mi sta succedendo? Perché proprio in questo posto? Sto sognando o cosa?Nessuna risposta alle sue domande.

Guardò fuori dal recinto, cercando un appiglio a quella situazione assurda. E vide loro. Il vecchio Danpei, Yoko, Nishi, Noriko, i bambini de quartiere. Che ci fanno qui?

Stanno gridando, sono appena dietro il recinto, ma Joe sente solo un borbottio sommesso, attutito dal frastuono dei grugniti suini. Paiono dire: "Fermati! Non lo fare! E' una pazzia!". Ma una voce pare sovrastarli completamente. Una voce delicata di ragazza, disperata ma fiduciosa. "Aiutaci, ti prego. Tu sai cosa vuol dire lottare da soli senza l'appoggio di nessuno!"

Si girò verso la voce. Vide, un poco in disparte, una figura femminile, minuta, leggiadra, fragile. Un viso magro, dai tratti orientali, lineamenti sottili, occhi castani colmi di tristezza e inquietudine. Morbidi e setosi capelli neri gli scendevano sulle spalle, una frangia sbarazzina gli copriva la fronte. Indossava una vecchia felpa grigia sopra una camicia azzurra, e dei jeans sbiaditi. Aveva parlato al plurale. E di fatti sorreggeva con un braccio a mo' di appoggio, un bambino, piccolo, di neppure due anni, vestito di una tutina grigia. Anche lui minuto ed esile, come lo era stato Joe alla sua età. Era identico alla donna, forse sua madre, forse una sorella grande, con una capigliatura nera a caschetto, il viso tondo ma un poco malinconico, e degli occhi vispi ed intelligenti.

Tuttavia il suo sguardo fu attratto da uno scorcio di paesaggio esterno alla baracca. Lo rivide. Il suo paesaggio paradisiaco che temeva aver perduto. Oltre la recinzione del riformatorio. Una natura lussureggiante, una montagna dal profilo azzurrognolo, che fosse quella la montagna da cui era letteralmente volato fin qui? Non sapeva. Non staccava lo sguardo dal paesaggio esterno, oltre il riformatorio. Bene, devo rimettermi in moto, sono vicino alla meta, basta ancora poco, questo buco spazio-temporale ha forse accorciato i tempi.

Il ricordo della fuga a cavallo di un branco di maiali gli tornò immediatamente. Aveva eccitato i maiali, aiutato da Nishi, questi, furiosi, avevano spaccato la recinzione della stalla ed erano partiti alla gran carica verso l'entrata del riformatorio. Perché non riprovarci? Joe aveva notato che gli animali per qualche strano motivo soffrivano la sua presenza, si muovevano inquieti intorno a lui. Sarebbe bastata una leggera provocazione, altro che forconate nel sedere, come in quel gioco che i suoi compagni di riformatorio avevano messo a punto per infierire sulla loro situazione umiliante già di per se. A Joe bastò sfiorarne uno per farlo scappare terrorizzato, poi, dopo che ne aveva sfiorati altri due o tre, l'intero branco cominciò ad innervosirsi per la reazione di alcuni suoi membri che parevano impazziti. Joe continuò a sfiorarne, divertito della reazione, aspettando il momento in cui ci sarebbe stato il fuggi fuggi generale. Il branco cominciò a premere per uscire dalla stalla, terrorizzati. E terrorizzati parevano i suoi amici, che si allontanarono inquieti e preoccupati, e non smettendo mai per un attimo di dirgli di fermarsi, di non fare sciocchezze, di non compiere qualcosa di irreparabile. Perché voleva scappare? Lui odiava le prigioni, era uno spirito libero ed indipendente, non ce la faceva a rimanere chiuso là dentro. La libertà era appena ad un passo fuori dal recinto, e Joe voleva riguadagnarsela.

Alla fine i maiali sfondarono il recinto ed uscirono fuori dalla stalla. Danpei e gli altri indietreggiarono ancora, per evitare di essere schiacciati da una mandria di animali inferociti. Joe saltò rapidamente sulla groppa di uno dei primi e si fece trasportare dalla loro furia. Il riformatorio di quello strano sogno o incubo era identico alla realtà. I maiali percorsero la stessa identica strada dentro alla tenuta agricola come il giorno della fuga. Ma a differenza di quel giorno...il riformatorio era completamente vuoto. Anche nei campi non vi era nessuno, nessuno che cercò di fermarlo o di sfuggire spaventato dalla mandria inferocita. Era insolito, ma Joe non vi badò. Vedeva solo il portone di ingresso avvicinarsi sempre più, neppure una guardia che gli intimò di fermarsi. Bene, nessuno mi fermerà, ancora pochi passi per raggiungere il cancello e poi sarò libero!

