torna al menù Fanfic
torna indietro

MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: IL RIFUGIO DEI RICORDI
Genere: Sentimentale, Romantico, Horror, Azione, Drammatico, Erotico, Fantascienza
Rating: Vietato Minori 18 anni
Avviso: One Shot
Autore: briareos galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 05/01/2009 12:42:42

una one shot brevissima e vagamente erotica sui pensieri di un uomo che affronta la morte.
 
Condividi su FacebookCondividi per Email
Salva nei Preferiti
   
NEL GUSCIO DI CEMENTO.
- Capitolo 1° -


Le fiammate dei fucili erano stelle filanti d'oro liquido. Una ventina di uomini erano trincerati da due ore all'interno di un dedalo di cemento e acciaio a quattrocento metri sotto la superfice lunare, nell'inferno bianco delle gelide luci al neon; erano i soli rimasti di un battaglione di cento persone.
WILLIAM COPRI GLI ANGOLI! EDWARD CERCA UN TERMINALE E CONTROLLA LA RETE ENERGETICA, SE TAGLIANO LA CORRENTE SIAMO FOTTUTI!
Lo specialista si inginocchiò su una presa a muro e interrogò il sistema.
IL SISTEMA FUNZIONA CORRETTAMENTE SIGNORE!
BENE! ORA RAGAZZI CE NE ANDIAMO! RISALIAMO AL PUNTO D'ESTRAZIONE, STATE AL PASSO!
William poteva sentire il fucile che gemeva sotto sforzo, questione di pochi secondi e poi la canna si sarebbe deformata, l'aria urlava sotto il ritmo incessante dei proiettili esplosi, non sentiva più le dita. I muri erano scarnificati e scheggiati dei colpi di rimbalzo di un plotone di uomini d'arme sprofondato nel terrore, sentì le urla dell'avanguardia: erano stati accerchiati.
Nessuna regola d'ingaggio, solo la fuga, come prede impazzite si dispersero agli incroci, ponendo più spazio possibile tra loro e la massa d'incubo che li tallonava.
William rimase isolato, in una sezione della struttura che non conosceva. Smise di correre, scrutando gli spazi bianchi e i cartelli d'indicazione della stazione. Non capiva dove fosse, continuava ad andare avanti per non crollare, sperando di ricongiungersi agli altri; camminava piano, nonostante sapesse che fosse inutile: i Leviatani potevano sentire il suo odore a chilometri di distanza.
Come gli squali.
Erano ancora troppo intenti a consumare il loro banchetto per pensare a lui.
Quanti erano rimasti vivi? Il punto di recupero era tre piani sopra la sua testa, nella landa desertica d' argento e cenere della Luna. Non sarebbero scesi a cercare.
Lassù, in orbita, qualcuno avrebbe fatto esplodere una testata al plasma creando un nuovo cratere sulla Luna; ma William ancora non accettava questa condizione, non era pronto a morire.
Dubitò di sè stesso quando vide una lampada blu di segnalazione adagiata a terra, il suo equipaggiamento scaricò la mappa della zona; nel display c'era un messaggio.
OPERAZIONE FALLITA: SEGUIRE LE COORDINATE AL PUNTO A PER L'ESTRAZIONE ANTICIPATA ALLE ORE 1h : 20m : 36s.
Ce la poteva fare, aumentò la velocità senza mai staccare l'occhio dal mirino, seguendo metro dopo metro le indicazioni segnate sulla mappa: non c'era modo di dubitare in una trappola, i Leviatani non possedevano questo tipo di intelligenza.
William cercò di tenere la mente occupata.
Ricordò.

