ALCHIMIA - Capitolo 1° -
Senza sacrificio, l’uomo non può ottenere nulla. Per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos’altro che abbia il medesimo valore. In alchimia è chiamato il principio dello scambio equivalente. A quel tempo noi eravamo sicuri che fosse anche la verità della vita.
Odio questa storia. Odio la Pietra Filosofale, gli homunculus, Scar, l’esercito… tutto. Sono stanco di tutto questo, sono stanco di combattere… Rivoglio il mio corpo, la mia vita.
Eravamo diretti a Ishbar, o meglio al luogo in cui una volta sorgeva la città dell’Est, ma siamo stati sorpresi lungo la strada da Scar, che ci ha attaccati. Ancora non vuole rinunciare alla sua vendetta. E per di più ci cercano anche gli homunculus. Abbiamo trovato una casetta abbandonata in un bosco e ci siamo rifugiati qui per scappare da Scar. Il mio fratellone era stanco, dopo il combattimento, così è crollato subito, e io… Io mi sento solo. Sono cinque anni che non posso dormire, e la notte per me non passa mai. Ricordo che all’inizio il mio fratellone rimaneva sveglio con me, per non farmi passare le notti solo, ma il suo corpo ha bisogno di dormire, e io non posso chiedergli di rinunciare per me.
Mi concentro sulle piccole cose, per passare il tempo. Mi guardo intorno, ascolto i rumori…
Fuori sta piovendo. Lo sento, anche se dalla piccola finestra dai vetri opachi non lo posso vedere. Nell’ombra che proietta vedo un albero scosso da un forte vento, appena fuori dalla capanna, ma nulla di più. Dentro, lo spazio è davvero piccolo, e sembra che questa casetta sia stata abbandonata da tanto tempo. C’è un tavolo di legno graffiato, con una vecchia lampada ad olio che abbiamo tentato di accendere ma che non funziona, e un lettino… è piccolo anche per mio fratello, che pure non è molto alto… Rido, pensando alla sua reazione se mi sentisse. Non c’è più nulla da guardare, nessun particolare su cui concentrare la mia attenzione, e sono passati solo pochi minuti. Ancora una notte intera davanti a me.
Mi viene in mente che una volta, da piccoli, quando giocavamo a nascondino con Winry, abbiamo scoperto una capanna molto simile a questa. Ci nascondemmo lì, e Winry ci mise ore a trovarci. Da quel giorno, ci tornammo spesso, per giocare, per mangiare le torte che preparava la zia, ma quando lo raccontammo a lei e alla mamma, loro ci vietarono di tornaci, perché era pericoloso. Dissero che nessuno ci andava più da tanto, e che era così vecchia che un soffio di vento un po’ più forte l’avrebbe buttata giù in un attimo. Noi, però, ci tornammo ancora. Ricordo che una sera di forte pioggia in cui ci sembrò divertente rifugiarci lì per passare la notte, al buio inziammo a raccontarci storie di fantasmi… Winry era quella che si spaventava prima e, quando era il suo turno di raccontare, le storie erano sempre a lieto fine. La mamma e la zia ci cercarono per tutta la notte, ma ci trovarono solo la mattina dopo, addormentati, e ci misero in punizione per una settimana. Il mio fratellone fu quello a cui andò peggio, perché secondo la mamma lui avrebbe dovuto essere il più responsabile, perché era il più grande.
Quel giorno, quel temporale che ancora durava la buttò giù. Ricordo che quando la mamma lo seppe ci sgridò di nuovo piangendo, perché se fosse successo appena la sera prima, noi saremmo rimasti schiacciati.
Mamma…
Volevamo solo riaverla con noi. Eravamo solo due bambini che rivolevano la loro mamma, non dovevamo essere puniti così tanto.
Lo so, abbiamo sbagliato.
Non avremmo mai dovuto tentare una cosa simile, ma… Io so che se tornassimo indietro, probabilmente lo rifaremmo. Io lo rifarei. Magari mi informerei di più, prima di farlo. Magari cercherei prima qualche altra strada, magari scoprirei prima della Pietra, e vorrei usarla… Ma lo rifarei, lo so. Perché avevo dieci anni e ora ne ho quindici, ed ero e sono un bambino. E rivoglio ancora la mia mamma.
Il mio fratellone si rigira nel letto, e la poca luce che filtra da fuori illumina per un attimo l’acciaio dell’auto-mail. E io mi rendo conto che sbaglierei di nuovo. Per riavere nostra madre abbiamo rischiato di perdere anche quello che ci era rimasto.
E ora, “quello che abbiamo perso per un errore vogliamo riaverlo con un altro errore”. Ricordo benissimo le parole della maestra quando glielo abbiamo detto, ma non m’importa. Voglio poter di nuovo dormire, la notte. Voglio poter di nuovo mangiare le torte della zia. Voglio vedere che se una lama mi colpisce, la mia pelle si taglia, e dal taglio esce sangue. Voglio poter di nuovo tirare i capelli di mio fratello e sentirli sotto le dita. Voglio poter abbracciare Winry…
Voglio sentirmi di nuovo umano.
Non mi importa se sarà pericoloso, non mi importa se stavolta sparirò del tutto. Voglio riavere quello che ho perso, e voglio restituire anche a mio fratello quello che ha perso.
Probabilmente dovremmo entrambi rassegnarci, dovremmo accettare quello che ci è capitato. È la punizione per il nostro errore. Come restare a casa per una settimana era la punizione per essere stati quella notta alla capanna. Ma siamo poco più che bambini, e come tanti anni fa è dovuta crollare la capanna perché noi effettivamente capissimo il nostro errore, probabilmente dovremo perdere ancora qualcosa per capire che anche questo lo sarà.
In fondo, la legge dell’alchimia dice che se dai qualcosa puoi ottender in cambio qualcos’altro dello stesso valore. E se noi ci impegniamo, forse, potremo ottenere in cambio quello che vogliamo.
Il primo raggio di sole entra dalla finestra e illumina il lettino dov’è rannicchiato il mio fratellone.
E io sono pronto a rimettermi in viaggio con lui, per riottenere quello che abbiamo perso.
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