Il portone cominciò ad aprirsi. Ancora meglio! Non dovrò nemmeno sfondarlo! Mi faranno uscire e sarò libero. Ancora pochi passi, belli miei! Incitò i maiali.

Una cosa si ripeté pari pari alla sua fuga dal riformatorio. Il portone si era aperto giusto di uno spiraglio, e una figura entrò da quello stretto spazio. Joe lo riconobbe subito. Tooru Rikishi.
Il suo grande amico e rivale. Anche quella volta era sbucato all'improvviso per fermare la sua fuga verso la sua agognata libertà. Come quel giorno di metà maggio del 1968, al suo primo giorno di inferno al riformatorio.

Anche come quel giorno, affrontò la furia dei maiali sparando pugni micidiali a raffica, compreso il suo. Joe volò via dalla groppa della sua suina cavalcatura, fece un volo all'indietro e atterrò pesantemente. I maiali tornarono indietro, spaventati da quei pugni devastanti. Joe strinse i denti per la botta alla schiena procuratasi nella caduta e si rialzò dolorante. Rabbia e stupore lo avvolsero. Che ci fa qui Rikishi? Perché mi ha fermato come l'altra volta?

"Perché mi hai fermato? Ero ad un passo dalla libertà!" gli urlò furioso, come quella volta.

"Devi rimanere ancora molto tempo qui." disse sibillino il suo amico e rivale, che era vestito molto elegantemente, con una camicia a righe bianche e rosse sottilissime e pantaloni beige. Era robusto e in salute come prima della dieta, il viso era sereno, gli occhi castani vispi e intelligenti, i capelli pettinati alla moda.

Joe notò la somiglianza fra il viso di Rikishi e quello del piccolino in braccio alla donna misteriosa.

"Torna indietro, la tua fuga é inutile." continuò Rikishi.

Ma Joe non era intenzionato a cedere, ad un passo dal suo obbiettivo. Era testardo, Rikishi lo sapeva. Ma doveva convincerlo a tornare indietro. Sospirò, come quel giorno di maggio in cui le loro vite si erano incrociate la prima volta, a convincere Joe sarebbero stati necessari i pugni.

"Va bene, visto che le parole non servono, parleranno i pugni per noi. Battiamoci. Se riesci a stendermi, ti lascerò passare. Altrimenti, dovrai stare a sentirmi. Perché dentro la prigione ti sentirai libero ugualmente. La libertà di spirito é quella che conta, e tu questa non la perderai mai, se rimani quello che sei." disse Rikishi, mettendosi nella tipica posizione di attesa del pugile, braccio sinistro aderente al corpo col pugno chiuso davanti al mento, braccio destro più staccato e pugno proteso in avanti, la testa incassata sulle spalle, le gambe leggermente divaricate con la gamba destra un poco più in avanti rispetto alla sinistra, il peso del corpo spostato sulla gamba avanti.

Alla parola "battiamoci", gli occhi di Joe brillavano. Come sempre quando sentiva profumo di lotta. Un incontro di pugilato come ai bei vecchi tempi, eh, Rikishi? L'ultima volta mi hai battuto di netto, lo ammetto. Però io sono migliorato tantissimo, ho scalato le classifiche asiatiche e mondiali, ho combattuto alla pari con i migliori pugili del mondo, sono più forte, ho più esperienza, questa volta posso batterti, e conquistarmi la libertà, oltre che la vittoria che ho sempre cercato di ottenere nei tuoi confronti. Sarà una doppia soddisfazione batterti, pensò il ragazzo, gasato dalla sfida che gli aveva lanciato Rikishi.

Si concentrò subito sulla lotta, non pensando più a nient'altro che a battersi seguendo il suo istinto. Si lanciò subito contro Rikishi, mettendo in azione un attacco in piena regola, secondo la miglior tradizione pugilistica. Sparò jab di sinistro, velocissimi e precisi, diretti, ganci e montanti, senza pensare minimamente a difendersi. Rikishi era però altrettanto rapido nella difesa, con il gioco di gambe, i movimenti del tronco, una solida guardia serrata.

Sorrideva, nel vedere quanto era diventato bravo il suo giovane rivale, su cui aveva subito messo gli occhi quando questi era arrivato al riformatorio. Rikishi era una giovane promessa del pugilato, finito in riformatorio a causa di una rissa e per altri atti di violenza, ma gli Shiraki avevano usato la loro grande influenza perché al pupillo del signor Shiraki fosse fatto un trattamento privilegiato. Rikishi aveva ricompensato tanta fiducia comportandosi come detenuto modello, e riuscendo a ridurre ulteriormente la pena iniziale alleggerita dagli Shiraki. La pena iniziale era di tre anni, gli Shiraki la fecero scendere a due, che infine si ridussero a soli diciotto mesi, per aver fermato il tentativo di fuga di Joe. Durante la permanenza al riformatorio, Rikishi aveva cercato di mantenersi in forma per poter ritornare velocemente sul ring appena uscito dal riformatorio. Ma gli esercizi fisici, il cibo migliore rispetto ai suoi compagni, e le attrezzature che gli passavano gli Shiraki assieme agli aggiornamenti sul mondo della boxe non gli bastavano. Voleva disputare degli incontri, per non perdere l'abitudine alle gare. Ma al riformatorio nessuno aveva il coraggio di sfidarlo e nessuno era alla sua altezza.