Il Primo Contatto avvenne quando lui era a Mexico City, e non ebbe il tempo di assorbire la scoperta, le televisioni e i giornali non erano una priorità nella lotta al narcotraffico. Quando rientrò, un mese più tardi, trovò sua moglie sconvolta, terrorizzata; Gaia lo abbracciò piangendo sulle scalette dell 'aereo, senza neppure attenderlo a terra. La prese in braccio come fosse una bambina e la aiutò a calmarsi, i suoi occhi erano gonfi, non riusciva a smettere di singhiozzare.
William amava quella donna sopra ogni cosa; era il ricordo di lei che lo portava ad andare avanti, a non avere paura, a vivere la vita che si era scelto senza timore di smarrirsi. Nonostante lui scomparisse per mesi interi riuscivano a rimanere legati da qualcosa più profondo dell'amore, un mistero che li avvolgeva entrambi attimo dopo attimo. Una volta a casa riuscì a prendere atto dell' avvenimento, tra i telegiornali impazziti e lei che aveva saputo cose che la gente comune non doveva sapere.
Gaia era a capo di uno dei settori dell' ufficio stampa della Koyabashi, la prima e più potente multinazionale dell'industria mineraria transplanetaria; da anni era a conoscenza dei "ratti delle rocce", organismi che vivevano come molluschi aggrappati agli asteroidi più lenti. Non erano mai più grossi di una mano, la loro struttura si dissolveva appena entravano in contatto con la nostra atmosfera. Non erano gli alieni intelligenti che l'umanità sperava di incontrare.
Mentre William le faceva cadere i vestiti sul pavimento lei gli spiegò che un mese prima del contatto ufficiale molti satelliti in orbita attorno a Marte erano stati spenti; un disguido tecnico dalle stazioni automatiche di superfice. Lui ascoltò la su voce rallentare mentre succhiava i suoi seni ed risaliva i suoi fianchi con le dita; quando lei disse che dalla Terra i telescopi videro la superfice di Phobos spaccarsi come un uovo le sue cosce gli erano serrate intorno alla vita. In piedi, appoggiata contro l'armadio della camera, Gaia ondeggiò per alcuni momenti mentre il suo uomo le infilava il membro fino alla fine della sua cavità, rigido e caldo. Cercò di spiegargli più volte la creatura denominata "Leviatano" che era andata incontro all'orbita terrestre, ma la voce gli era incontrollabile, le labbra intente a mordere le spalle a cui era stretta; dovette attendere che lui le regalasse l'estasi, affondando e accarezzando con le dita il clotiride. Solo allora la liberò sul letto, e gli tornò il controllo della voce.
William non capiva quale fosse il suo problema: proprio grazie alla Koyabashi la scienza aveva fatto passi da gigante: un bombardamento di missili al plasma avrebbe risolto ogni problema. I suoi pollici distendevano la schiena della ragazza con un massaggio, sciogliendone le tensioni della paura, i dubbi; Gaia lo avvertì che gli habitat perenni intorno alla terra erano stati attaccati da una forma di vita molto più feroce dei "ratti delle rocce", qualcosa che si era lanciato dal Leviatano percorrendo lo spazio come uno stormo migratorio, poi smise di parlare e attese. Con una mano su una natica William controllava che Gaia distendesse il suo ano prima di penetrarla, ungendosi il muscolo con una soluzione che aiutava la frizione tra i tessuti; poi spinse. La sua ragazza assaporò l'intrusione e lentamente tornò a parlare: era inutile distruggere il Leviatano senza prima disinfestare le stazioni, ma non conoscevano nulla di questa razza aliena, nè i loro punti deboli, nè il loro modo di agire.
Più tardi quando continuarono a fare l'amore lei gli disse solo:
Ho paura di non rivederti.

William si fermò un'attimo: c'era un eco ritmico nell'aria, come zoccoli che camminassero su delle piastrelle, da qualche parte dietro di lui avevano iniziato a cercarlo.
Forse non lo avevano sentito, forse l'aria...
Forse l'aria era troppo satura di ionio e cordite per poterlo tracciare; ma erano sulla strada giusta. Iniziò a correre, angolo dopo angolo, in un vicolo cieco spalancato su un mondo d'incubo: trenta, forse quaranta persone erano state divorate lì qualche ora prima, ai suoi piedi il corridoio si allungava all'infinito coperto di sangue e visceri, poteva riconoscere i corpi dai nomi sulle piastrine. Specilisti in demolizioni, ufficiali e soldati d'assalto, con la gola squarciati e i tendini divelti, i volti aperti in un urlo muto.
Com'era possibile?
I Leviatani non potevano concepire questa trappola, allora cosa o chi poteva ideare una cosa simile?
Giù in fondo al corridoio, dove occhi troppo sensibili avevano strappato le luci William poteva sentire i Leviatani chiamarlo, sentiva il calore di respiri affannosi di polmoni ampi come mantici.
Di denti e artigli curvi dentro membrane trasparenti, di scaglie e aculei velenosi. La marea dell'abisso lo scrutava da un' angolo di tenebra solida, promettendogli una fine veloce. Si attaccò ferocemente al grilletto, retrocedendo passo dopo passo verso il muro dietro di lui, gli scarponi trascinavano grumi di fango rosso, calpestavano sacchi molli e ossa abbandonate; da lì a non molto avrebbe fatto parte di quella palude.
Scivolò via, oltre quell' ade di carne e nebbia, correndo al rifugio dei suoi migliori ricordi, saltando sui giorni come dita su un pianoforte.

Erano usciti insieme, a divorare la città. Festeggiavano l'ultimo anno di studi generali. William voleva seguire le orme del padre, la carriera militare, Gaia non sapeva cosa sarebbe stato di lei.
Erano sempre vissuti insieme, spalla a spalla fin dal primo ciclo di studi, a otto anni; avevano affrontato le classi insieme, gli insegnanti, gli scontri, visto gli stessi concerti assieme. Ma non si erano mai spinti oltre il sentimento d'amicizia.
E quella sera finiva tutto, non si sarebbero mai più rivisti.
Tornarono tardi, trascinandosi a piedi fino a casa. Gaia viveva da sola, in un piccolo appartamento vicino alla scuola.
Salirono le scale che portavano alla camera da letto, insieme.
Odorava di liquore, il suo alito era un fiore dall'essenza troppo dolce, e nell'oscurità non ebbe il tempo di chidersi cosa stesse accadendo. Era Gaia, sua amica, era ubriaca, anche di questo era certo.
Lei rideva leggermente; sentì il suo peso coprilo, il suo calore lo terrorizzava e lo attraeva come un vortice confuso, le sue mani, i suoi capelli.
Si alzò la gonna seduta sul suo petto, guidò le sue dita incerte sul suo corpo; non si ritrasse quando lui le afferrò i seni, nè quando esplorò le rughe dei suoi capezzoli. William la sentì muoversi, mentre le faceva scivolare via l'unico indumento che portava sotto al gonna.
Lei rise ancora, e risalì il suo corpo fino a sedersi sul suo volto.
Leccami
William iniziò a strofinare furiosamente le labbra, quasi soffocato; il frutto umido in cui era immerso palpitava aprendosi al suo tocco, le gambe si serrarono su di lui. Gaia si aggrappò alla spalliera del letto muovendosi a ondate, premendo le sue cosce contro il viso del suo amante; si alzava e ricadeva con sempre maggior impeto, scuotendo i capelli come nuvole nere. Per tutto il tempo lei lo fissò negli occhi, ridendo, guardandolo mentre annaspava nel piacere che gli stava dando. William sentì le mani che accarezzavano i suoi capelli stringersi con forza sulle sue tempie.
Lo trattenne con violenza senza lasciarlo respirare, obbligandolo a bere il suo orgasmo.
Sgorgò sul suo volto un liquido salato, colando sul cuscino, macchiando il materasso come acqua calda. Gocce pesanti come olio corsero lungo le cosce, tese nello sforzo.
Lei rimase un momento ferma, a riprendere fiato, poi si distese accanto accanto a lui pulendosi con le coperte.
William rimase immobile a guardarla, i capelli e la bocca coperti di quel succo che andava asciugandosi sulla sua pelle.
Si slacciò i pantaloni e chiuse gli occhi. Si mosse su di lei, impacciato, impaurito, venendo sulle sue gambe ancora prima di penetrala.
Gaia sorrise, e lo tirò a sè. Si addormentarono man mano che i loro respiri si facevano più regolari.
Avevano sedici anni.