Joe gli era parso l'avversario ideale. Abbastanza coraggioso e tenace per tenergli testa in modo soddisfacente, ma abbastanza inesperto per poterlo battere con relativa facilità. Così lo aveva provocato. Erano molto simili, fieri e orgogliosi, e mal sopportavano le umiliazioni; la dignità, il rispetto altrui, erano più importanti della vita stessa. Pensava di batterlo facilmente, ma Joe si mostrò più tenace del previsto.

Come ora. L'azione del suo avversario continuava lucida ed efficace, non calava mai di intensità e di precisione. Rikishi provò a sfuggire agli assalti di Joe col gioco di gambe, cercando un modo per piazzare qualche colpo, ma Joe seguiva i suoi spostamenti con la massima attenzione, non smettendo mai di cercare il bersaglio. A Rikishi le braccia cominciavano a indolenzirsi, gli occhi facevano fatica a seguire la successione impressionante dei colpi di Joe.

E' migliorato tantissimo, pensò Rikishi, sarà dura piegarlo. Devo batterlo sul piano dell'astuzia, se continua così sfonderà la mia difesa e non riuscirò più a contenerlo. E non posso farmi battere. Devo convincerlo a tornare dalla signorina Yoko e dal suo vecchio, gliel'ho promesso. E soprattutto da Cheryl e dal piccolo Eddie, ne hanno bisogno. Solo Joe può aiutarli. Joe col suo coraggio, la sua tenacia, il suo spirito ardente che mai nessuno é riuscito a piegare. Farò così, comincerò a mostrare delle crepe, a spingerlo ad un attacco più massiccio ma anche meno lucido, e quando comincerà a scoprirsi, cercherò di piazzare un bel colpo d'incontro, con tutte le forze che ho, in modo che non riesca più a rialzarsi.

Joe insisteva sempre nel suo attacco, senza mai perdersi d'animo, in ballo c'era la sua libertà, avrebbe lottato finché avesse avuto una stilla di energia. Rikishi, sei sempre fortissimo, non riuscirò mai a batterti, ma insisterò fino alla fine. Anche se sei un campione, prima o poi riuscirò a sfondare le tue difese.

Si fermò, prese fiato. Era stanco, non era riuscito a scalfire minimamente la difesa di Rikishi. Devo insistere. Riprese il suo attacco sparando un diretto destro fulmineo. Rikishi forse aveva allentato la difesa, anche lui per la stanchezza, perché non era riuscito a bloccarlo o a schivarlo prontamente. Si avvicinò e sparò un gancio di sinistro al corpo. Rikishi si piegò quasi dal dolore e dalla sorpresa. Bene, sta cedendo. Devo insistere, ora! E si buttò sul suo avversario, che era meno reattivo del solito, ed accusava molti più colpi ora. Proprio come aveva previsto Rikishi.

Poi arrivò il montante destro di Rikishi. Joe non lo vide partire. Aveva visto arretrare un poco il suo avversario, sembrava che stesse per perdere l'equilibrio e si era lanciato con il diretto sinistro, per metterlo finalmente al tappeto. E invece, come il giorno dell'incontro ufficiale, quello della loro resa dei conti, al termine dell'ottava ripresa, Rikishi aveva schivato il suo diretto e aveva risposto col montante. Bastò quel montante destro, tirato con tutta la sua forza e precisione, a far volare letteralmente Joe, e a farlo stramazzare al suolo paralizzato dallo stupore e dalla violenza di quell'unico pugno di Rikishi. Joe parve avere le convulsioni, e quando smise di tremare, guardò Rikishi incredulo.

"Allora, adesso sei soddisfatto. Ti ho battuto." Disse Rikishi, con sorriso sornione.

Joe era incredulo. Cavolo. Ci sono cascato. Ha fatto finta di essere in difficoltà per farmi perdere la lucidità e colpirmi quando meno me lo aspettassi. Sospirò. Niente da fare. E' il più forte, lo devo ammettere. Mi toccherà tornare indietro. Ma non so se ce la farò a vivere la vita che mi aspetta. E' una vita di inferno, non avrò più la mia libertà...

Rikishi parve leggere nei pensieri di Joe.

"No, la tua vita non sarà un inferno, se hai qualcosa o qualcuno che gli dia un senso. E lo troverai. In due persone, che diventeranno tutto, per te. Per loro darai tutto quello che hai, farai cose che mai avresti pensato di dover fare, di esser capace di fare. Sono due persone come te, che hanno dovuto affrontare mille avversità da soli, senza l'appoggio di nessuno. Cheryl é una ragazza forte, capace di tutto per il suo bambino. Ma é sola. Nel piccolo Eddie c'é il mio spirito. Aiutalo ad avere una vita più serena e felice di sua madre, di quella che hai affrontato tu. Te li affido, torna sui tuoi passi e corri ad aiutarli! Sei un ragazzo speciale, cresciuto fra mille difficoltà, che hanno temprato il tuo animo, forgiato il tuo corpo, ma che non hanno reso il tuo cuore duro come la pietra, anzi, lo hanno reso grande come una montagna, immenso come il mare, proprio perché hai conosciuto la sofferenza, le privazioni, la solitudine. La libertà é nel tuo cuore, e finché rimarrai te stesso, non la perderai mai."

Le parole di Rikishi erano di una saggezza infinita. Guardavano dritte dentro Joe, dritte nel suo futuro, dritte nel suo passato.

"Chi sono Cheryl ed Eddie? Non li ho mai sentiti. Come li riconosco?" Chiese incredulo Joe. Si fidava tantissimo di Rikishi, era il suo punto di riferimento da quando si erano incontrati.
Quante volte Rikishi lo aveva aiutato, con il suo ricordo, con il suo esempio. Anche nei momenti più difficili, si era sempre confidato con lui, anche dopo la sua morte, e Rikishi gli aveva sempre suggerito saggi consigli.

"Il tuo cuore li riconoscerà. Saranno loro a chiamarti, parlando al tuo cuore." rispose sibillino Rikishi. "Addio, Joe. E' ora di tornare. Ti stanno aspettando tutti."

E' vero. Erano rimasti tutti indietro ad aspettare un suo ritorno. Che stupido sono stato. Avevano ragione loro, stavo commettendo una sciocchezza, stavo cercando la libertà fuori, quando invece devo trovarla in me. Anche quando tentai la fuga, e Rikishi mi fermò, poi mi appassionai alla boxe, divenne la mia ragione di vita, e poco mi importò se ero rinchiuso qua dentro, sul ring mi sentivo libero, libero di esprimere la mia natura, che con la boxe si sentiva appagata. E la boxe mi ha cambiato, mi ha reso migliore. Ho affrontato la dura disciplina della boxe, le sue regole ferree, io che le detesto, io che sono stato emarginato perché non le rispettavo, ne ero insofferente. Ma ero quasi contento di seguirle, perché mi avrebbero permesso di appagare il mio animo assetato di sfide, di combattimenti.

"Va bene, Rikishi." rispose convinto.

"Vai ora." lo invitò il suo grande amico, il suo punto di riferimento di sempre.

Joe si voltò. Il sole era ormai al tramonto, e tingeva il cielo di un colore simile a quello delle fiamme. Ora quelle fiamme erano ritornate ad ardere in lui, A passo deciso e solenne, Joe si diresse verso le stalle dove aveva lasciato tutti. Compresi quella ragazza e il suo piccino. Che fossero loro, ad avere bisogno del suo aiuto? Il tuo cuore li riconoscerà. Saranno loro a chiamarti.

Da lontano vide delle figure avvicinarsi. In testa la figura di un vecchio, calvo con una benda sull'occhio. Poi un ragazzotto robusto dal volto bonario. Una frotta di bambini festanti.

Joe, ragazzo mio, sei tornato! Joe, credevamo di averti perso! Evviva il nostro fratello Joe, più forte di tutti, anche della morte!

Joe corse incontro a loro. Quanto mi siete mancati. Siete troppo importanti per me, me ne rendo conto solo ora! Ma non vi preoccupate, non scapperò! Affronterò la mia esistenza con tutto me stesso, qualunque essa sia! E' sempre stato così, e sempre lo sarà, fino al mio ultimo attimo di vita.

In disparte, lo osservavano felici e rasserenate, Yoko Shiraki, Noriko e la ragazza col bambino. La ragazza mormorò un 'Grazie' appena impercettibile, ma quella voce squillò forte nell'animo di Joe.

Ancora fermo davanti al portone appena socchiuso, Rikishi rimase ad osservare Joe, circondato dall'affetto delle persone care. Cheryl, piccolo Eddie. Non vi preoccupate. Joe non tradirà la vostra fiducia. Dà tutto quello che ha per le cose che ama, fino a sacrificare la propria esistenza. Addio, Joe. Ora non hai più bisogno di me. Segui la tua strada, anche se fosse tortuosa ed impervia come quella di un sentiero di montagna, e in cima alla vetta godrai la vista del paradiso.
 
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