Il percussore si bloccò, la canna era incandescente.
Doveva fare in fretta; si mosse come un'automa, mentre conservava il caricatore e prendeva un'altro fucile dai corpi sparsi a terra; il pavimento era ricoperto da due dita di sangue torbido.
Non ebbe tempo di scegliere, con gli occhi fissi verso il buio afferrò a caso nella melma e tirò il grilletto. Prima ancora di finire l'operazione si diede dell'idiota: un proiettile era rimasto incastrato nella camera di scoppio in maniera innaturale, forse quando era stato sbattuto a terra. William sentì una lama gelida trapassargli la pelle, il terrore iniziava a irrigidirgli i muscoli.
I Leviatani iniziavano a strisciare fuori dall'ombra, ad allungarsi verso di lui. Qualcosa simile a dita esageratamente lunghe tastava i muri, come ad odorarlo.
Controllo, controllo.
La mano smontò l'arma come aveva fatto migliaia di volte in accademia, tolse il percussore, fece scivolare in avanti la canna e lasciò cadere il proiettile inesploso. Riportò la canna al suo posto, chiuse la spoletta e attese il rumore tipico del caricatore immesso in modo regolare; solo allora fece fuoco. Un secondo al massimo, ma sufficente alle cose che attendevano davanti a lui. Si mostrarono alla luce, lanciandosi con i loro arti spezzati, le loro posizioni aliene. Un braccio chitinoso con zampe d' insetto correva picchiettando il cemento, dietro qualcosa di simile ad una lumaca spalancava una bocca priva di denti. Un serpente senza testa si muoveva come un verme, ragni con zampe sottili come capelli lo fissavano puntandogli contro una felce di carne. Membrane, occhi muniti di denti, assaliti dai proiettili caddero a terra morti divorati da mille altre forme d'incubo nel cono d'ombra.
William aveva subito un'addestramento speciale, ma non era bastatato. La sua mente non poteva reggere ciò che avevano trovato laggiù, in quella modesta base medica sotto la Luna.
Nessuno era stato preparato.

L'acqua scendeva limpida dal rubinetto del bagno, un ragazzo si lavava le mani prima di scendere in sala da pranzo, alla cena commemorativa. Chiuso in quella piccola stanza, a strofinare via dalle dita il tremore e la confusione di un sentimento ingombrante come un odore troppo dolce.
La sua mente cercava di confortarlo.
Fuggire, andarsene prima che tutto cominci a crollare sotto la confusione.
Voleva che tutto si fermasse lì in quel bagno. Che il mondo venisse improvvisamente divorato da un buco nero creato da qualche scienziato pazzo; ma la realtà è incorruttibile, inalterabile.
La realtà è sempre vergine.
Così non potè fare altro che asciugarsi le dita e uscire ad affrontare il mondo, correndo su binari che qualche Dio aveva già posto per lui.
Scese le scale, svoltò a sinistra e vide solo lei, nonostante fosse in mezzo ad altre persone. La riconobbe nonostante fosse di spalle, forse dalla linea del collo, dallo spessore delle caviglie.
l'odore dei suoi capelli.
O forse se lo immaginava? Era così difficile, tutto così caotico.
Ma anche lei lo vide.
Lo percepì non appena entrò nella stanza, come legati da un segreto comune, un sussurro; gli venne incontro evitando altri ospiti, nutando tra di essi senza sfiorarli.
Gaia.
William.
Quanto tempo...
Il caricatore aveva poche raffiche poi sarebbe stati su di lui.
Gli si avvicinavano, sponstandosi sul suo punto cieco, l'angolo sinistro. Questi Leviatani avevano compreso che la sua zona scoperta era alla sua sinistra, per un vizio di postura maturato in accademia e mai più abbandonato. Evitavano le raffiche con scatti composti, leggeri, sempre in quella parte, avvicinandosi sempre più. Non erano così bestiali come sembravano, probabilemente comunicavano, si passavano le informazioni, imparavano.
Cadde l' ultimo bossolo, poi il fucile divenne insostenibile.
William abbandonò la sua arma e chiuse gli occhi.

I capelli come nuvole d'ombra mosse da un vento di maggio, gli occhi come l'acqua delle costiere incontaminate. La sua pelle, su quel letto, ultimo terreno sacro con cui avvicinarsi a piedi scalzi, folgorante roveto iridescente di sensazioni e sapori.
Le promesse illogiche maturate tra quelle coperte, l'eternità che si frammentava in miliardi di attimi sospesi in quella stanza.
L' onda di piena con cui lo aveva catturato e portato a sè.
In buona e cattiva sorte.
In salute e malattia
Finchè morte non ci separi.
 
  » Segnala questa fanfic se non rispetta il regolamento del sito
 


VOTO: (0 voti, 0 commenti)
 
COMMENTI:
NON CI SONO ANCORA COMMENTI, SCRIVI IL PRIMO! ^__-
 
SCRIVI IL TUO COMMENTO:

Utente:
Password:
Registrati -Password dimenticata?
Solo su questo capitolo Generale sulla Fanfic
Commento:
Il tuo voto: